LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20223/2020 proposto da:
B.A.M., alias A.N., rappresentato e difeso dall’Avv. Davide Verlato, domiciliato presso la Cancelleria della Corte;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, costituito al solo fine di partecipare ex art.
370 c.p.c., comma 1, all’eventuale udienza di discussione della controversia;
– resistente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA n. 5587/19, depositata l’11 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/5/2021 dal Consigliere GORI PIERPAOLO.
RILEVATO IN FATTO
che:
1. Con sentenza n. 5587 del 2019 pubblicata l’11 dicembre 2019 nel processo iscritto al numero di registro 1703 del 2017, la Corte d’appello di Venezia rigettava l’appello di B.A.M. proposto avverso l’ordinanza del Tribunale di Venezia emessa il 3 Aprile del 2017 con cui era stata rigettata l’opposizione avverso il decreto della Commissione territoriale di dismissione della domanda di protezione internazionale del richiedente.
2. In particolare il ricorrente, originario di un distretto sud occidentale del Togo, aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese perché si era rifiutato di succedere al padre come capo del proprio villaggio con conseguente senso di vergogna della famiglia, ragione per la quale subiva anche un’aggressione e, ferito, veniva spinto alla fuga e costretto prima a recarsi in ospedale in Congo e poi, attraverso la Libia, a raggiungere l’Italia.
3. Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione il richiedente per due motivi mentre il Ministero dell’Interno si è costituito con mera comparsa ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
4. Con il primo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, viene dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 comma 1 bis e art. 8, commi 2 e 3 del medesimo decreto. Nel dettaglio, con riferimento alla domanda di protezione umanitaria il richiedente osserva la mancanza di una effettiva cooperazione istruttoria la quale, indipendentemente dalla ritenuta non credibilità del racconto, avrebbe potuto condurre ad un favorevole esito quanto alla vulnerabilità.
5. Con il secondo motivo di ricorso – formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – viene prospettato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alle richieste contenute nel ricorso di primo grado di concessione di un permesso per la protezione sussidiaria e per motivi umanitari; viene dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 con possibile violazione anche dell’art. 8 CEDU. Nel corpo del motivo il richiedente fa riferimento anche al rigetto della richiesta di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), e all’assenza di cooperazione istruttoria da parte della Corte d’appello la quale avrebbe basato la propria decisione esclusivamente sulla scarsa credibilità del ricorrente da un lato e, dall’altro, avrebbe escluso i presupposti per l’ipotesi sub D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), affermando che la zona di provenienza richiedente non è oggetto di violenza indiscriminata in conseguenza di conflitto armato, senza considerare molteplici aspetti rilevanti: ad esempio le condizioni del sistema carcerario e giudiziario del luogo e la non possibilità di un effettivo esercizio dei diritti fondamentali non tutelati in quello Stato, in particolare all’assistenza medica oltre che al lavoro e all’istruzione. In generale, la Corte d’appello non avrebbe valutato l’indice di vulnerabilità personale per il richiedente anche ai fini della richiesta subordinata di protezione umanitaria.
6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, incentrati sulla protezione sussidiaria ed umanitaria e sugli obblighi di cooperazione istruttoria indipendentemente dalla ritenuta non credibilità del racconto, sotto i due angoli della violazione di legge e del vizio motivazionale, e sono infondati.
Non è innanzitutto condivisibile la deduzione secondo cui la Corte d’appello avrebbe mancato di esercitare la cooperazione istruttoria, e di valutare i profili di vulnerabilità del ricorrente per la semplice sua non credibilità. A differenza di quanto ritenuto dal richiedente in ricorso, la Corte d’appello ha assolto agli obblighi di cooperazione istruttoria con riferimento alle condizioni del Paese di origine (Togo), richiamando quanto al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), puntuali e aggiornate fonti conoscitive (ad es. Freedom House Free-dom in the World 2017 – Togo, 12 July 2017 cit. a pag.5 della sentenza gravata).
7. Inoltre la Corte d’appello prende in carico anche l’allegazione di violazione dei diritti inviolabili dell’uomo e di situazione di instabilità socio-politica del Paese, vagliandole e non condividendole. Tale statuizione è argomentata, con riferimenti circostanziati al racconto del richiedente, tanto avuto riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria quanto a quella umanitaria. Ne’ sussiste un pari obbligo di cooperazione con riferimento alle lett. a) e b) allorquando, come nel caso di specie, alla ritenuta e motivata assenza di credibilità del dichiarante (cfr. Cass. Sez. 1 , Ordinanza n. 16122 del 28/07/2020) si aggiunga il fatto che le censure non sono individualizzate.
8. Orbene, gli accertamenti in fatto operati dalla Corte d’appello e sopra sintetizzati, che implicano anche l’esercizio di reperimento di informazioni d’ufficio, adempimento esercitato già in primo grado e ribadito dalla sentenza impugnata nel quadro dei poteri devolutivi del giudice di appello, non sono superati dalle deduzioni contenute nei motivi in esame ma, in sintesi, alle statuizioni in fatto adottate dal giudice di appello viene semplicemente contrapposta una ricostruzione diversa secondo cui vi sarebbero serie compressioni di diritti fondamentali a danno del richiedente, deduzioni tuttavia non supportate da allegazioni in fatto circostanziate ma assolutamente generiche (il sistema carcerario e giudiziario del Paese, il possibile esercizio di diritti fondamentali tutelati, il diritto a cure mediche, istruzione e lavoro ecc…) senza indicazione e riproduzione puntuale di fonti e di circostanze di fatto decisive.
Sotto quest’ultimo aspetto il ricorrente non ha allegato COI aggiornate e attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, mancando di indicarne gli estremi e di riassumerne (o trascriverne) il contenuto, al fine di evidenziare che, se il giudice ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso, non potendo altrimenti la Corte apprezzare l’astratta rilevanza del vizio dedotto e, conseguentemente, valutare l’interesse all’impugnazione ex art. 100 c.p.c. dell’accertamento sfavorevole operato dalla Corte territoriale (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 21932 del 09/10/2020, Rv. 659234 – 01).
9. Va al proposito ribadito che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice è sì disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, ma presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura richiesta, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (cfr. quanto alla protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11096 del 19/04/2019 e, quanto all’umanitaria, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 14548 del 09/07/2020, Rv. 658136 – 01), al fine di contrastare gli specifici accertamenti in fatto a sé sfavorevoli operati dalla Corte d’appello.
10. Nel caso di specie, come più volte accertato in fatto dal giudice d’appello, manca tale presupposto per le forme di protezione richieste ed è carente l’allegazione circostanziata, sia con riferimento al Paese di origine, parte sud occidentale del Togo, sia circa la deduzione sulle violenze subite in Libia, Paese di passaggio per arrivare in Italia, sia circa la violazione del principio del non refoulement. Ciascuno di questi aspetti è stato espressamente oggetto di valutazione da parte della Corte d’appello e la critica contro l’accertamento del giudice del merito non è stata sostanziata e personalizzata dal richiedente.
11. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e, in assenza di svolgimento di difese effettive da parte del Ministero, nessuna statuizione dev’essere adottata sulle spese di lite.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza allo stato dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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