LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17099/2019 proposto da:
L.S., L.O., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO CARLUCCIO, rappresentati e difesi dall’avvocato VITTORIO RINA;
– ricorrenti –
contro
E.A., E.C., E.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE LIEGI 28, presso lo studio dell’avvocato MARCO MORETTI, rappresentati e difesi dall’avvocato DAVIDE PRIGIONE;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 196/2019 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 26/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.
RILEVATO
che:
1. L.S. e L.O. ricorrono per cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 196/2019 del 26 febbraio 2019 con ricorso notificato il 23 maggio 2019. E.A., in proprio e quale erede di M.M., nonché E.S. ed E.C. quali eredi della M., hanno notificato controricorso.
2. Il ricorso è affidato a un unico motivo. Le parti controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con un unico motivo i riscorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 2272,2280,2308 e 2495 c.c., in relazione agli artt. 100,110,111 c.p.c. e art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3, nell’avere la Corte d’appello erroneamente dichiarato il difetto di legittimazione attiva in capo alle ricorrenti in quanto ex socie della società Papete S.N.C., estintasi nel corso del giudizio di appello svolto nei confronti delle resistenti per accertare la sussistenza del credito sociale. Assumono le ricorrenti che all’epoca dell’accertamento del credito, per cui in questa sede hanno agito ex art. 2901 c.c. (con azione revocatoria), la società era stata cancellata, ma che tuttavia il credito era stato accertato con sentenza definitiva nei confronti della società medesima, essendo il giudizio proseguito dall’avvocato nominato dalla società, senza interruzioni di sorta.
2. Nella controversia de qua, ove le socie della società estinta hanno fatto valere il credito sociale accertato con sentenza definitiva per esercitare l’azione pauliana a tutela del credito, la Corte d’appello, dopo avere constatato che nel bilancio finale della società cancellata non vi era traccia di diritti o pretese creditorie vantate nei confronti dei resistenti, ha ritenuto che la cancellazione della società intervenuta nel corso della pregressa causa avesse comportato una rinuncia alla pretesa (allora) controversa e illiquida, accertata solo successivamente con sentenza pronunciata nei confronti di società oramai non più esistente in quanto estinta. Pertanto le due ex socie (qui ricorrenti) non avrebbero potuto qualificarsi come titolari del credito sociale accertato con sentenza, sì da considerarsi legittimate all’esercizio dell’azione revocatoria di cui al presente giudizio, dichiarando pertanto assorbita ogni altra questione attinente al fondamento della revocatoria (v. sentenza, p. 6).
3. Il motivo è fondato.
4. La Corte di merito, nel rilevare la carenza di legittimazione attiva delle attrici che hanno proseguito l’azione revocatoria avviata dalla società estintasi nel corso del giudizio di accertamento del credito, ha ragionato mediante argomenti presuntivi collegati alla intervenuta cancellazione della società, originariamente titolare del credito, in corso di causa: tuttavia non correttamente interpretando l’indirizzo segnato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in tema di sorte dei rapporti sostanziali delle società cancellate, poi messo a punto per mezzo di successivi interventi applicativi da parte di questa Corte (v. Cass. Sez. U. nn. 6070, 6071 e 6072 del 12/3/2013).
5. E difatti, in considerazione del principio ivi stabilito, la Corte di merito avrebbe dovuto scrutinare la fattispecie in concreto portata al suo esame e valutare se, effettivamente, dalla sola mancata menzione della posta attiva de qua nel bilancio di chiusura della società, cessata nel corso della controversia avviata dalla medesima per l’accertamento del credito, potesse inferirsi una rinuncia alla pretesa, posto che la posta attiva è stata accertata definitivamente come esistente nei confronti della società pur in assenza di dichiarazione di una causa interruttiva del giudizio per effetto della sua cancellazione.
6. Infatti le socie, dando atto che erano subentrate nella posizione della società cancellata, hanno fatto valere in questa sede processuale il credito definitivamente accertato nei confronti della società con sentenza passata in giudicato, al fine di ottenere la revocatoria degli atti dispositivi dei beni dei debitori, qualificandosi quali parti legittimamente succedute nel credito sociale.
7. Ed invero, le sezioni unite di questa Corte, riportandosi ai precedenti del 2010 e partendo dal dato, oramai acquisito, che la cancellazione ha effetto estintivo, si è soffermata sulla sorte dei rapporti, sia sostanziali che processuali, di cui fosse parte la società al momento della cancellazione, ed ha ricondotto la vicenda estintiva ad un fenomeno normalmente successorio, con conseguente subentro dei soci nelle posizioni attive e passive della società (v. in particolare Sez. Un. Cass. n. 6072 del 12/3/2013).
8. In proposito, dunque, rileva la manifestazione di volontà di rinunciare al credito, al fine di escluderne la trasferibilità ai soci, quest’ultima da intendersi come regola generale del fenomeno estintivo societario.
9. Sicché, solo in mancanza di una espressa manifestazione di volontà abdicativa possono soccorrere criteri presuntivi con i quali poter inferire, egualmente, una univoca volontà di rinuncia, quali la mancata menzione, nel bilancio finale di liquidazione, di poste illiquide e incerte, includibili nel novero delle cd mere pretese.
10. In particolare, si veda la sentenza n. 6072 delle Sezioni Unite del 2013, in cui si indica che “i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo”. Si confrontino, in proposito, anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23269 del 15/11/2016 (Rv. 642411 – 01, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25974 del 24/12/2015; Sez. 2, Sentenza n. 17500 del 12/10/2012, Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 19302 del 19/7/2018; Sez. Un., Sentenza n. 29108 del 18/12/2020; Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 8521 del 25/03/2021.
11. A fronte di un ricco proliferare di pronunce di merito di segno diverso, tendenti a considerare la natura del credito a prescindere dagli effetti regolati dalle parti all’atto dello scioglimento della società, il pronunciamento emesso da Cass. Sez. 1, con sentenza n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 – 01, ha inteso chiarire ulteriormente che deve escludersi che i principi sino ad oggi affermati in riferimento a diverse fattispecie possano condurre ad automatismi applicativi, sulla base di una presunzione assoluta priva dei caratteri ex art. 2729 c.c..
12. Di certo, il relativo accertamento, concretandosi in un giudizio di fatto, sfugge generalmente al sindacato di legittimità. Purtuttavia, costituisce giudizio di diritto escludere che la mera cancellazione dal registro delle imprese possa, di per sé sola, per la sua invincibile equivocità, reputarsi sufficiente a dedurne una volontà abdicativa di pretese e poste attive (così si esprime Cass. Sez. 1, sentenza n. 9464 del 22/05/2020, Rv. 657639 – 01).
13. Si avrà pertanto che, dal contegno omissivo in esame, mentre il giudice dovrebbe inferire in chiave probatoria l’esistenza della rinuncia, il debitore, quale destinatario di quest’ultima, dovrebbe, sulla base di una oggettiva e socialmente riconoscibile concludenza, inferire la volontà abdicativa.
14. A quest’ultimo proposito non può sfuggire che, come evidenziato sempre da Cass. n. 9464 del 2020, è necessario che la tacita remissione del debito sia ricevuta dal debitore (cfr. art. 1236 c.c.), mentre tale caratteristica non è immanente alla cancellazione dal registro, la quale è rivolta ad una pluralità indifferenziata di destinatari. Si tratta, quest’ultimo, di un comportamento non rivolto ad alcun destinatario che lascia aperto il problema della cognizione effettiva da parte del debitore. E non a caso, come si è appena detto, per le Sezioni Unite nel 2013 non è la mera scelta della cancellazione dal registro a fondare la presunzione, ma tale evenienza unitamente ad altre circostanze, quali le mere pretese o un diritto di credito per il quale sia mancata l’attività destinata a renderlo liquido (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, ordinanza 13543 del 18 maggio 2021).
15. Nel caso specifico, inoltre, deve considerarsi che le socie hanno agito in forza di un titolo giudiziale (per via del giudicato di cui sopra si è detto), formatosi quandanche la società si era estinta; il soggetto a favore del quale il titolo è stato pronunciato si è estinto durante il processo – anzi, prima della emissione della sentenza -, ma ciò non è stato dichiarato nel giudizio, così la pronuncia è stata emessa nei suoi confronti. Ed è stata validamente emessa nonostante l’estinzione dell’ente giuridico, visto l’insegnamento di stabilizzazione globale del giudizio derivante da Cass. Sez. U. 4 luglio 2014 n. 15295, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite nel caso in cui il difensore continui a rappresentare la parte deceduta o estinta come se l’evento interruttivo non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata.
16. Deve infatti considerarsi che il titolo giudiziale accertato con sentenza ha un ontologico scopo: in caso di mancata esecuzione spontanea, ottenere il risultato mediante una esecuzione forzata. Poiché la stabilizzazione suddetta vale esclusivamente nell’ambito del giudizio in cui è stato emesso il titolo esecutivo, la sua messa in esecuzione, che costituisce un procedimento distinto e non incidentale al giudizio da cui è sortito il titolo, non può essere avviata dal soggetto estinto, cioè, nel caso in esame, dalla società di persone che è stata cancellata dal registro delle imprese (cfr. in proposito, l’ampia argomentazione espressa in Cass. Sez. 3, sentenza n. 20155 del 18/08/2017 a proposito di un titolo esecutivo).
17. Le socie qui ricorrenti, nell’esercitare l’azione pauliana a tutela del credito sociale accertato in un tempo in cui la società era già estinta, pertanto, si sono avvalse del fenomeno di tipo successorio che le Sezioni Unite, con la sentenza 12 marzo 2013 n. 6070, hanno riconosciuto, e che investe la successione sia dei diritti sostanziali, sia dei diritti processuali nelle modalità sopra riportate.
18. Che vi sia, come conseguenza della estinzione per cancellazione dal registro di imprese, un fenomeno successorio è d’altronde ontologicamente ineludibile, poiché una società è sempre di per sé uno schermo: uno schermo che giuridicamente “funziona” in forza di disposizioni normative, ma che, in quanto tale, ha sempre dietro di sé altri soggetti, ai quali, una volta che esso sia “caduto”, non possono non essere ricondotti i beni, i crediti e i debiti – questi ultimi nella misura indicata dalla legge a seconda del tipo sociale – in ordine ai quali la società non ha dato alcuna definitiva risoluzione/destinazione in fase di cancellazione.
19. Dirimente, al riguardo, è un passo della motivazione del citato intervento nomofilattico del 2013 in cui, dopo avere riconosciuto per tutelare i creditori, entro certi limiti, il “subingresso dei soci nei debiti sociali”, le Sezioni Unite osservano che ciò “suggerisce immediatamente che anche nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale venga a determinarsi un analogo meccanismo successorio. Se l’esistenza dell’ente collettivo e l’autonomia patrimoniale che lo contraddistingue impediscono, pendente societate, di riferire ai soci la titolarità dei beni e dei diritti unificati dalla destinazione impressa loro dal vincolo societario, è ragionevole ipotizzare che, venuto meno tale vincolo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale. Il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta soltanto che, sparita la società, s’instauri tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pertengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della con titolarità o della comunione”.
20. La Corte di merito, invece, ha fatto derivare l’effetto estintivo del diritto – per rinuncia – da un dato formale (la mancata menzione nel bilancio di chiusura della società estintasi in corso di causa), omettendo di tener conto che, nel frattempo, la controversia per l’accertamento del credito è proseguita senza soluzione di continuità nei confronti della società estinta, addivenendo a un accertamento definitivo del credito sociale.
21. In tal guisa, la Corte di merito ha svolto una valutazione parziale della vicenda successoria, dimostrando di avere operato un automatismo valutativo e presuntivo in ordine alla mancata menzione della posta (peraltro ancora sub iudice) nel bilancio di chiusura sociale, non conforme ai principi sopra esposti, intesi a regolare il fenomeno successorio che comunque si genera quale conseguenza naturale della cancellazione della società, salvo diversa volontà abdicativa delle parti coinvolte in detto fenomeno.
22. Conclusivamente, il ricorso va accolto; per l’effetto la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Lecce che deciderà in diversa composizione collegiale, in conformità ai suddetti principi, anche per le spese di questo procedimento.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso; per l’effetto cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione collegiale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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