Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26644 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25240-2019 proposto da:

E.J., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e rappresentato e difeso dall’Avvocato Antonio Almiento con studio in Oria (BR) Vico Torre S. susanna, n. 18;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, ope legis domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Lecce, depositato il 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere CASADONTE Annamaria.

RILEVATO IN FATTO

che:

– E.J., cittadino nigeriano, ha impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Lecce che ha respinto il di lui ricorso avverso il diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria così come del riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

– a sostegno delle domande di protezione egli ha allegato di essere originario di un Villaggio del Delta State, di religione cristiana, di non essere sposato e di non avere figli; ha dichiarato di avere lasciato la Nigeria per il timore di essere ucciso perché, dopo la morte del padre che gli aveva lasciato in eredità un terreno era insorto un dissidio con il capo villaggio che voleva impossessarsi di quel) terreno; nell’ambito di tale contrasto due persone si erano presentate presso la sua dimora armate di machete ed egli era riuscito a fuggire dal suo paese raggiungendo la Libia, dove aveva lavorato per due mesi come imbianchino prima di imbarcarsi per l’Italia;

– il tribunale osservava che il timore espresso dal richiedente non integrava la fattispecie per il riconoscimento dello status di rifugiato; statuiva inoltre che neppure ricorrono nella vicenda del richiedente asilo le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b); con riguardo alla fattispecie sub lett. c) dell’art. 14 cit., le fonti informative consultate escludevano che la zona del Delta State fosse caratterizzata da violenza indiscriminata;

– con riguardo, infine, alla protezione umanitaria, il giudice ha osservato che nessuna attività lavorativa regolare era stata allegata, né le condizioni di salute legate al pericolo di contrarre il virus della Febbre di Lassa integravano profili di vulnerabilità soggettiva rilevanti quali seri motivi di carattere umanitario per escludere il rimpatrio del ricorrente;

– la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di sei motivi, illustrati da memoria;

– l’intimato Ministero si è costituito ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per avere sopravvalutato alcune imprecisioni nel racconto del ricorrente in commissione e per la mancata applicazione del principio del c.d. onere probatorio attenuato;

– la censura è inammissibile perché generica, limitandosi al richiamo di principi di diritto, la cui rilevanza non è contestualizzata attraverso la necessaria specifica indicazione degli eventuali punti di criticità rilevati nel giudizio di credibilità svolto dal giudice del merito;

– il ricorrente infatti accenna a “talune imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto del richiedente la protezione” (cfr. pag. 6 del ricorso) ma non li specifica ulteriormente sicché appare impossibile apprezzarne la rilevanza;

– con il secondo motivo si denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per omesso esame del ricorrente;

– la censura è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c. poiché a fondamento del vizio asseritamente consistente nell’omessa audizione del richiedente asilo, si deduce la sentenza n. 17717/2018 che concerne il diverso obbligo di fissazione dell’udienza, obbligo pacificamente ottemperato nel caso di specie, mentre, come affermato dal tribunale in ossequio al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10 e 11 e chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (cfr. Cass. 21584/2020; id. 22049/2020; id.26124/2020);

– il motivo non si confronta con i suddetti principi puntualmente applicati dal giudice del merito ed e’, pertanto, destinato alla declaratoria di inammissibilità;

– con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto o del procedimento per violazione del potere-dovere ufficioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente della Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. Un. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 ed alla direttiva 2004/83/CE, nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevante in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

– inoltre si deduce l’omessa, erronea e/o insufficiente valutazione della situazione epidemica riferita alla Febbre di Lassa;

– la censura è inammissibile poiché contesta genericamente la violazione del dovere di cooperazione ufficiosa che, invece, il Tribunale di Lecce ha puntualmente osservato, acquisendo numerosi report, documentando in termini aggiornati, grazie al report di Human Rights Watch del 20:19, la situazione sociopolitica della zona del Delta State dalla quale proviene il richiedente; a fronte di ciò nessun report o Coi è stata allegata dal ricorrente al fine di giustificare nel merito una conclusione diversa da quella censurata (cfr. Cass. 22769/2020);

– con riguardo all’allegata emergenza sanitaria connessa alla Febbre di Lassa la censura è pure inammissibile perché il tribunale ha approfondito e documentato l’accertamento svolto tramite le fonti informative al fine di verificare l’entità dell’esposizione al rischio connessa al rientro nel paese di provenienza (cfr. pagg. 11, 12 e 13 dei decreto) e ha ritenuto motivatamente di poterlo escludere sulla base di report specificamente indicati e non efficacemente contestati da quello del World Health Organization del 23 marzo 2018 né da quello del NCDC relativo alla prima metà del 2019, solo parzialmente trascritto nel ricorso senza l’indicazione dell’evoluzione del rischio sanitario per la popolazione delle aree interessate e pertanto non in grado di confutare la valutazione in proposito svolta dal giudice del merito;

– con il quarto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine;

– il motivo è inammissibile perché il tribunale ha valutato la sussistenza dei presupposti di cui alle ipotesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b), escludendo di ravvisare nella vicenda narrata il fondato rischio di essere esposto a condanna a morte o all’esecuzione nonché a tortura o altra forma di pena trattamento inumano o degradante;

– con riguardo poi alla ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il tribunale ha, come già osservato in relazione al terzo motivo, dettagliatamente documentato la situazione socio-politica confrontando quella del distretto di provenienza del richiedente con quella di altri distretti e ha concluso con un apprezzamento di fatto, insindacabile nei termini formulati dal ricorrente, per l’insussistenza di un conflitto armato in corso nel Delta State di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nell’area in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona;

-con il quinto motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1 alla L. n. 110 del 2017, all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il tribunale errato nel non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi posta correre gravi rischi;

– con il sesto motivo si denuncia la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 8 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;

– il quinto e sesto motivo riguardano il mancato riconoscimento della protezione umanitaria e possono essere esaminati congiuntamente;

– le censura sono entrambe inammissibili;

– il tribunale ha escluso, dal punto di vista oggettivo, la ravvisabilità dei seri motivi umanitari per il rilascio del permesso di soggiorno, in ragione della generica allegazione della violazione dei diritti fondamentali nel paese di origine;

– con riguardo alla condizione soggettiva del richiedente, il tribunale ha, poi, evidenziato la mancanza di prova in ordine alla attività lavorativa regolare, da cui desumere un’adeguata integrazione sul territorio dello Stato, così come l’inesistenza di patologie che pregiudichino la salute psicofisica, né l’esistenza di situazioni familiari personali che possano integrare profili di vulnerabilità soggettiva;

– tali specifiche considerazioni investono sia il profilo oggettivo che quello soggettivo dei possibili “seri motivi umanitari ” rilevanti ai fini del riconoscimento del relativo permesso di soggiorno;

– esse non sono fatte oggetto di specifica critica poiché il ricorrente si limita a censurare la mancata considerazione della condizione di precarierà sul piano lavorativo senza indicare altri elmenti eventualmente allegati ai fini della valutazione della personale vulnerabilità, con la conseguenza che la censura sul punto non inficia la valutazione complessiva operata dal tribunale per motivare il diniego;

-l’inammissibilità di tutti i motivi comporta l’inammissibilità del ricorso;

– nulla va disposto sulle spese in mancanza di effettiva attività difensiva da parte del Ministero dell’interno;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dii un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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