Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26588 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28870/2016 proposto da:

F.R.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Belsiana, 71, presso lo studio dell’Avvocato Mario Occhipinti, che la rappresenta e difende con gli Avvocati Raimondo Pusateri, e Fabiano Lucente, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Direttore della Ripartizione n. 26 – Protezione anticendi e civile della Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige, in persona del legale rappresentante;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, n. 74/2016, depositata il 14/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto notificato il 5 dicembre 2016, F.R.M. ricorre con cinque motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, respinto l’appello principale ed accolto quello incidentale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano, ha confermato il rigetto dell’opposizione dalla ricorrente proposta avverso l’ordinanza n. 26.1/64.03/4230/468685/HS/FG, adottata giusta d.d. 11 agosto 2010, con cui Direttore della Ripartizione 26 – Protezione antincendi e civile della Provincia di Bolzano le aveva ingiunto il pagamento, per violazione della L. P. 27 ottobre 1988, n. 41, art. 26, comma 3, della sanzione di Euro 927,00.

La sanzione era stata irrogata ai sensi della L.P. 27 ottobre 1988, n. 41, art. 26, comma 2, per non avere la ricorrente comunicato all’Amministrazione provinciale di aver adeguato l’impianto termico ed il locale caldaia dell’edificio di sua proprietà, alle prescrizioni impartite delle prescrizioni impartite dagli ispettori del lavoro con Det. 24 marzo 2006, Det. 7 aprile 2006 e Det. 4 febbraio 2008.

La Corte d’Appello ha ritenuto che l’impianto termico dell’appellante non fosse in regola, quanto alle caratteristiche del tubo di sfiato, con la normativa anteriore al D.M. 28 aprile 2005 ovverosia con il D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1288 che all’art. 5.4. stabiliva che i serbatoi dell’impianto fossero provvisti, per l’appunto, di un tubo di sfiato con sbocco ad un’altezza non inferiore ai 2,50 mt dal suolo praticabile e ad una distanza di almeno 1,50 mt. da porte o finestre, da incrementarsi a 6 mt. se lo sbocco avveniva al di sotto di finestre o piani praticabili.

Sulla indicata premessa la Corte territoriale ha escluso, apprezzando come corretta la determina sul punto assunta dall’Amministrazione, l’applicabilità della deroga tecnica prevista dal D.M. 28 aprile 2005, art. 2, comma 3, subordinata all’indicata conformità alla previgente normativa, nel rilievo che la deroga richiesta dall’appellante era sì prevista dal D.M. n. del 2005 ma solo per quegli impianti in regola nel senso indicato.

3. Il Direttore della Ripartizione n. 26 – Protezione anticendi e civile della Provincia Autonoma di Bolzano Alto Adige, in persona del legale rappresentante, è rimasto intimato.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo dei motivi la ricorrente fa valere la violazione di legge in cui è incorsa la Corte di merito nella ritenuta non conformità alle previsioni tecniche vigenti al momento della edificazione dell’immobile, avvenuta nel 1968, dell’impianto termico di servizio (D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1268, art. 1 e art. 5, comma 4, e L. 13 luglio 1966, n. 615, art. 2 applicati ratione temporis) nella parte relativa al posizionamento del tubo di sfiato quanto ad altezza dal suolo e distanza da porte e finestre.

Il D.P.R. n. 1288 del 1967, contenente il Regolamento di esecuzione della L. 13 luglio 1966, n. 615 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale S.O. n. 6 del 9 gennaio 1968 era entrato in vigore il 9 luglio 1968 (art. 17, comma 1) là dove invece l’immobile della ricorrente era stato realizzato in data anteriore, e cioè il’11 marzo 1968, come attestato dalla licenza edilizia.

La normativa non era comunque applicabile alla fattispecie, prevedendo l’art. 1, comma 1, del citato regolamento l’assoggettamento alle norme degli impianti termici di “potenzialità superiore alle 30.000 kcal/H non inseriti in un ciclo di produzione industriale, installati nelle zone A e 8 del territorio nazionale previste dalla legge” in cui non rientrava il Comune di *****, nel cui territorio, di modeste dimensioni, era stato realizzato l’impianto, comprendendo le zone A e B, rispettivamente, i Comuni dell’Italia centro-settentrionale con popolazione da 70 mila a 300 mila abitanti e superiore.

La Corte d’Appello aveva omesso di verificare l’ambito di messa in pratica del regolamento di cui al D.P.R. n. 1288 del 1967, per rinvio alle zone A e B descritte dalla L. 615 del 1966, art. 2 incorrendo nella dedotta violazione di legge, come attestato anche dalla licenza d’uso in cui si dava atto della conformità della costruzione a tutta la normativa statale e provinciale anteriore al suo rilascio, intervenuto l’11 marzo 1968, senza menzione della L. n. 615 del 1966.

Nella licenza d’uso dell’edificio n. 23/67 rilasciata dal Comune di Laives l’8 aprile 1968 la costruzione risultava eseguita in conformità al progetto approvato e la normativa in questione era costituita dalla L. n. 966 del 1965 e dal D.M. 27 settembre 1965, fonti che, relative alle visite che i privati erano tenuti a richiedere al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco per i servizi a pagamento, giusta l’Allegato Unico contenente “Elenco dei depositi e industrie pericolose soggetti alle visite ed ai controlli di prevenzione incendi” (L. n. 966 cit., art. 4), evidenziavano la natura di previsioni tecniche di quella disciplina non applicabile agli edifici adibiti ad uso di civile abitazione, regolamentati per la prima volta con il D.M. 16 maggio 1987, n. 246.

Quest’ultima fonte, emanata con espresso riferimento alla L. n. 966 del 1965, art. 2 aveva introdotto “Norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione” da valere pur tuttavia per gli edifici di altezza superiore ai 12 metri.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, e la violazione delle regole del giusto processo ex att. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte d’Appello aveva deciso sulla base della legge individuata come in vigore all’epoca dei fatti senza che la questione, rilevata d’ufficio, fosse mai stata oggetto di causa in primo grado e senza che sulla stessa fosse stato provocato il contraddittorio in appello, con conseguente nullità della sentenza. Là dove il giudice avesse proceduto in tal senso le parti avrebbero dedotto sul dato demografico del Comune di *****, e la sua non riconducibilità alle zone A e B previste dalla legge, e la Corte di merito non sarebbe incorsa nell’errore di diritto.

3. Con il terzo motivo viene fatta valere la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su specifico motivo di impugnazione, con conseguente nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La signora F. aveva impugnato la sentenza di primo grado per violazione delle norme processuali desumibili dalla L. n. 689 del 1981, art. 2 e tanto perché il Direttore dell’Ufficio Ripartizione 26 della Provincia di Bolzano aveva posto a sostegno del provvedimento opposto una unica motivazione per la quale affermava di poter disapplicare il D.M. 28 aprile 2005, art. 2, comma 3, per avere la F. presentato due domande di deroga da intendersi, per l’Ufficio di prevenzione incendi, come espressione della volontà di adeguare l’impianto termico-locale caldaia alle norme vigenti e dalle quali si faceva derivare l’obbligo di adeguamento.

In sede di giudizio nel costituirsi, invece, il Direttore responsabile aveva fondato la propria difesa del provvedimento opposto sulla circostanza, con motivazione nuova e diversa, che l’impianto non era regolare neppure sotto la previgente normativa. La Corte di merito aveva omesso di pronunciare su tale motivo incorrendo nella nullità di cui all’art. 112 cit.

4. Con il quarto motivo (titolato IVA) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.M. 28 aprile 2005, art. 1 e art. 2, comma 3, e dell’art. 113 c.p.c., comma 1, e nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’art. 1, u.c. D.M. cit. stabilisce che per gli impianti esistenti alla data di entrata in vigore del decreto e di portata termica superiore ai 116 kW, purché realizzati in conformità alla previgente normativa, non è richiesto alcun adeguamento; la ricorrente non aveva quindi alcun obbligo di adeguarsi alle prescrizioni impartite dall’Ufficio, essendo non contestato e comprovato in atti che l’impianto era stata realizzato prima dell’entrata in vigore del D.M. e che aveva una portata di kW 86.

Era quindi viziata quella parte della sentenza con cui la Corte territoriale aveva disapplicato il disposto di cui art. 1 e art. 2, comma 3 D.M. cit. nella ritenuta volontà della F. di adeguare l’impianto alle prescrizioni del decreto.

L’obbligo giuridico di adeguamento dell’impianto e la determinazione delle sanzioni per la sua inosservanza derivano dalla legge e non da interpretazioni “arbitrarie” dell’Ufficio tecnico-amministrativo volte a disapplicare il “chiarissimo” disposto di cui all’art. 2, comma 3 D.M. cit. e la Corte d’Appello disapplicandolo, a sua volta, aveva violato l’art. 113 c.p.c., comma 1, che impone al giudice di seguire le norme di diritto.

4. Con il quinto motivo (titolato “IV. B”) la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per omessa valutazione delle risultanze istruttorie e nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Le prove orali e la documentazione prodotta dimostravano che la signora F. era stata “indotta” a chiedere l’adeguamento dell’impianto dalle determinazioni del Direttore dell’Ufficio Prevenzione Incendi che all’esito del sopralluogo le aveva imposto l’adeguamento avvertendola che in difetto sarebbero state adottate le sanzioni amministrative e che le domande presentate dalla ricorrente non erano espressione della sua volontà di adeguare l’impianto e che le contrarie conclusioni del giudice di appello erano frutto di omessa valutazione delle risultanze processuali, con conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c.

5. Il primo motivo è fondato ed i restanti rimangono assorbiti.

La Corte di appello ha ritenuto la non praticabilità da parte della signora F. dell’intervento di adeguamento all’impianto termico in deroga al D.M. 28 aprile 2005, trattandosi di impianto non in regola con la precedente normativa, il tutto in applicazione della disciplina prevista dal D.M. 28 aprile 2005, art. 2, comma 3, là dove si segnala che: ” agli impianti esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto e di portata termica non superiore a 116 kW, purché realizzati in conformità alla previgente normativa (enfasi aggiunta) non è richiesto alcun adeguamento, anche nel caso di aumento di portata termica tale da non comportare il superamento di 116 kW”.

Siffatta conclusione viene raggiunta dai giudici di secondo grado nell’operato rilievo che l’immobile di proprietà della F. “e’ stato pacificamente edificato nel 1968, dunque, posteriormente all’entrata in vigore della normativa”, (p. 8 sentenza), il D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1288 che prevedeva le prescrizioni tecniche che rimaste inosservate non consentono alla ricorrente di accedere alla regolarizzazione in deroga.

Nel formulato composito giudizio, l’evidenza in fatto su cui la Corte territoriale individua la normativa previgente al D.M. 28 aprile 2006, e sulla quale calibra la conformità dell’impianto ed il suo adeguamento, sia pure in deroga, alle nuova disciplina, è che l’immobile dell’appellante fosse stato edificato nell’anno 1968 e quindi dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1288 che, contenente il “Regolamento per l’esecuzione della L. 13 luglio 1966, n. 615, recante provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico, limitatamente al settore degli impianti termici”, stabiliva, all’art. 5, comma 4, le distanze del tubo di sfiato dell’impianto termico da finestre, porte e piano di calpestio contestate dall’Amministrazione che le aveva, per ciò, irrogato la sanzione pecuniaria opposta.

Si tratta di giudizio complesso in cui la circostanza di fatto che l’immobile cui accedeva l’impianto fosse stato edificato nel 1968 non diviene rilevante come tale, sfuggendo in tal modo al sindacato di legittimità, ma attraverso il suo combinarsi con la norma sulla disciplina transitoria della norma regolamentare, la cui corretta interpretazione ed applicazione muove proprio della individuazione dell’epoca in cui l’impianto venne realizzato.

La Corte d’Appello ha ritenuto, ferma l’edificazione dell’immobile e la realizzazione dell’impianto nel 1968, che la norma regolamentare contenuta nel D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1288 – di individuazione della prescrizione che, violata, avrebbe reso l’impianto in questione non più “conforme” a prescrizione e quindi non adeguabile, sia pure in deroga, alla nuova normativa di cui al D.M. 28 aprile 1968 – fosse entrata in vigore, attesa la data di sua adozione, antecedentemente al 1968 senza per ciò dovere neppure scrutinare in quale mese del 1968 il bene fosse poi stato realizzato.

In tal modo la Corte di merito ha erroneamente inteso, come denunciato in ricorso, il D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1288 che, invece, all’art. 17, contenente “Norme transitorie e disposizioni finali”, stabilisce, al comma 1, che “Il presente regolamento di esecuzione entra in vigore alla scadenza di sei mesi dal giorno della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.

Si tratta di disposizione che, correlata alla data di pubblicazione del testo regolamentare, avvenuta sulla G.U. 9 gennaio 1968, n. 6, S.O., porta l’entrata in vigore di quella fonte al 9 luglio 1968 sicché la circostanza, indicata in sentenza, per la quale l’immobile è stato realizzato, tout court, nel 1968 non vale ad assolvere a quel rilievo dirimente voluto dalla Corte bolzanina, con il segnare il certo assoggettamento dell’opera alle prescrizioni del D.M. 24 ottobre 1967.

La sentenza impugnata, pertanto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, va cassata con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, in altra composizione, che nell’esercizio dei poteri suoi propri provveda a nuovo giudizio sul fatto, ferma l’individuazione dell’entrata in vigore del D.P.R. 24 ottobre 1967, n. 1288 alla data del 9 luglio 1968.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso ed assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 18 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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