LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 9268/2019 proposto da:
M.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Po, n. 24, presso lo studio dell’avvocato Claudio Miglio, rappresentato e difeso dall’avvocato Danilo Lombardi, per procura speciale estesa in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che per legge lo rappresenta e difende;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2169/2018 della Corte di Appello di Firenze, depositata il 25 settembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 novembre 2020 dal relatore Dott. Marco Vannucci.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza emessa il 25 settembre 2018 la Corte di Appello di Firenze confermò l’ordinanza pronunciata il 4 settembre 2017 dal Tribunale di Firenze, dispositiva del rigetto delle domande di accertamento dello status di rifugiato e della sussistenza dei requisiti della protezione internazionale da M.A.M. (di nazionalità *****) proposte in sede di impugnazione di provvedimento di diniego adottato in sede amministrativa.
1.1. La motivazione della sentenza può essere così sintetizzata: quanto alla domanda di protezione sussidiaria, l’appellante deduce il timore di subire conseguenze giudiziarie connesse alla sua condotta (di garante di prestito non restituito), con la conseguenza che la verifica da compiere è solo quella di accertamento di esistenza di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona dell’appellante derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale proprie dello Stato di provenienza (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)); non vi è però prova “del ricorrere in ***** di ipotesi di violenza indiscriminata”, in quanto, “come noto il ***** è una delle poche democrazie africane e ha da ultimo avuto libere elezioni e non risultano situazioni di conflitto interno”; è dunque da confermare il rigetto della domanda di concessione della protezione sussidiaria; non sussistono neppure i presupposti per la concessione di permesso di soggiorno per motivi umanitari (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, non avendo l’appellante “palesato una condizione di apprezzabile disagio, valutabile a livello di considerazione umanitaria, per l’ipotesi del suo rientro in patria”, essendo egli in buona salute e non avendo dimostrato “di avere conseguito un ben consolidato inserimento socio-lavorativo, reso evidente anche dalla mancanza di legami sociali rilevanti e dalla precarietà dei suoi impegni di lavoro”.
2. Per la cassazione di tale sentenza M. ha proposto ricorso affidato a due motivi.
3. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese, essendosi costituito al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 che impone al giudice di accertare la situazione del paese di provenienza del richiedente protezione.
In particolare, egli rileva che il giudice di appello si è limitato ad affermare che il ***** è una delle poche democrazie africane, che ha da poco avuto elezioni libere e che non risultano in esso presenti situazioni di conflitto interno; venendo così meno all’obbligo di cooperazione istruttoria che, al fine di valutare la situazione reale del paese, impone al giudice l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale;
Inoltre, il ricorrente deduce che nell’atto di appello egli aveva anche indicato le fonti qualificate da cui desumere la veridicità della specifica situazione di rischio e pericolo dedotta nella sua richiesta di protezione.
2. Con il secondo motivo il ricorrente si duole, per le ragioni nell’atto specificate, della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, dell’art. 10 Cost., comma 3, dell’art. 6, par. 4, della direttiva comunitaria n. 115 del 2008, dell’art. 8Cedu, ai fini dell’accertamento della protezione umanitaria.
3. Il primo motivo è fondato, con conseguente assorbimento del secondo.
Il D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, dispone che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La Commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’art. 38 e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative”; ossia impone, nella valutazione delle singole domande di protezione internazionale, l’esame della situazione esistente nel Paese d’origine del richiedente sulla base di fonti qualificate.
Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte hanno in particolare chiarito che “in tema di riconoscimento dello status di rifugiato (…) i principi che regolano l’onere della prova, incombente sul richiedente, devono essere interpretati secondo le norme di diritto comunitario contenute nella Direttiva 2004/83/CE, recepita con il D.Lgs. n. 251 del 2007”; “secondo il legislatore comunitario, l’autorità amministrativa esaminante ed il giudice devono svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario e libero da preclusioni o impedimenti processuali, oltre che fondato sulla possibilità di assumere informazioni ed acquisire tutta la documentazione necessaria”, tanto da ritenere che deve “ravvisarsi un dovere di cooperazione del giudice nell’accertamento dei fatti rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e una maggiore ampiezza dei suoi poteri istruttori officiosi” (così, in motivazione, Cass. S.U. n. 27310 del 2008).
Più nello specifico, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che l’approfondimento istruttorio in discorso deve essere compiuto con riguardo alla situazione sociale e politica del Paese di origine del richiedente sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione, non potendo basarsi su informazioni risalenti, ma dovendo essere svolto, anche mediante integrazione istruttoria ufficiosa, con riguardo all’attualità (in questo senso, cfr.: Cass. n. 17576 del 2010; Cass. n. 13897 del 2019; Cass. n. 8819 del 2020).
In tale ordine di concetti, la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa alla affermazione di non sussistenza nel ***** di una situazione di violenza indiscriminata (per come sopra trascritta) sembra attingere alla scienza privata del giudice; non contenendo alcun cenno a fonti qualificate che tale accertamento consentano.
La sentenza impugnata è dunque da cassare con rinvio alla Corte di appello di Firenze che, in diversa composizione, riesaminerà le domande di protezione sussidiaria e di concessione di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie sulla base del seguente principio di diritto: “ai fini del riconoscimento della protezione internazionale sussidiaria, nell’ipotesi prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, comma 1, lett. c), il dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 impone al giudice di utilizzare, in vista della decisione, le informazioni relative alla condizione interna del Paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero di una specifica area del Paese stesso, tratte dalle fonti menzionate dal citato art. 8 o anche da concorrenti canali di informazione che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area”.
Al giudice di rinvio è rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 4 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021