Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26653 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TERUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23377/2020 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Pescara piazza S. Andrea 13, presso lo studio dell’avv. Antonino Cianfardini che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2005/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 03/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere RUSSO Rita.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Il ricorrente, cittadino bengalese, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di avere lasciato il paese dopo la morte dei genitori dato il rifiuto dei fratellastri di riconoscergli la sua parte di eredità e dopo avere preso in prestito da dei cugini il denaro necessario a raggiungere la Libia, dove è rimasto tre anni, raggiungendo poi l’Italia alla ricerca di un lavoro che gli consentisse di fare fronte ai debiti.

La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta. Il Tribunale dell’Aquila adito dal ricorrente, ha respinto il ricorso.

Il richiedente asilo ha proposto appello. La Corte d’appello dell’Aquila ha ritenuto il racconto lacunoso ma in ogni caso non rivelatore di alcun fattore di rischio in caso di rimpatrio, trattandosi di debiti contratti con i suoi familiari e non avendo egli prospettato il rischio di incolumità personale.

La Corte ha rilevato che, sulla base di informazioni tratte dal Report pubblicato dall’EASO nel 2017 e dai rapporti annuali di Amnesty International, che nel paese di origine del richiedente esistono delle criticità che però espongono a rischio concreto ed effettivo l’incolumità e la libertà solo di determinate categorie di persone quali gli oppositori politici, i giornalisti, gli stranieri, a nessuna delle quali appartiene l’odierno appellante e che il paese non è interessato da un conflitto armato che determina un grado di violenza indiscriminata tale da mettere a repentaglio la vita o la persona che si trovi nel territorio del Bangladesh. Ha infine negato il diritto alla protezione umanitaria rilevando che tra le situazioni di vulnerabilità, che giustificano la misura, non possono farsi rientrare sic et simpliciter le situazioni di povertà e che in ogni caso come il dimostrato dal rapporto EASO del 2017 il Bangladesh negli ultimi tempi ha conseguito una forte crescita economica.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi.

L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale.

La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.

RITENUTO IN DIRITTO

CHE:

1. – Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 1 settembre 2020, avverso una sentenza pubblicata in data 3 dicembre 2019, è tempestivo.

Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.

Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’H maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.

Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3, relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di in-candidabilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).

2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per motivazione carente, contraddittoria e apparente non essendo percepibile il fondamento della decisione. La parte deduce che in relazione alla domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. a) e b), la motivazione appare scarna e assolutamente insufficiente a evidenziare il ragionamento che ha portato il giudicante al rigetto della impugnazione. Le motivazioni sono stereotipate e richiamano normative e regolamenti in ciclostile riportate in tutte le sentenze in materia di immigrazione; manca inoltre qualsiasi valida motivazione se non il solito richiamo in ciclostile a norme e rapporti anche datati, con riferimento alla richiesta di tutela ai sensi dell’art. 14 lett. c) sulla cui concreta situazione evidenziata non è stata espressa neppure una parola. La Corte inoltre non avrebbe offerto alcuna prova sul fatto che il richiedente asilo non rischi la vita tornando nel suo paese.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e perché non coglie la ratio decidendi della sentenza della Corte d’appello.

La motivazione della Corte non è affatto stereotipata e in “ciclostile”, difetto che invece si può imputare al motivo di ricorso, posto che ha chiaramente escluso qualsiasi profilo di rischio individuale, e quindi il rischio di cui all’art. 14 lett. a) e b), fondandosi sulle stesse allegazioni del ricorrente il quale ha dichiarato di aver chiesto un prestito a dei familiari per lasciare il paese, ma non ha evidenziato rischi per la sua incolumità in relazione a detta vicenda in caso di rimpatrio; né tantomeno in ricorso si parla di questi presunti rischi e si indicano quelle parti dell’atto d’appello ove -in ipotesi- detti rischi sarebbero stati esplicitati.

Quanto al rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte di merito, dopo avere assolto all’onere di cooperazione istruttoria assumendo informazioni da fonti che ha indicato in ricorso, anche con riferimento alla data, ha chiaramente argomentato sull’assenza di un rischio da violenza indiscriminata derivante da conflitto, che riguarda cioè il civile per la sua sola presenza sul territorio (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019), rilevando che dalle informazioni assunte tramite le fonti citate in sentenza si evidenzia piuttosto una situazione di rischio per specifiche categorie legate all’attivismo politico.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per non avere la Corte valutato la situazione di ricorrente nel suo periodo di transito in Libia. La Corte non ha considerato che il richiedente ha affermato di avere subito trattamenti degradanti e disumani in Libia, da cui è fuggito anche a causa dello scoppio della guerra e che ha soggiornato in Libia per ben tre anni e pertanto poteva certamente dirsi radicato nel territorio; ciò in contrasto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, il quale che dispone che la domanda di protezione internazionale debba essere valutata alla luce di informazioni aggiornate precise sul paese d’origine del richiedente asilo e ove occorre del paese in cui questi sono transitati.

Anche questo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, prospettandone una lettura parziale e svincolata dalla effettiva motivazione resa dalla Corte, la quale ha evidenziato le ragioni per le quali considera soltanto la situazione socio economica del paese di provenienza e non anche quella della Libia, posto che non è in questo paese che il ricorrente verrebbe rimpatriato. Quanto al resto il motivo è estremamente generico nel parlare di “traumi subiti” dal richiedente asilo nel paese di transito, non specificando di quali traumi si tratti e in quale parte dell’atto d’appello abbia dedotto e illustrato questi trattamenti inumani e degradanti.

4. – Con il terzo motivo d’appello si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere la Corte ha riconosciuto la sussistenza dei motivi umanitari e la relativa tutela. Si deduce inoltre il vizio della sentenza impugnata per motivazione contraddittoria e apparente non essendo percepibile il fondamento della decisione. La parte deduce che dalla storia narrata si evince che gli ha subito gravissimi episodi di prevaricazione e violenza senza poter ottenere aiuto e giustizia; che ha esposto alla commissione le condizioni di grave disagio e povertà che caratterizzano la sua esistenza in Bangladesh e che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari rientra tra le misure idonee assicurare l’attuazione del diritto di ogni individuo a un livello di vita adeguato per sé per la propria famiglia.

il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha operato un giudizio di comparazione tra le condizioni di vita in Bangladesh così come accertate tramite l’assunzione di informazioni da fonti attendibili (Report EASO) e la posizione del ricorrente, concludendo per l’assenza di una condizione di vulnerabilità idonea a fondare il rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari e rilevando che di per sé la migrazione economica per il miglioramento delle proprie condizioni di vita non costituisce ragione sufficiente per questa forma di tutela, dovendosi invece ravvisare una violazione dei diritti fondamentali. Il giudice di merito si è quindi attenuto ai principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sez. un. 29459 del 13/11/2019) e pertanto il motivo tende a sollecitare una inammissibile revisione della valutazione in fatto.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di irregolare costituzione della controparte.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il Camera di consiglio, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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