Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26537 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6966/2019 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA C. CONTI ROSSINI, 13, presso lo studio dell’avvocato IVAN CANELLI, rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELE CARNEVALE, e DOMENICO BUFFA;

– ricorrente –

contro

CA.PA.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati GAETANO FRANZESE, MARCO SCIDDURLO, SALVATORE BASSO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2047/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 07/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.

RILEVATO

che:

C.C. propose opposizione innanzi al Tribunale di Bari avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di Ca.Pa.Fr. per l’importo di Euro 14.000,00 sulla base di due assegni bancari emessi all’ordine di “M.M.”. Il Tribunale adito accolse l’opposizione. Avverso detta sentenza propose appello il Ca.. Con sentenza di data 7 dicembre 2018 la Corte d’appello di Bari accolse l’appello, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo.

Osservò la corte territoriale che l’assegno senza indicazione del portatore, ovvero tratto all’ordine di “M.M.” (me medesimo) era idoneo ad essere negoziato e riscosso da parte del portatore, valendo come assegno bancario al portatore. Aggiunse che con la denuncia-querela presentata la C. aveva ammesso la consegna degli assegni in favore del Ca., riconoscendo così l’esistenza di un sottostante rapporto obbligatorio, pur sostenendo il carattere illecito della ragione per la quale aveva provveduto in tal senso, e che tale denuncia-querela era stata allegata dalla appellata fin dal primo grado, avendo l’atto di appello inteso dare solo maggiore specificazione a quanto argomentato in primo grado.

Ha proposto ricorso per cassazione C.C. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1988 c.c., artt. 115,116 e 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, non avendo il Ca. esercitato l’azione cartolare ma avendo utilizzato gli assegni in funzione probatoria quale promessa di pagamento (si legge nella domanda di ingiunzione che la richiesta “si fonda su prova scritta”), la promessa di pagamento può essere fatta valere solo nei confronti del prenditore o giratario dell’assegno, cioè solo a favore di colui al quale è stata fatta e, come affermato da Cass. n. 7262 del 2006, il mero possessore del titolo non può beneficiare dell’inversione dell’onere della prova del rapporto fondamentale. Aggiunge che la mancata identificabilità del destinatario della promessa di pagamento non può essere superata facendo leva su una pretesa confessione stragiudiziale perché: a) le difese che richiamano l’esistenza di una confessione stragiudiziale sono state formulate per la prima volta in appello, sulla base inoltre di documento prodotto dallo stesso appellante per la prima volta in appello (in primo grado era stato prodotto dalla C. solo il provvedimento di concessione del beneficio dei termini per la sospensione delle procedure esecutive emesso dal Procuratore della Repubblica); 2) come si legge nella denuncia-querela, gli assegni erano stati rilasciati da C.C. ed C.A. con l’indicazione “M.M.” su sua richiesta al padre N., il quale aveva ottenuto dal Ca. il prestito di Euro 20.000,00, ed erano poi stati consegnati da C.N. al Ca. a garanzia del debito contratto, sicché nessun rapporto era intercorso fra la ricorrente ed il Ca..

Il motivo è fondato. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata asseverazione della notifica in via telematica del ricorso: il controricorrente si è limitato a sollevare l’eccezione in diritto, ma non ha effettuato il disconoscimento della conformità agli originali dei messaggi di PEC e della relata di notificazione depositati in copia analogica (cfr. Cass. Sez. U. n. 22438 del 2018). Peraltro, l’attestazione della conformità risulta effettuata e si tratta di rilievo ovviamente assorbente.

Il giudice di merito ha accertato che il beneficiario degli assegni è “M.M.” (me medesimo) e ne ha inferito la natura di titolo al portatore. Dato che l’assegno bancario è stato fatto valere non quale titolo esecutivo, ma quale prova scritta ai fini della domanda d’ingiunzione, la qualificazione in termini di titolo al portatore, ai fini della detta prova scritta, non spiega alcuna efficacia giuridica, potendo produrre effetti solo ai fini di un’azione esecutiva basata sul titolo di credito. Come si evince dal complesso della ratio decidendi, e cioè dal riferimento alla denuncia-querela quale ammissione della consegna degli assegni al Ca. da parte della C., gli assegni sono stati valutati dal giudice di merito quale promessa di pagamento. E’ tuttavia appena il caso di precisare che l’indicazione del beneficiario, sia pure coincidente con il traente, impedisce che possa essere applicata la disciplina dei titoli al portatore perché la validità dell’assegno come titolo al portatore è subordinata alla mancanza di indicazione del nome del prenditore (cfr. Cass. n. 4910 del 2017 e n. 16566 del 2010).

Quanto alla efficacia di promessa di pagamento, va rammentato che poiché, ai sensi dell’art. 1987 c.c., le promesse unilaterali producono effetti obbligatori nei limiti stabiliti dalla legge, la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, secondo quanto previsto dall’art. 1988 c.c., dispensano colui al quale sono fatte dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria; pertanto, in considerazione della natura recettizia della promessa, l’assegno riveste tale natura certamente nei rapporti fra traente e prenditore o fra girante ed immediato giratario ma non pure nei confronti di colui che si atteggi quale mero possessore del titolo, giacché – mancando in esso l’indicazione del soggetto al quale è fatta la promessa – non vi è ragione di attribuire il beneficio dell’inversione dell’onere della prova (Cass. n. 7262 del 2006, n. 15688 del 2013 e n. 731 del 2020). Poiché il Ca. non risulta indicato come prenditore, e questo coincide con il traente, non può costui, quale mero possessore del titolo, beneficiare sulla base del mero assegno dell’efficacia della promessa di pagamento.

Interviene qui l’ulteriore elemento della ratio decidendi, e cioè l’ammissione della consegna dell’assegno dalla emittente al Ca. che secondo la corte territoriale sarebbe contenuta nella denuncia-querela. Deve intendersi che il giudice di merito abbia qualificato la denuncia come confessione stragiudiziale fatta ad un terzo e dunque liberamente valutabile dal giudice. Sul punto però nel motivo di ricorso si afferma, mediante la trascrizione dei passaggi rilevanti della denuncia, che il giudice ha omesso di considerare che nell’atto si espone che gli assegni erano stati rilasciati da C.C. ed C.A. con l’indicazione “M.M.” su sua richiesta al padre N., il quale aveva ottenuto dal Ca. il prestito di Euro 20.000,00, ed erano poi stati consegnati da C.N. al Ca. a garanzia del debito contratto, sicché, conclude la ricorrente, nessun rapporto era intercorso fra la ricorrente ed il Ca.. Alla luce della rubrica, la censura risulta sollevata per violazione dell’art. 115 c.p.c., ed è fondata.

L’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. n. 9356 del 2017 e 27033 del 2018). Trattandosi di violazione processuale, è consentito al Collegio accedere agli atti processuali, una volta assolto l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. La lettura del documento conferma l’esposizione del suo contenuto che risulta dal motivo di ricorso: in esso si legge, fra l’altro, che nessun rapporto è intercorso fra la ricorrente ed il Ca., il quale “non ha mai visto l’odierna denunciante C.C.”. La percezione che invece del documento ha avuto la corte territoriale è che gli assegni sono stati consegnati dalla C. al Ca., potendo così fondare, sulla base della consegna diretta, l’esistenza della promessa di pagamento. Come si è visto, così percepita la prova, non è sussistente agli atti, e dunque il giudice ha posto a fondamento della decisione una prova non proposta dalle parti.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 345 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, ove si ritenga che la domanda sia stata accolta in quanto fondata sull’azione causale o sulla prova di un rapporto obbligatorio acquisita mediante il presunto riconoscimento di cui alla denuncia-querela, sarebbe violato l’art. 112 c.p.c., in quanto il rapporto fondamentale non è mai stato allegato o dimostrato dal Ca., il quale vi ha fatto riferimento per la prima volta nell’atto di appello.

L’accoglimento del precedente motivo determina l’assorbimento del motivo.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso, con assorbimento del secondo motivo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Bari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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