LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28955/2016 proposto da:
Comune di Pinerolo, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Giulio Cesare n. 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Marco Casavecchia, e Giulietta Redi, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Piccola Casa della Divina Provvidenza-Cottolengo, anche quale erede di Suor G.C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Asiago n. 8, presso lo studio dell’avvocato Stefano Santarelli, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Alessandra Carozzo, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
B.L., quale erede di B.C.; Bo.Fe., quale erede di R.I.L.; Gr.Em.;
B.D.S.S.B.C.; B.D.S.S.B.I.M.;
C.M., C.P. e C.R., quali eredi di F.E., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dagli avvocati Marco Manassero, e Cesarina Manassero, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso sentenza n. 733/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 07/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/6/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.
FATTI DI CAUSA
1. A seguito della cassazione con rinvio di una pregressa sua pronuncia, la Corte d’Appello di Torino – avanti alla quale la causa era riassunta dagli odierni controricorrenti onde pervenire alla determinazione delle indennità loro dovute in dipendenza della procedura di esproprio posta in essere nei loro confronti dal Comune di Pinerolo che intendeva destinare le aree ablate a sede della scuola nazionale federale di equitazione – rinnovava il mandato peritale e disponeva con ordinanza in data 24.2.2015 che il nominato CTU, tenuto conto delle risultanze già acquisite con la precedente CTU, procedesse alla relativa stima considerando in particolare, secondo quanto deliberato all’atto del rinvio di questa Corte, l’incidenza sull’accertata edificabilità dei suoli interessati dei vincoli discendenti dalla fascia di rispetto stradale, dalla soggezione a frane e dissesti e dalla loro ricaduta nella fascia fluviale adesiva al Po.
Gli assunti peritali sono stati fatti propri dalla Corte decidente, che ha liquidato anche le spese del giudizio, con la sentenza per cui è oggi ricorso del Comune sulla base di quattro motivi, illustrati pure con memoria, ai quali resistono tutti i controricorrenti con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso recita “violazione del TU n. 327 del 2001, art. 37 ed omesso esame delle contestazioni ai parametri utilizzati dal c.t.u. per la valutazione dell’indennità di esproprio delle aree edificabili, nonché mancanza di motivazione della stima degli immobili”.
Il motivo occupa le pagg. da 23 e 40 del ricorso e vi si sostiene che l’impugnata sentenza dovrebbe essere cassata perché, contrariamente a quanto da essa affermato, il CTU aveva proceduto a determinare le indennità spettanti a ciascun ablato in difformità tanto dal metodo sintetico-comparativo quanto dal metodo analitico-ricostruttivo; perché difetta di motivazione non avendo la CTU acquisito gli elementi richiesti dall’ordinanza di conferimento dell’incarico né dato seguito alle indagini richieste dal Comune; perché si limita a condividere l’operato del CTU e perché inficiata da un vizio di omessa motivazione circa il metodo di stima adottato invece dal Comune; perché affetta da ambiguità e contraddittorietà nell’affermare che il criterio di stima adottato dal CTU nella pregressa elaborazione, facente leva su entrambi i metodi, non era stato censurato malgrado per entrambi il Comune avesse negato la sussistenza dei relativi presupposti; perché non corretta laddove ha confermato alla luce delle risultanze della CTU che il valore di stima restava immutato qualsiasi metodo si fosse utilizzato quantunque il Comune avesse eccepito l’irrilevanza delle conclusioni del CTU per gli errori commessi; perché, nel disattendere la stima operata dal Comune sulla base delle considerazioni al riguardo esposte dal CTU, è pervenuta a riconoscere alle aree ablate un valore arbitrario; perché non ha indicato le ragioni per le quali aveva ritenuto di condividere le conclusioni del CTU sebbene la stima operata da questo non avesse tenuto conto delle caratteristiche dei terreni; perché non ha spiegato le ragioni per le quali le aree ricadenti nella fascia fluviale erano state ritenute non inedificabili in assoluto; perché nel recepire le risultanze della CTU ha erroneamente affermato che il CTU aveva tenuto conto ai fini di stima di elementi di riferimento concernenti aree e zone limitrofe sebbene non fosse stato applicato nella specie il metodo sintetico-comparativo; perché in ragione dei denunciati errori ha conclusivamente sovrastimato il valore dei terreni interessati dalla procedura.
2.2. L’ampia, multiforme ed elaborata censura che trova illustrazione nel primo motivo di ricorso non supera il vaglio di preliminare ammissibilità cui è soggetto il ricorso per cassazione a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1.
Il motivo risulta invero affetto da molteplici ragioni che ne inficiano e precludono lo scrutinio reclamato in questa sede.
Più in dettaglio, esso opera inizialmente una mescolanza di censure sovrapponendo alla pretesa violazione di legge che avrebbe condotto il decidente ad attribuire un valore arbitrario ai beni ablati un esteso elenco di violazioni motivazionali cumulando in un’unica promiscua ed indistinta esposizioni vizi di natura eterogenae che sfuggono, anche per il loro accavallarsi in una successione senza soluzione di continuità e punti fermi al principio di un’esposizione chiara e pertinente delle ragioni di lagnanza in grado di assicurare l’osservanza del precetto di specificità richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Assomma poi sotto il comune denominatore della violazione di ordine motivazionale pretese anomalie di tal fatta che, facendo leva principalmente sul vizio di omessa motivazione, prescindono in modo più che manifesto dai traguardi innovatori fatti segnare dalla riduzione al minimo costituzionale del controllo di legittimità sulla motivazione, per rivendicare a questa Corte un compito non più disimpegnabile a fronte di categorie neglette e non più attuali, tanto più estraneo all’ufficio di legittimità se la decisione oggetto di gravame sia, come qui, assistita da congrua ed adeguata motivazione e non incorra perciò sotto questo profilo in violazioni di legge costituzionalmente rilevanti. Mette capo, ancora, ad un’indebita sollecitazione, peraltro orchestrata su presupposti che riflettono tesi difensive già dibattute e disattese nelle precedenti fasi del giudizio, alla rinnovazione del giudizio di fatto esperito dal decidente di merito nel procedere all’apprezzamento delle risultanze consegnate dal CTU all’economia della causa ed ancora chiama perciò questa Corte a farsi inammissibilmente arbitro della contesa, quasi ad ipotizzare che il ricorso per cassazione dia sfogo ad un terzo grado di giudizio per mezzo del quale mettere riparo all’asserita ingiustizia della decisione impugnata.
E dunque per il complesso di queste ragioni il motivo deve reputarsi inammissibile.
3.1. Il secondo motivo di ricorso, a mezzo del quale il ricorrente Comune si duole che la Corte d’Appello non abbia proceduto alla rinnovazione della CTU senza valutare le ragioni a tal fine rappresentate dall’istante, è inammissibile, dovendosi inizialmente ricordare che è stabile convinzione di questa Corte che “in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova ctu, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto” (Cass., Sez. III, 29/09/2017, n. 22799; Cass., Sez. III, 19/07/2013, n. 17693; Cass., Sez. IV, 24/09/2010, n. 20227). Trattandosi peraltro di potere che rientra nella discrezionalità del decidente, il suo esercizio – qui peraltro non immotivato (cfr. sentenza p. 29) – così come il suo mancato esercizio non sono censurabili in sede di legittimità (Cass., Sez. I, 3/04/2007, n. 8355).
4. Il terzo motivo di ricorso, in ragione del quale si lamenta il vizio di omessa pronuncia che inficerebbe la sentenza impugnata per non essersi essa pronunciata sulla domanda di restituzione delle somme già depositate a titolo di indennità in base alla prima sentenza pronunciata, con la conseguenza che il Comune sarebbe stato condannato a versare due volte le medesime somme, è infondato. A seguito della cassazione della prima pronuncia, è venuto infatti meno ex art. 336 c.p.c., comma 1, anche il capo di detta decisione concernente la liquidazione delle indennità e l’ordine al Comune di procedere al loro deposito di legge, sicché, pronunciando nuovamente all’esito del giudizio di rinvio il medesimo ordine a carico del Comune, il giudice territoriale ha implicitamente rigettato la domanda asseritamente preterita e nessuna duplicazione di importi versati si è determinata in capo all’obbligato, sostituendosi in parte qua la nuova pronuncia a quella oggetto di cassazione.
5.1. Il quarto motivo di ricorso investe il capo dell’impugnata sentenza che ha pronunciato sulle spese e lamenta nell’ordine che la Corte d’Appello ne avrebbe erroneamente accollato l’intero carico al ricorrente quantunque avesse accolto le difese del medesimo riguardo ai vincoli di inedificabilità, che del pari erroneamente avrebbe ritenuto applicabili i parametri di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55 anche alle attività processuali svoltesi prima della loro entrata in vigore e che ancora erroneamente avrebbe onerato il ricorrente anche delle spese di CTP quantunque il relativo capo della prima sentenza fosse passato in giudicato.
5.2. Il motivo non ha pregio.
Premesso infatti che la pronuncia sulle spese ha natura accessoria rispetto alla decisione dei merito, di modo che la nullità di quest’ultima travolge per il principio dell’effetto espansivo della sentenza che accoglie l’impugnazione stabilito dall’art. 336 c.p.c., comma 1, anche il capo della sentenza impugnata che statuisce sulle spese, va, in breve, ricordato che la liquidazione delle spese processuali ubbidisce al criterio dell’esito complessivo della lite (Cass., Sez. III, 12/04/2018, n. 9064; e non è dubitabile che il Comune all’esito della lite in corso sia rimasto soccombente) e la pronuncia che interviene riguardo ad essa non è sindacabile in sede di legittimità se non per violazione del principio di soccombenza (Cass., Sez. VI-III, 17/10/2017, n. 24502; e non è dubitabile che qui il Comune sia rimasto soccombente); che correttamente la Corte distrettuale ha applicato anche alle attività pregresse i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 vuoi perché la sentenza che aveva chiuso la prima fase del giudizio è stata cassata vuoi perché l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Cass., Sez. VI-IV, 10/12/2018, n. 31884); che altrettanto correttamente, avuto riguardo al principio di soccombenza modulato sul concetto di esito complessivo della lite, la sentenza ha onerato il Comune anche delle spese di CTP.
6. Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da susseguente dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ciascuna delle parti resistenti in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile, il 18 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021