LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. G. S. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 10079/2019 proposto da:
H.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Roberto Maiorana, in virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
e Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di BRESCIA, n. 935/2019, pubblicato il 24 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/09/2021 dal Consigliere CARADONNA Lunella.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. Con Decreto del 24 febbraio 2019, il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda presentata da H.M., nato a Narandi, in Bangladesh, di riconoscimento della protezione internazionale, confermando il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale.
Il richiedente ha riferito che suo padre e suo fratello avevano avuto problemi per un terreno con una famiglia molto potente e di avere ricevuto minacce al rifiuto della richiesta di cessione di questo terreno; che si era sposato di nascosto con la figlia di questa famiglia e di avere avuto una bambina, nata muta, a causa di una caduta della moglie minacciata dal fratello; che si era stancato della vita che faceva, insieme alla moglie, sempre nascosti, e di essere espatriato per migliorare la situazione economica della famiglia, in accordo con la moglie.
Per la cassazione del decreto del Tribunale di Brescia ha proposto ricorso H.M. affidato a cinque motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, il mancato rispetto dalla previsione di cui all’art. 35 bis, comma 8, che rende obbligatoria l’audizione del ricorrente in assenza della disponibilità della videoregistrazione, come nel caso di specie.
1.1. Il motivo è inammissibile, avendo questa Corte, di recente, affermato che “Nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass., 7 ottobre 2020, n. 21584).
1.2 Il Tribunale, inoltre, con una ratio decidendi non espressamente censurata dal ricorrente, ha sostenuto che, a prescindere dalla credibilità o meno delle dichiarazioni rese, non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, avendo il richiedente riferito di essere un migrante economico.
2. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso e contraddittorio esame della condizione di pericolosità e delle situazioni di violenza generalizzata esistenti in Bangladesh.
2.1 Il motivo è inammissibile, avendo il Tribunale escluso la sussistenza di una minaccia grave alla vita o alla persona del ricorrente a causa di situazioni di conflitto armato interno in corso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base di fonti internazionali, espressamente richiamate e aggiornate al 2017 (pagg. 5 – 7 del provvedimento impugnato) ed avendo precisato, con specifico riguardo alla protezione umanitaria, che la situazione in Bangladesh presentava significative criticità sotto il profilo dei diritti fondamentali della persona, che tuttavia non erano tali da dare luogo ad una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata (pag. 9 del decreto impugnato).
3. Con il terzo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso ed erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente, sia ai fini della protezione sussidiaria, che della protezione umanitaria.
3.1 Il motivo è inammissibile, perché generico, a fronte delle specifiche considerazioni svolte dal Tribunale sull’insussistenza di un rischio di grave danno, tenuto conto di quanto riferito dal richiedente ai fini della protezione sussidiaria (cfr. pag. 2 del decreto impugnato) e sulla ritenuta insussistenza di un concreto pericolo di vita con riguardo alla protezione umanitaria, essendo il ricorrente “un giovane uomo nel pieno possesso di capacità lavorativa e con un lavoro specializzato (imbianchino) e privo si significative problematiche di salute” (pag. 8 del decreto impugnato).
3.2 Il motivo, inoltre, trascura del tutto di censurare l’iter argomentativo del Tribunale sull’integrazione sociale in Italia, laddove i giudici di merito hanno affermato che “la fattiva volontà di inserimento nel contesto sociale del paese ospitante non può essere elemento da solo idoneo a giustificare il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non delineando di per se stesso né una situazione di vulnerabilità, né la necessità di tutela di diritti umani fondamentali” (cfr. pag. 9 del provvedimento impugnato).
4. Con il quarto motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., nonché la contraddittorietà tra le fonti citate, il loro contenuto e le conclusioni raggiunte; il vizio di motivazione apparente e la mancata attualizzazione delle fonti alternative, avendo errato il Tribunale a non ritenere sussistenti le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria.
4.1 Il motivo, avuto riguardo alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c) è inammissibile, perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna del Bangladesh, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nella zona di provenienza del richiedente non si assisteva ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata e richiamando sul punto fonti aggiornate al 2017 (cfr. pagg. 5, 6 e 7 del decreto impugnato), così come quelle richiamate dal ricorrente.
4.2 Anche con specifico riguardo al riconoscimento della protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), rileva l’inammissibilità della censura, non avendo il ricorrente nemmeno prospettato il rischio di subire la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o ancora la possibilità di essere sottoposto a tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante nel suo paese di origine, come correttamente affermato dal Tribunale, a pag. 4 del decreto impugnato.
5. Con il quinto motivo si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 5, comma 6, e dell’art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, perché in caso di rimpatrio il ricorrente si troverebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale.
5.1 Il motivo, che sovrappone profili di censura già svolti, è inammissibile, avendo questa Corte, anche di recente, affermato che “In tema di protezione umanitaria, la condizione di vulnerabilità che legittima il rilascio del permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non comprende quella di svantaggio economico o di povertà estrema del richiedente asilo, perché non è ipotizzabile un obbligo dello Stato italiano di garantire ai cittadini stranieri parametri di benessere o di impedire, in caso di rimpatrio, l’insorgere di gravi difficoltà economiche e sociali” (Cass., 6 novembre 2020, n. 24904) ed ancora che “ai fini dell’accertamento della condizione di vulnerabilità del richiedente, all’esito della valutazione comparativa tra le condizioni di vita alle quali lo straniero sarebbe esposto ove rimpatriato ed il raggiunto grado di integrazione sociale nel nostro paese, la condizione di povertà del paese di provenienza può assumere rilievo ove considerata unitamente alla condizione di insuperabile indigenza alla quale, per ragioni individuali, il ricorrente sarebbe esposto ove rimpatriato, nel caso in cui la combinazione di tali elementi crei il pericolo di esporlo a condizioni incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali” (Cass., 4 settembre 2020, n. 18443), situazione quest’ultima, nel caso in esame, motivatamente esclusa a seguito della valutazione comparativa tra la situazione di radicamento del ricorrente nel paese di provenienza e la situazione di mancata integrazione in Italia.
6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021