Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26554 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1700-2021 proposto da:

ITALIANA PETROLI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONDOTTI n. 91, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO CARABBA TETTAMANTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO ZURLO;

– ricorrente –

contro

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA DI GIULIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5447/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/11/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 26/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO

Che:

1.- I.G. ha concluso, quale proprietario di una stazione di servizio per carburanti, un contratto con la Italiana Petroli spa, già API, in base al quale, per quanto qui interessa, la IP si sarebbe obbligata ad alcune prestazioni specifiche, come sostituire l’insegna ed effettuare la manutenzione, ristrutturare l’impianto, installare un sistema di pagamento con carta di credito. Non avendo la IP adempiuto a questi obblighi, il I.G. l’ha citata in giudizio davanti al Tribunale di Roma, per la condanna al risarcimento del danno, quantificato in 350 mila Euro.

IP si è difesa non solo eccependo di non avere assunto quegli obblighi, ma altresì eccependo la compensazione con un proprio credito di 16979,04 Euro.

2.- Il Tribunale ha rigettato la domanda, escludendo vi fosse inadempimento della IP, mentre la Corte di appello ha ritenuto che la società si era impegnata alla installazione dell’insegna, cui non ha provveduto, ed ha dunque accolto parzialmente l’appello condannando IP al risarcimento del danno nella misura di 50 mila Euro.

3.- Ricorre IP con sei motivi, di cui chiede il rigetto costituitosi con controricorso. Memorie di I.G..

CONSIDERATO

Che:

4.- I motivi di ricorso sono sei, ma in realtà, salvo il primo, il secondo, ed il sesto, gli altri, ossia, terzo, quarto e quinto, sono proposti subordinatamente al rigetto del primo.

5.-Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. e seguenti, della L. n. 506 del 1993, art. 6, dell’art. 1173 c.c..

La questione verte sulla interpretazione della volontà delle parti, come espressa nel contratto.

In sostanza, è pacifico che, in forza dell’art. 5 del contratto, la IP si era impegnata a sostituire l’insegna entro un anno, e poi a farne manutenzione.

Tuttavia, il giudice di primo grado, sul rilievo che l’onere di procurare le autorizzazioni per l’installazione gravava sul gestore, aveva ritenuto che non vi fosse inadempimento della IP, che senza quelle autorizzazioni non poteva procedere alla installazione.

La Corte di appello ha riformato questo capo di decisione, con un ragionamento diverso. Ha cioè ritenuto che, in base alla L. n. 506 del 1993, art. 6, entrambe le parti erano tenute al pagamento dell’imposta di pubblicità, in solido; dal che doveva ricavarsi che IP doveva attivarsi lei per ottenere le autorizzazioni, e non avendolo fatto era da considerarsi inadempiente.

La ricorrente contesta questa ratio sotto diversi profili: intanto ritiene che erroneamente la corte di merito abbia inteso la volontà contrattuale – su chi fosse obbligato a richiedere le autorizzazioni- non in base ai criteri legali di interpretazione del contratto (art. 1362 c.c. e ss.), ma ad una legge speciale avente altro significato ed altra finalità; di avere dunque erroneamente sussunto la fattispecie concreta in quella astratta; di avere violato l’art. 1173 c.c., nella misura in cui, pur premesso che l’obbligo di richiedere l’autorizzazione era solidale, ha fatto discendere esclusiva responsabilità di IP.

6.- Il secondo motivo è proposto come subordinato al primo in quanto denuncia vizio di motivazione, per difetto di logicità nella deduzione argomentativa, ossia: da una norma che regola l’onere di tributo della pubblicità si ricava l’onere di richiedere l’autorizzazione alla installazione della insegna. Ma serve esaminarlo unitamente al primo.

7.- Si tratta di motivi entrambi fondati.

La questione era di intendere se IP avesse o meno l’obbligo di richiedere l’autorizzazione alla installazione dell’insegna, posto che in caso negativo, non poteva considerarsi inadempiente all’obbligo, pure assunto, di installarla.

Qui viene denunciato solo il procedimento formale di interpretazione del contratto e della volontà delle parti, ossia il procedimento con cui la corte è arrivata a porre tale obbligo, evidentemente ritenendolo fondato sul contratto, a carico di IP.

Da questo punto di vista, i due motivi sono fondati, in quanto, nell’interpretare il contenuto contrattuale, e dunque se vi fosse l’obbligo suddetto o meno, la corte di merito non ha fatto ricorso ai criteri legali di interpretazione del contratto (art. 1362 c.c. e ss.), ma ad una legge speciale (L. n. 506 del 1993), che ha cura di interessi estranei al contratto; certamente il contenuto del contratto può essere ricostruito attraverso la previsione di situazioni giuridiche poste a carico delle parti anche se non richiamate da queste ultime, e dunque integrative della loro volontà: la legge è una fonte di integrazione del contratto, ma deve trattarsi di fonti, per l’appunto, di integrazione, che per essere tali devono regolare gli interessi dedotti dalle parti in contratto: la L. n. 506 del 1993, pone a carico delle parti l’onere di pagare l’imposta sulla pubblicità, che non ha alcunché di attinente con l’insegna; dalla circostanza che le parti sono obbligate in solido a corrispondere l’imposta sulla pubblicità, onere che è ovviamente nell’interesse del Fisco – e già questa ratio basterebbe a dimostrare l’irrilevanza di tale regola nella individuazione dell’obbligo che ci occupa- non si può ricavare che ad entrambe spetti in solido anche di richiedere l’autorizzazione per installare l’insegna; altro è l’insegna pubblicitaria, del resto, altra quella distintiva dell’azienda.

Errato dunque è ricostruire il contenuto contrattuale, e soprattutto ricavarne un obbligo di una parte verso l’altra, attraverso la previsione di un diverso obbligo che una legge tributaria pone alle parti in solido. In sostanza, l’eccezione di IP di non imputabilità dell’inadempimento, non essendovi autorizzazione alla installazione dell’insegna, e dovendo tale autorizzazione essere chiesta dal gestore, è stata dunque rigettata sostenendo che, in ragione di una legge che impone ad entrambe le parti di corrispondere l’imposta sulla pubblicità, deve dedursi che su queste ultime grava parimenti l’obbligo di chiedere l’autorizzazione.

Ciò senza tacere del fatto che difetta del tutto, ed è la censura del secondo motivo, la ragione del medio termine della deduzione, ossia in forza di cosa dalla premessa che è obbligo solidale quello di pagare l’imposta si deduce che allo stesso modo è solidale l’onere di chiedere l’autorizzazione.

Va ricordato che la richiesta di un’autorizzazione per installare una insegna è un peso imposto nell’interesse di chi usa l’insegna e non di terzi, e dunque, per principio generale grava, sul titolare dell’azienda; l’onere (poiché di questo si tratta: peso imposto nell’interesse proprio) può essere, si, trasferito contrattualmente ad altri, ed in tal modo diventa obbligo, ossia: IP si assume l’obbligo verso il gestore di compiere un’attività che altrimenti graverebbe, come onere, su costui. Ma un patto del genere deve risultare esplicitamente o implicitamente, e non può di certo ricavarsi dalla legge che regola il pagamento delle imposte sulla pubblicità.

Pure fondata è la censura per cui se veramente vi fosse stato un solidale onere/obbligo di chiedere l’autorizzazione, allora perché non vi sarebbe sanzione per ritenere inadempiente solo una delle due parti e non l’altra, che, al pari di quella aveva lo stesso incombente. Se l’obbligo-onere è solidale, entrambi sono inadempienti: l’inerzia dell’uno grava sull’altro.

8. L’accoglimento di questi due motivi rende assorbiti, il terzo, quarto e quinto, che sono prospettati in subordine. Il terzo apparentemente non lo e’, in quanto si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., che ritiene la decisione assunta ultra petita, non avendo l’appellante posto questione dell’obbligo di richiesta di autorizzazione, motivo che comunque sarebbe infondato in ragione della dimostrata (p. 18 controricorso) formulazione di questo motivo di appello.

9.- Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla eccezione di compensazione.

La ricorrente allega di avere eccepito, in caso di accoglimento della richiesta di risarcimento, la compensazione del credito relativo con un credito da lei vantato verso il gestore; e sostiene che non v’e’ stata pronuncia.

Il motivo è fondato.

La ricorrente dimostra di avere reiterato in appello l’eccezione di compensazione, riportandone il contenuto nel ricorso, mentre non v’e’ alcuna decisione della corte su tale eccezione.

P.Q.M.

La Corte accoglie primo, secondo e sesto motivo, assorbiti terzo, quarto e quinto. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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