Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26641 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20687/2020 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in Nardò presso lo Studio dell’avv. Giuseppe Bonsegna;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commiss Territ Per Il Riconoscim Protez Internaz Lecce;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 08/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2021 da CAPRIOLI MAURA.

udito l’Avvocato.

RITENUTO IN FATTO

Ritenuto che:

Il Tribunale di Lecce, con provvedimento depositato iI8.7.2020, ha rigettato il ricorso proposto S.D., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il diniego della competente Commissione territoriale in ordine alle richieste di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14 e della protezione umanitaria.

Il primo Giudice osservava che i fatti narrati non riguardavano persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale e pertanto non integrerebbero gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Escludeva poi alla luce della fonti informazioni aggiornate la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Con riguardo alla protezione umanitaria il Tribunale rilevava la mancanza di una condizione di vulnerabilità effettiva e di una situazione di integrazione sociale. S.D. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che:

Con il primo motivo si duole della violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 35 bis, nonché della violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 1,3,14 e 16 e dell’omesso esame di un fatto decisivo giustificato dal mancato esame dell’audizione del richiedente in assenza di videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale.

Si lamenta che il decreto impugnato sarebbe illegittimo in quanto incorso nella violazione delle disposizioni normative che imporrebbero la piena garanzia dell’esplicazione del diritto di difesa del richiedente la protezione internazionale attraverso un contraddittorio pieno che non si articoli soltanto in una sequenza processuale ma gli consenta un effettivo e diretto contatto con il giudice.

Si critica in particolare la decisione del Tribunale il quale da un lato avrebbe escluso la necessità di chiedere chiarimenti all’interessato per essere state completamente indagate le ragioni che hanno spinto il richiedente a lasciare il proprio Paese e dall’altro avrebbe confermato la valutazione di inattendibilità del racconto rispetto alla storia narrata.

Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti con riferimento alla situazione di emergenza sanitaria in corso, la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della disciplina prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella versione anteriore alla L. n. 132 del 2018.

Si lamenta che il primo Giudice avrebbe omesso di considerare il rischio a cui andrebbe incontro il ricorrente in caso di rientro in Patria a causa del dilagare della pandemia da Covid 19 e del pericolo dello stesso di non poter fruire di quelle cure mediche di cui godrebbe rimanendo in Italia.

Il primo motivo è inammissibile.

Al riguardo va data continuità all’orientamento formatosi sul testo del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, per cui il giudice che sia investito del ricorso contro il provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale può esimersi dall’audizione del richiedente se a quest’ultimo, nella fase amministrativa, sia stata data la facoltà di essere sentito e il verbale del colloquio, ove avvenuto, sia stato reso disponibile (Cass., 17 luglio 2020, n. 15318).

Difatti nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria, ove sia mancata la videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione territoriale, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia stata garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni o davanti alla commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale (Cass., 20 gennaio 2020, n. 1088; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5973).

In proposito, questa Corte ha ripetutamente affermato che nessuna violazione processuale è ravvisabile, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (Cass., 29 maggio 2019, n. 14600).

In tal caso, quindi, nell’omessa audizione personale del richiedente non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, poiché l’audizione comunque non si traduce in un incombente automatico neppure dinanzi all’affermata non credibilità del racconto.

Vi è semmai il diritto della parte di richiedere l’audizione personale a fronte di specifiche circostanze di fatto che si intendano chiarire, situazione giuridica soggettiva quest’ultima, tuttavia, cui si collega il potere officioso del giudice di valutare la rilevanza di quelle circostanze nel complesso degli elementi acquisiti, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dagli atti e di quelli emersi attraverso l’audizione svoltasi nella fase amministrativa (Cass., 7 febbraio 2018, n. 3003). Questa Corte, di recente, ha affermato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).

Ancor più di recente è stato, quindi, ribadito che l’audizione non è un obbligo, ma una facoltà che ha come presupposto imprescindibile l’esplicitazione dei motivi della decisione assunta al riguardo, a fronte della quale non si pone il diritto potestativo del ricorrente, come sarebbe se al fondo di essa fosse riscontrabile un incombente processuale automatico, necessariamente insito nella fissazione dell’udienza e tale da impedire al giudice di rigettare altrimenti la domanda e che il corredo esplicativo dell’istanza di audizione deve risultare anche dal ricorso per cassazione, in prospettiva di autosufficienza; nel senso che il ricorso, col quale si assuma violata l’istanza di audizione, implica che sia soddisfatto da parte del ricorrente l’onere di specificità della censura, con indicazione puntuale dei fatti a suo tempo dedotti a fondamento di quell’istanza (Cass., 11 novembre 2020, n. 25312).

Tanto premesso, nel caso in esame, il ricorrente non ha indicato le specifiche circostanze fattuali su cui avrebbe voluto essere sentito, né l’incidenza di tali fatti nella fattispecie in esame, precisando che con l’audizione avrebbe volere chiarire ciò che fosse stato ritenuto (dal Tribunale) di dubbia credibilità, con la conseguenza che la censura si appalesa del tutto generica e, per conseguenza, priva di decisività e ciò avuto riguardo anche alle motivazioni spiegate dal Tribunale, alla pagina 4 del provvedimento impugnato sulle dichiarazioni del richiedente asilo.

Il secondo motivo è parimenti inammissibile per difetto di specificità.

Giova ricordare che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza e, tuttavia, non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass., 28 giugno 2018, n. 17072; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459).Così facendo, infatti, si prenderebbe altrimenti in considerazione, piuttosto che la situazione particolare del singolo soggetto, quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali e astratti, di per sé inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass., 3 aprile 2019, n. 9304; Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459). Il Tribunale ha motivato il rigetto della misura rilevando che il richiedente,pur trovandosi in Italia sin dal 2017,non aveva documentato una sufficiente integrazione sul territorio italiano né fornito prova di svolgimento di una attività lavorativa regolare dalla quale trarre il proprio sostentamento nonché la mancata deduzione di condizioni di vulnerabilità soggettiva con riferimento alla personale vicenda narrata.

A fronte di tale linea argomentativa nessuna specifica doglianza è stata mossa dal ricorrente il quale si è limitato a denunciare l’omessa valutazione da parte del Tribunale degli effetti della Pandemia, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria,.

Si tratta di una questione che tuttavia non può trovare ingresso in questa sede, non essendo stata trattata nel decreto impugnato, e non avendo il ricorrente precisato in quale fase ed in quale atto del giudizio di merito il relativo timore sia stato prospettato (cfr. Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2038; 9/08/2018, n. 20694; Cass., Sez. VI, 13/06/2018, n. 15430).

Con riguardo poi all’ipotizzato profilo di illegittimità del D.L. n. 13 del 2017 convertito nella L. n. 46 del 2017 per la soppressione del giudizio di appello si osserva che la questione di legittimità costituzionale è già stata da tempo delibata da questa Corte, nel senso che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, nella parte in cui dispone che il procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, in riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost., (Cass. 13 dicembre 2018, n. 32321).

Al riguardo va, peraltro, tenuto conto anche del fatto che il procedimento giurisdizionale è comunque preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione (Cass. n. 27700 del 2018; Cass. n. 28119 del 2018). Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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