LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6634/2016 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Arimondi n. 5/E, presso lo studio dell’Avvocato Fabio Mariantoni, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giuseppe Lefons, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Porto Cesareo, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosseria n. 2, presso lo studio del Dott. Alfredo Placidi, rappresentato e difeso dall’Avvocato Pietro Quinto, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza non definitiva n. 114/2013 e la sentenza definitiva n. 544/5015 della Corte d’appello di Lecce, depositate il 5/2/2013 e il 20/8/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/6/2021 dal cons. Dott. Alberto Pazzi.
RILEVATO
che:
1. Il Comune di Porto Cesareo, con delibera D.P.R. n. 321 del 2001, ex art. 42-bis del 19 ottobre 2011, acquisiva al patrimonio indisponibile il terreno agricolo appartenente ad C.A. occupato sin dal 6 maggio 2002 e sul quale era stata realizzata, solo in parte, un’opera pubblica, dietro corresponsione di un indennizzo di Euro 17.344,67.
C.A., nel dedurre l’inadempimento del Comune e l’incongruità dell’indennizzo, conveniva in giudizio avanti alla Corte d’appello di Lecce il Comune di Porto Cesareo perché fossero determinati e riconosciuti in suo favore l’indennità di occupazione legittima, l’indennizzo dovuto D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 42-bis il danno morale e da deprezzamento dell’area residua nonché al fine di vedere rideterminate l’indennità per occupazione illegittima e l’indennità di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 50 per il periodo di utilizzazione temporanea della residua area non interessata dall’occupazione a fini espropriativi.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza non definitiva pubblicata in data 5 febbraio 2013, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione rispetto a una simile domanda, “eccezion fatta per le pretese relative alla determinazione dell’indennità di occupazione legittima e di risarcimento da occupazione sine titulo dell’area di mq. 653 per il periodo dal 22 dicembre 2005 al 6 settembre 2006”.
Con sentenza definitiva depositata in data 20 agosto 2015 determinava poi l’ammontare dell’indennità di occupazione legittima (in Euro 7.472,72) e il risarcimento dovuto per la mancata, temporanea, indisponibilità dell’area di 653 mq. (pari a Euro 2.448,75).
3. Per la cassazione della sentenza non definitiva n. 114/2013 e della sentenza definitiva n. 544/2015 ha proposto ricorso C.A. prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Comune di Porto Cesareo.
Ambedue le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, rispetto alla sentenza non definitiva n. 114/2013, la violazione delle norme relative alla giurisdizione previste dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. g), e dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42-bis in quanto la Corte d’appello con tale statuizione ha erroneamente disconosciuto la giurisdizione ordinaria in materia di procedimento di opposizione alla stima del valore del suolo espropriato ed oggetto di acquisizione sanante D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 42-bis.
4.2 Il secondo motivo lamenta che la sentenza definitiva n. 544/2015 non abbia delibato sulla richiesta di riconoscimento del valore venale del bene a titolo di indennità di esproprio e sulle domande di riconoscimento dell’indennità per occupazione illegittima, rideterminazione del risarcimento del danno non patrimoniale e deprezzamento del suolo residuo per effetto della dichiarazione di difetto di giurisdizione adottata con la sentenza non definitiva.
5. I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono ambedue inammissibili. 5.1 L’odierno ricorrente, nell’ammettere (a pag. 7) di non avere effettuato riserva di appello (rectius di ricorso) contro la sentenza non definitiva della Corte di merito che declinava la propria giurisdizione, sostiene che ciò gli fosse impedito dalla natura della statuizione, che decideva una questione pregiudiziale senza definire, neppure parzialmente, il giudizio.
Una simile tesi non può essere condivisa.
Le decisioni sulla giurisdizione, se negative (in termini di declinazione della stessa), sono definitive e ostano alla prosecuzione del processo (Cass., Sez. U., 14330/2005).
Una simile decisione costituiva, quindi, una sentenza che definiva parzialmente il giudizio, rispetto alle domande per cui la Corte di merito ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, e doveva di conseguenza essere impugnata immediatamente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., o essere fatta oggetto di riserva facoltativa di ricorso, ex art. 361 c.p.c..
Così non è stato, dato che la parte interessata non ha assunto, pacificamente, nessuna delle due possibili iniziative funzionali all’impugnazione.
Ne discende l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, rivolto avverso la sentenza non definitiva pronunciata dalla Corte di merito, in ragione della sua tardività, dato che l’impugnazione è stata proposta ben oltre il termine previsto dall’art. 327 c.p.c..
5.2 Di conseguenza è inammissibile anche il secondo motivo di ricorso.
Il giudice, stabilendo il proprio difetto di giurisdizione, si era infatti spogliato della potestas iudicandi con una pronuncia in rito completamente definitoria della causa dinanzi a sé.
La formazione del giudicato su questa statuizione precludeva, ex art. 2909 c.c., l’esame nel merito delle questioni così definitivamente decise.
6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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