LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 11591/2019 proposto da:
A.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Alberto Bellet, domiciliato presso il suo studio in Roma, via del Tritone, n. 169, in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di BRESCIA, n. 1152/2009, pubblicato il 6 marzo 2019.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere CARADONNA Lunella.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. Con Decreto del 6 marzo 2019, il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda presentata da A.A., nato a Mehrpur, in Bangladesh, di riconoscimento della protezione internazionale, confermando il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale.
Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso A.A. affidato a quattro motivi.
Il ricorrente ha dichiarato di essere stato costretto a lasciare il paese per le continue minacce ricevute dai membri dell’Awami League, partito di maggioranza al potere, essendo lui segretario di pubblicità del partito Chattro Shibir ed occupandosi di pubblicizzare le riunioni e gli eventi del partito.
Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso M.N. affidato a quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno si è costituito ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Deve osservarsi preliminarmente, che, con ordinanza interlocutoria del 23 giugno 2021, n. 17970, questa Corte ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con gli artt. 3,10,24,111 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 28 e 46, p. 11, della direttiva 2013/32/UE (Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale), nonché agli artt. 18, 19, p. 2 e 47 della Carta dei diritti UE e agli artt. 6, 7, 13 e 14 della CEDU, la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 13, nella parte in cui, secondo l’interpretazione adottata nell’esercizio della funzione nomofilattica dalle Sezioni Unite, con sentenza 1 giugno 2021, n. 15177, da ritenersi diritto vivente, prevede che la mancanza della certificazione della data di rilascio della procura da parte del difensore, limitatamente ai procedimenti di protezione internazionale, determini la inammissibilità del ricorso.
1.1 Nel caso di specie la procura speciale conferita il 20 marzo 2019 al difensore in calce al ricorso per cassazione non rispetta il citato il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come interpretato dalle Sezioni Unite, perché totalmente priva della necessaria certificazione della data di rilascio successiva alla pronuncia del decreto impugnato.
1.2 Ciò posto, deve osservarsi che la questione di legittimità costituzionale rimessa alla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 17970/2021 non assume rilievo decisivo ai fini della definizione della lite, alla stregua del principio della ragion più liquida conforme al generale principio di economia processuale, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost.; in tal modo la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica.
Il ricorso in questione appare, infatti, inammissibile anche nel suo contenuto, con totale equivalenza dell’epilogo decisorio, della statuizione adottata e dei suoi effetti giuridici.
2. Con il primo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, avendo il Tribunale di Brescia motivato il rigetto della richiesta di protezione internazionale per la contraddittorietà e inverosimiglianza delle dichiarazioni rese.
3. Con il secondo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 12, avendo il Tribunale motivato illegittimamente che le dichiarazioni del ricorrente imponevano il rigetto della domanda.
3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente, poiché riguardano il riconoscimento dello status di rifugiato, sono inammissibili, perché il ricorrente censura la valutazione di non credibilità della sua vicenda personale, sollecitando, inammissibilmente, la rivalutazione di un apprezzamento di merito, che, nel caso di specie, è stato idoneamente motivato e non è pertanto sindacabile in sede di legittimità (Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).
3.2 I giudici di merito, infatti, hanno ritenuto che, anche all’esito dell’audizione disposta dal Tribunale, la vicenda personale del ricorrente non consentiva alcun vaglio critico in ordine alla sua credibilità, in quanto vaga e niente affatto circostanziata in ordine al contesto in cui era maturata la decisione di espatriare e alla sua appartenenza al partito Jamat Shibir e che ciò trovava conferma anche nel tenore letterale delle dichiarazioni rese alla Commissione territoriale competente (cfr. pagine 3 e 4 del decreto impugnato).
Si tratta di ragioni del decidere che non sono state affatto censurate dal ricorrente e, comunque, inidonee ad integrare i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, come affermato dal Tribunale a pag. 4 del provvedimento impugnato, sicché la doglianza costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali, dandone adeguata motivazione, neppure idoneamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
4. Con il terzo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non avendo il Tribunale ritenuto sussistente il pericolo derivante dal danno grave in ragione delle minacce di morte ricevute da parte degli esponenti del partito politico Awami League e avendo i giudici di merito, con motivazione irragionevole, riconosciuto l’esistenza di un conflitto armato, ma non abbastanza grave ed incontrollato.
4.1 Il motivo è inammissibile.
4.2 E’, in primo luogo, inammissibile perché non coglie il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”, avendo il Tribunale rigettato la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), per la scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.
4.3 Il motivo e’, in secondo luogo, inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso.
4.4 Il Tribunale, in particolare, ha provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, affermando che la situazione creata da scontri violenti ed isolati tra sostenitori dell’Awami League e del Bangladesh Nationalist Party non aveva determinato una perdita di controllo del territorio da parte delle autorità governative, come riscontrato dalle fonti espressamente richiamate e aggiornate al 2017 (cfr. pag. 4 e 5 del decreto impugnato).
4.5 E’ utile ricordare che questa Corte, anche di recente, ha affermato che, in tema di protezione internazionale, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purché detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento – correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma (Cass., 2 marzo 2021, nn. 5675 e 5676).
5. Con il quarto motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, per non avere il Tribunale valutato la situazione di vulnerabilità del ricorrente e le serie minacce di morte ricevute dal ricorrente e l’alto rischio cui sarebbe sottoposto il ricorrente nel caso di rimpatrio.
5.1 Anche il quarto motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.
5.2 Il ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità.
5.3 Il Tribunale, in particolare, ha affermato che gli elementi emersi non offrivano alcuna evidenza in ordine ad una peculiare situazione di vulnerabilità del ricorrente e che non assumeva valore decisivo l’inserimento familiare, sociale, culturale e lavorativo in Italia, non essendo decisiva l’assunzione lavorativa ottenuta nei mesi compresi tra la richiesta di protezione internazionale ed il suo rigetto e che nel paese d’origine vivevano ancora tutti i parenti; il tribunale, inoltre, ha evidenziato che le criticità, pure esistenti in Bangladesh, non erano tali da dare luogo ad una vera e propria emergenza generalizzata (cfr. pag. 7 del decreto impugnato).
6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021