LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 135/2019 R.G. proposto da:
Banca IFIS S.p.A., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Leopoldo Conti, e Alessandro Galiena, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Libia, n. 4;
– ricorrente –
contro
Provincia di Como, rappresentata e difesa dall’Avv. Domenica Condello;
– controricorrente –
e nei confronti di:
Costruzioni Generali di V.A. & C. s.n.c.;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano, n. 4461/2018 depositata il 15 ottobre 2018;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
FATTI DI CAUSA
1. Con decreto ingiuntivo n. 1625/2012 il Tribunale di Como ingiunse alla Provincia di Como il pagamento dell’importo di Euro 227.810 a favore di Banca Ifis S.p.A., in quanto cessionaria dei crediti vantati da Costruzioni Generali G. di G.A. & C. s.n.c., quale corrispettivo per l’appalto delle opere di riqualificazione del Museo Didattico della Seta di *****.
Vi si oppose l’ente locale eccependo per una parte l’infondatezza della pretesa e per altra l’esistenza di controcrediti per vizi e difetti dell’opera oltre che per penali contrattuali.
La Banca replicò chiedendo, in via riconvenzionale subordinata, la condanna della provincia al risarcimento del danno conseguente alle anticipazioni da essa erogate alla s.n.c. Costruzioni Generali G. a titolo di anticipazioni sul credito di cui al SAL *****.
Il contraddittorio venne quindi esteso nei confronti della società cedente, rimasta però contumace.
2. Con sentenza n. 163/2016 il tribunale, in parziale accoglimento dell’opposizione, accertata l’esistenza di un controcredito della provincia per il solo importo di Euro 196.593,817 (di cui: Euro 69.133,67, oltre Iva al 10%, per lavori non eseguiti o male eseguiti; Euro 2.064,80 per fatture non pagate; Euro 2.394,40 per iva indebitamente percepita; Euro 116.087,58, a titolo di penale per il ritardo) e portatolo in compensazione impropria con il credito della banca oggetto di ingiunzione, condannò la provincia al pagamento dell’eccedenza dovuta.
3. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 4461/2018, pubblicata il 15/10/2018, ha rigettato il gravame interposto dalla banca confermando integralmente la decisione di primo grado.
4. Avverso detta sentenza Ifis Banca S.p.a. propone ricorso affidato a tre motivi, cui resiste la Provincia di Como, depositando controricorso.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1248 e 1264 c.c..
1.1. Sotto un primo profilo, assume che la corte d’appello ha errato nel ritenere esistente un controcredito della Provincia.
L’errore, in tesi, ricade nell’interpretazione della relazione di collaudo, dalla quale – assume la ricorrente – avrebbe dovuto ricavarsi che, sin dalla fine di maggio 2011, la ditta appaltatrice aveva tenuto un comportamento concludente idoneo a sostituire la formale dichiarazione di intervenuta ultimazione di cui al D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 199, donde l’assoluta arbitrarietà della decisione della provincia committente di fissare, invece, al 18/11/2011 la data di ultimazione lavori.
Osserva che, in applicazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto la provincia avrebbe dovuto o comunicare il recesso D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ex art. 134, o intimare la risoluzione ex art. 136, ovvero, in difetto, prendere formalmente e tempestivamente atto dell’ultimazione dei lavori, fatte salve, ovviamente, eventuali riserve per vizi o carenze delle opere eseguite.
1.2. Con una seconda censura la ricorrente deduce che altrettanto erroneamente la corte meneghina ha ritenuto detto controcredito ad essa opponibile (con conseguente compensazione del rispettivo dare-avere) e, per contro, non legittimata essa banca ad opporre alla provincia, ente committente, eccezioni inerenti alla legittimità delle operazioni di collaudo e alle relative conclusioni.
Sostiene che la sentenza viola il principio secondo cui “(le eccezioni) che investono fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al factor cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto e non ove successivi, in quanto, una volta acquisita la notizia della cessione, il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario” (Cass. 02/12/2016, n. 24657). Ciò sull’assunto che il credito relativo alla penale per il ritardo nasce da fatto estintivo e modificativo sorto successivamente alla notifica della cessione.
Soggiunge che la banca, in quanto estranea al rapporto contrattuale discendente dall’appalto, è comunque titolare di un interesse specifico a sindacare la correttezza delle operazioni di collaudo e l’esistenza o meno della penale, in quanto incidenti sul credito alla stessa spettante.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1375 e 1382 c.c., per avere la corte d’appello riconosciuto in favore della provincia, accanto alla penale per il ritardo, un ulteriore credito risarcitorio (per Euro 69.133,67 oltre iva al 10%) per lavori non o male eseguiti.
Sostiene, in sintesi, che l’uno e l’altro credito non possono coesistere, atteso che o vi è ritardo, con diritto alla penale, ma allora non c’e’ inadempimento, o vi è inadempimento, ma allora non c’e’ ritardo e non si ha diritto alla penale.
Rileva che, nella specie, essendosi resa la ditta appaltatrice irreperibile sin dal 19/7/2011, lasciando delle opere sostanzialmente eseguite secondo progetto, e non avendo da allora effettuato alcuna ulteriore lavorazione, non un ritardo si sarebbe potuto ad essa contestare ma al più un inadempimento o inesatto adempimento. Ribadisce che, a fronte di tale dato temporale, risulta arbitraria e strumentale la scelta dell’ente committente di attendere fino al limite consentito dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 117.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.” in relazione alla domanda riconvenzionale volta a ottenere il risarcimento del danno conseguente alle anticipazioni erogate a Costruzioni Generali G. a titolo di anticipazioni sul credito di cui al SAL *****.
Lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto di non dover esaminare tale domanda in quanto proposta solo in via “ulteriormente subordinata”.
Rileva che la domanda di risarcimento danni era stata proposta “in stretto subordine rispetto alle deduzioni e conclusioni” già dedotte (ossia quelle attinenti alla pretesa della Banca di vedersi riconosciuto il diritto all’integrale incasso del credito ceduto) per la denegata ipotesi in cui “si ritenesse doversi riconoscere un qualsivoglia pregio alle argomentazioni attoree” e sul presupposto che la banca “avendo confidato senza propria colpa nell’attestazione, proveniente dalla P.A., circa la regolare esecuzione, e circa l’effettuando pagamento in favore della cessionaria, ha subito un pregiudizio in misura pari all’entità dell’anticipazione erogata in favore della cedente”.
4. I primi due motivi, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono inammissibili.
Essi ripropongono argomenti difensivi già prospettati in appello e respinti dalla Corte territoriale con motivazione puntuale ed esauriente con la quale la ricorrente omette di confrontarsi (v. sentenza, pagg. 11-12).
Hanno infatti rilevato i giudici a quibus che “la cessione intervenuta tra Costruzioni Generali ed Ifis riguardava un credito futuro che, come tale, è entrato nella disponibilità della cessionaria solo nel momento in cui si è concretizzato. In particolare il credito dalla Banca… è sorto solo all’esito del collaudo, che ha cristallizzato le partite di dare avere tra committente ed appaltatore.
“La Banca cessionaria, dunque, non ha il diritto di interloquire con riguardo alle operazioni ed agli accertamenti eseguiti in sede di collaudo svoltosi regolarmente benché in assenza dell’appaltatore che, invitato, non si è presentato. In particolare, la cessionaria non è legittimata ad opporre alla ceduta committente eccezioni inerenti (a)gli accertamenti svolti con il collaudo quali il calcolo dei giorni di ritardo nell’esecuzione dei lavori ovvero l’accertamento in merito al momento di ultimazione dei lavori.
“Ne’ è consentito all’appellante, che è estraneo al rapporto d’appalto essendo cessionario del solo credito scaturito dal contratto relativo e non del contratto stesso, sindacare la sussistenza dei presupposti per considerare ultimati i lavori in data antecedente a quella ritenuta in sede di collaudo, ovvero sindacare la decisione della stazione appaltante che, come correttamente già chiarito dal primo giudice, in applicazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 136 e D.P.R. n. 207 del 2010, art. 145, può liberamente valutare se risolvere il contratto per ritardo o far terminare i lavori nel caso in cui il ritardo non sia tale da determinare l’applicazione di una penale eccedente il 10% dell’importo del contratto”.
Hanno peraltro soggiunto, ad abundantiam, che, in ogni caso, quand’anche se ne potesse ammettere il sindacato da parte della cessionaria, la fissazione della data di ultimazione dei lavori al 18/11/2011 rimane “certamente giustificata sulla base della circostanza che l’impresa è stata presente in cantiere anche dopo la data ultima fissata per la consegna dei lavori (9/6/2011), senza provvedere a comunicare l’avvenuta ultimazione dei lavori né a richiedere il formale accertamento.
“Del tutto giustificato, dunque – prosegue la sentenza (pag. 13) – che il D.L., sia intervenuto in data 17/10/2011 provvedendo alla redazione di uno stato di consistenza delle opere rilevando che le opere mancanti o di ripristino non ostacolavano la fruibilità dell’opera; la data di ultimazione è stata, quindi, fissata a seguito del reperimento da parte del D.L. delle necessarie certificazioni, né può retrodatarsi l’ultimazione al luglio 2011 poiché all’epoca non era ancora conclamata l’irreperibilità dell’impresa”.
A tali rilievi la ricorrente contrappone, in termini assertivi e privi di conferente supporto critico, la mera tesi contraria, omettendo in particolare di confrontarsi: a) sia con l’argomento principale rappresentato dal rilievo che, quello ceduto, era un “credito futuro”, destinato a venire ad esistenza solo all’esito del collaudo, “che ha cristallizzato le partite di dare avere tra committente ed appaltatore”, con la conseguenza che prima di tale momento la banca cessionaria non aveva titolo per interloquire sugli accertamenti da compiere in sede di collaudo e tanto meno sulla scelta di non risolvere il rapporto ma farlo continuare salva l’applicazione della penale; b) sia con quello aggiuntivo, rappresentato, come detto, dalla ritenuta esistenza di elementi obiettivi che giustificavano comunque tale scelta: argomento quest’ultimo frutto evidentemente di un accertamento di fatto che come tale si sottrae al sindacato di questa Corte, tanto meno sotto il profilo dedotto di error in iudicando.
4.1. E’ dunque appena il caso di rilevare l’incongruenza dell’evocazione, tra le norme violate, dell’art. 1248 c.c., non applicabile alla compensazione impropria, quale, secondo pacifica acquisizione, è quella di cui trattasi nella specie.
Va al riguardo ribadito che “quando tra due soggetti i rispettivi debiti e crediti hanno origine da un unico – ancorché complesso rapporto, non vi è luogo ad una ipotesi di compensazione “propria”, bensì ad un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza, cui il giudice può procedere senza che siano necessarie l’eccezione di parte o la domanda riconvenzionale. Tale accertamento, che si sostanzia in una compensazione “impropria”, pur producendo risultati analoghi a quelli della compensazione “propria”, non è sottoposto alla relativa disciplina tipica, sia processuale sia sostanziale, ivi compresa quella contenuta nell’art. 1248 c.c., riguardante l’inopponibilità al cessionario, da parte del debitore che abbia accettato puramente e semplicemente la cessione, della compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente” (Cass. 19/02/2019, n. 4825).
4.2. Altrettanto incongruente e, comunque, per nulla illustrato il riferimento all’art. 1264 c.c., così come il richiamo al principio affermato da Cass. n. 24657 del 2016, del quale la ricorrente omette, pour cause, la prima parte, invece pertinente e coerente con la decisione adottata, ove si afferma che “in tema di contratto atipico di factoring, la cessione dei crediti che lo caratterizza non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto in quanto avviene senza o addirittura contro la sua volontà; ne consegue che il debitore ceduto può opporre al factor cessionario le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito trasferito ed anche le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio”: e tali sono da considerare le eccezioni nella specie fatte valere dalla debitrice ceduta, e non certamente fatti estintivi e impeditivi sopravvenuti alla cessione.
4.3. Destituita di fondamento si appalesa poi la tesi della alternatività tra penale per il ritardo e risarcimento per vizi e difetti dell’opera appaltata: si tratta di conseguenze lato sensu compensative di danni di diversa origine e consistenza (il ritardo da un lato, i difetti dell’opera dall’altro); come tali ben possono coesistere senza elidersi a vicenda.
Del tutto inconferente al riguardo il richiamo al precedente di Cass. 09/11/2009, n. 23706, che non ha affatto affermato l’esistenza di una incompatibilità logica o giuridica tra penale per il ritardo e risarcimento per i vizi dell’opera, me ben diversamente che la penale (quale determinazione negoziale preventiva del danno) può essere riconosciuta solo con riferimento alla ipotesi espressamente considerata dalle parti.
Pertiene poi ad una insindacabile e legittima opzione del creditore scegliere se accettare l’opera appaltata, sia pure consegnata in ritardo e con vizi e salvo il risarcimento spettante (per la prima predeterminato con la penale), oppure agire per la risoluzione del contratto.
5. Il terzo motivo è altresì inammissibile, per aspecificità.
La Corte d’appello ha rigettato il motivo di gravame (il quarto) con il quale la banca si doleva che il primo giudice non avesse deliberato sulla domanda risarcitoria spiegata in via riconvenzionale nei termini sopra descritti, rilevando che:
– la domanda era stata proposta da Ifis Banca “in ulteriore subordine, in via riconvenzionale” alle due precedenti domande svolte: i) “nel merito, in via principale” per la reiezione dell’opposizione e la conferma del decreto opposto; ii) “nel merito, in stretto subordine per la condanna della provincia al “pagamento, in favore della Banca IFIS S.p.A., per i titoli di cui al decreto opposto, della somma di Euro 227.810,00, o di quella, maggiore o minore, che risulterà dovuta a seguito di istruttoria, oltre interessi, come in decreto o come meglio visto, dal dovuto al saldo effettivo”;
– il giudice di primo grado ha accolto quest’ultima domanda, sia pure riducendo l’importo richiesto da Ifis Banca (eventualità contemplata nelle conclusioni riportate sopra);
– ne discende che non doveva essere esaminata l’ulteriore domanda, proposta in ulteriore subordine.
In buona sostanza i giudici d’appello hanno rilevato che si trattava di domanda subordinata all’ipotesi di mancato accoglimento di alcuna delle domande come sopra formulate e, come tale, doveva considerarsi assorbita dal fatto che almeno la seconda di quelle domande aveva trovato accoglimento (in termini bensì non corrispondenti alla estensione auspicata me pur sempre contemplati dalla domanda medesima).
Tale statuizione di per sé configura pur sempre una pertinente risposta a quel motivo di gravame ed esclude pertanto possa ravvisarsi il vizio di omessa pronuncia.
Deve in tal senso darsi continuità all’indirizzo già affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di provvedimenti del giudice, l’assorbimento in senso improprio – configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre – impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza (v. ex aliis Cass. n. 2334 del 03/02/2020; n. 28995 del 12/11/2018).
Ciò implica che perché la statuizione risulti viziata sotto il profilo motivazionale si deve mettere in discussione la correttezza della valutazione di assorbimento (così, in motivazione, Cass. n. 28864 del 16/12/2020).
Con tale valutazione però la ricorrente omette del tutto di confrontarsi, limitandosi ad affermazioni non pertinenti, per lo più incentrate sulla asserita fondatezza del vantato credito risarcitorio.
6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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