Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, Ordinanza n.26656 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sezione –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. DORONZO Adriana – Presidente di Sezione –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4006-2020 proposto da:

CONSORZIO DI BONIFICA DI PIACENZA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE DE FINA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA REGIONALE PER LA PREVENZIONE, L’AMBIENTE E L’ENERGIA DELL’EMILIA ROMAGNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, rappresentata e difesa dagli avvocati PATRIZIA ONORATO e GIOVANNI FANTINI;

REGIONE EMILIA ROMAGNA, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, rappresentata e difesa dagli avvocati GAETANO PULIATTI e FABRIZIA SENOFONTE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 193/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 14/10/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2021 dal Consigliere COSENTINO ANTONELLO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale SALZANO FRANCESCO, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione vogliano rigettare il ricorso.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il Consorzio di Bonifica di Piacenza propose ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nei confronti dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna (ARPAE) e nei confronti della Regione Emilia-Romagna, esponendo:

– di essere titolare della concessione di cui al R.D. n. 9168 del 1919, successivamente modificato dal R.D. n. 3406 del 1937, di derivazione d’acqua pubblica superficiale ad uso irriguo del torrente Arda (nel Comune di Vernasca, provincia di Piacenza); in forza di tale concessione nei suddetto torrente sono collocati un serbatoio costruito con lo sbarramento dei corso d’acqua (diga di Mignano), nonché una traversa di regolazione tracimabile posta più a valle dell’alveo, in località Castell’Arquato, che consente la distribuzione dell’acqua attraverso apposite prese in sponda destra e sinistra tramite i canali adduttori;

che la suddetta concessione prevedeva in capo al Consorzio l’obbligo di non turbare il regolare funzionamento dell’Acquedotto di Vai d’Arda, finalizzato all’approvvigionamento di acqua potabile, garantendo il prelievo di una portata massima di 40 l/s dell’acqua deviata dalla diga di Mignano;

che, con atto del 14.04.1987, esso Consorzio di Bonifica si era accordato con il Consorzio Acquedotto (poi divenuto Agenzia Territoriale dell’Emilia-Romagna per i Servizi Idrici e i Rifiuti, nel prosieguo ATERSIR), consentendo a quest’ultimo di effettuare la derivazione d’acqua ad uso civile dal serbatoio di Mignano fino ad una portata massima di 110 1/s e assicurando, alla fine della stagione irrigua, una riserva d’acqua di 466.560 m3;

– che in data 31.08.2017 l’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna (ARPAE), in sede di rinnovo della suddetta concessione di derivazione ad uso irriguo, aveva adottato la Determinazione Dirigenziale n. 4605 che – facendo applicazione dei criteri di definizione dei valori di deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua regionali aggiornati con la delibera della Giunta Regionale n. 2067/2015, Allegato D stabiliva che:

a) all’altezza della diga di Mignano, i valori di deflusso minimo vitale del torrente Arda equivalessero a 250 l/s nel periodo invernale (1 ottobre/31 marzo) e a 170 l/s nel periodo estivo (1 aprile/30 settembre), invece che ai precedenti valori di 101 l/s;

b) all’altezza di Castell’Arquato i valori di deflusso minimo vitale del torrente Arda equivalessero a 260 l/s nel periodo invernale e a 180 1/s nel periodo estivo, invece che ai valori di 106 1/s;

c) presso la diga di Mignano fossero garantiti a favore di ATERSIR volumi d’acqua predefinitì per ogni mese.

Tanto premesso, il Consorzio di Bonifica di Piacenza chiedeva l’annullamento parziale della menzionata Determinazione Dirigenziale 4605/2017 dell’ARPAE e, per l’effetto, che fossero confermati sia precedenti valori di deflusso minimo vitale del torrente Arda – presso la diga di Mignano e presso Castell’Arquato – sia il valore residuo di acqua nella diga nella misura stabilita con la convenzione del 1987.

2. Segnatamente, col primo motivo di ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche si censurava il provvedimento impugnato – sotto il profilo della violazione del R.D. n. 1775 del 1933 e del D.Lgs. n. 152 del 2006 e dell’eccesso di potere – per essere stato emesso sulla scorta dei criteri di definizione dei valori dei valori di deflusso minimo vitale contenuti nella deliberazione della Giunta Regionale dell’Emilia Romagna n. 2067/2015. Secondo il Consorzio di Bonifica tali criteri non sarebbero stati applicabili perché:

1) essi non erano stati recepiti nel Piano di Gestione del fiume Po 20152021 (di seguito PdGPo) approvato con D.P.C.M. 27.10.2016. In attuazione del PdGPo, precisa il ricorrente, i metodi di calcolo dei deflusso minimo vitale erano stati aggiornati con il Decreto Direttoriale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (da ora: MATTM) n. 30/2017, in coerenza alle indicazioni sul deflusso ecologico a sostegno del raggiungimento degli obbiettivi di qualità definiti nella Direttiva 1000/60 CE (Direttiva Quadro Acque);

2) detti criteri risultavano formulati in difformità rispetto alle linee guida (c.d. mu(tifattoriali) contenute nel suddetto Decreto Direttoriale MATTM n. 30/2017, adottato in attuazione del PdGPo, in quanto – invece di tener conto di tutti gli attributi del corso d’acqua considerati in dette linee guida, ossia durata, intensità, frequenza, stagionalità e rapidità di variazione definivano il deflusso minimo vitale come portata costante e si basavano sulla portata media;

3) la variazione dei criteri di definizione dei valori di deflusso minimo vitale fissati nel Piano Tutela Acque dalla Regione Emilia-Romagna non poteva essere validamente introdotta con una Deliberazione della Giunta Regionale, ma richiedeva, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 121, comma 5, l’attivazione del procedimento di revisione sessennale del Piano Tutela Acque approvato dalla Regione con la delibera dell’Assemblea legislativa n. 40 del 2005.

2.1. Breviter, ad avviso del Consorzio di Bonifica, la formula di calcolo dei valori di deflusso minimo vitale adottata nell’impugnata delibera dell’ARPAE si fondava su parametri, quelli fissati nella deliberazione della Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna n. 2067/2015, che non potevano essere utilizzati, sia per ragioni formali, in quanto non recepiti dal PdGPo e in quanto i valori di deflusso minimo vitale indicati nelle Piano Tutela Acque del 2005 non potevano essere modificati con una delibera di Giunta Regionale, sia per ragioni sostanziali, in quanto difformi rispetto ai criteri cd. multifattoriali contenuti nelle linee guida del Decreto Direttoriale dei MATTM n. 30/2017.

3. Col secondo motivo di ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche si censurava l’impugnata delibera dall’ARPAE per violazione di norme di legge statali e regionali, nonché per eccesso di potere causato da difetto di istruttoria, in relazione alla previsione dell’obbligo annuale di garantire a favore di ATERSIR, nel serbatoio della diga di Mignano, volumi d’acqua superiori, nel periodo estivo, rispetto a quelli fissati nell’accordo tra i Consorzio di Bonifica e il Consorzio Acquedotto del 1987. Si lamentava, inoltre, che tale aggravamento era stato stabilito senza alcun previo coinvolgimento del Consorzio medesimo e senza che al medesimo fosse stato riconosciuto alcun ristoro per i maggiori costi di accumulo dell’acqua, in violazione del Regolamento Regionale n. 41 del 2001, art. 29. Si deduceva, inoltre, come nella delibera impugnata non risultassero indicate le ragioni giustificatrici di tale aggravamento, salvo un generico ed insufficiente richiamo alla priorità dell’uso potabile dell’acqua sull’uso irriguo.

4. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha rigettato il ricorso sulla scorta delle argomentazioni di seguito riassunte.

4.1. In primo luogo il Tribunale Superiore ha sottolineato la stretta interconnessione tra il Piano di Gestione del Po e il Piano di Tutela delle Acque dell’Emilia Romagna: la determinazione dei valori di deflusso minimo vitale, si argomenta nell’impugnata sentenza, è di competenza delle Regioni, alle quali – ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 121, – è demandata stesura dei Piani di Tutela delle Acque, che devono essere coerenti con i Piani di Gestione dei bacini idrografici in cui i corsi d’acqua regionali si inseriscono (pag. 7-10 sent. impugnata).

4.2. Tanto premesso, il Tribunale Superiore ha rilevato, sul piano formale, che la deliberazione della Giunta Regionale 2067/2015 era stata legittimamente emanata in attuazione e aggiornamento del Piano Tutela Acque del 2005 ai sensi dell’art. 8 dello stesso Piano; né serviva alcuna procedura apposita (pag. 12 sent.).

4.3. Inoltre, sul piano sostanziale, l’aggiornamento suddetto aveva reso “multifattoriale” il calcolo dei valori di deflusso minimo vitale, giacché, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la deliberazione della Giunta Regionale non si fondava sul criterio della portata media, bensì su una metodologia “multicriterio/fattoriale” basata sulla combinazione della componente idrologica e di quella morfologica ambientale (pag. 10 sent,).

4.4. Quanto al denunciato contrasto tra la delibera di Giunta Regionale 2067/2015 e le linee guida contenute nel Decreto Direttoriale MATTM n. 30/2017, il Tribunale Superiore ha preliminarmente richiamato il principio, espresso in SSUU n. 10018/19, alla cui stregua la pubblica amministrazione (i.e. la Giunta Regionale) ben può fissare parametri più rigorosi rispetto a quelli contenuti nelle linee guida statali, poiché esse non esauriscono la discrezionalità dell’Amministrazione; assunto, quest’ultimo, coerente col “principio di precauzione” di cui all’art. 191 TFUE.

4.5. Svolta tale premessa, il Tribunale Superiore ha comunque rilevato, nel merito, che l’allegato D della delibera di Giunta Regionale 2067/2015 risulta coerente con la Direttiva Deflussi Ecologici n. 4/17 adottata dall’Autorità di Bacino in attuazione del PdGPo (su detta Direttiva Deflussi Ecologici v. infra, p. 8.2), cosicché il Piano Tutela Acque, come modificato dalla delibera di Giunta Regionale 2067/2015, risu(ta parte integrante del PdGPo e corrispondente alle direttive dell’Autorità di Bacino (pag. 12-13); donde l’irrilevanza del Decreto Direttoriale MATTM n. 30/2017, il quale peraltro, si precisa nella sentenza gravata, non è qualificabile come fonte normativa (pag. 13 sent.). Legittimamente quindi l’impugnata Determinazione Dirigenziale dell’ARPAE aveva recepito i valori di deflusso minimo vitale indicati nell’Allegato D alla delibera di Giunta Regionale 2067/2015.

4.6. Riguardo alla doglianza relativa all’aumento dei volumi d’acqua da lasciare a disposizione dell’ATERSIR nel serbatoio della diga di Mignano, i Tribunale Superiore ha considerato priva di rilevanza giuridica l’aspettativa di fatto che il Consorzio di Bonifica riponeva ne mantenimento dello status quo ante dei livelli di acqua da riservare all’uso potabile. Ciò, in quanto, si legge nell’impugnata sentenza, il concedente ha il potere di fissare la riserva a favore dell’uso potabile, essendo quest’ultima funzionale a tutelare un interesse pubblico preminente rispetto agli interessi economici (di irrigazione) del Consorzio. Il Tribunale Superiore ha altresì disatteso l’assunto del Consorzio di Bonifica che tra quest’ultimo e l’ATERSIR sussistesse un rapporto di sottensione ex art. 29 del regolamento regionale n. 41/2001.

5. Per la cassazione della sentenza della Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche il Consorzio di Bonifica di Piacenza ha proposto ricorso sulla scorta di due motivi. Tanto la Regione Emilia-Romagna quanto l’ARPAE hanno depositato controricorso. La causa è stata chiamata nella camera di consiglio del 25 maggio 2021, per la tutte le parti hanno depositato memorie ed il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.

6. Col primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 12 bis; del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 88, comma 1, lett. p), in relazione all’inosservanza del D.D. MATTM n. 30 del 2017; del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 65 e 121. Deduce inoltre la violazione del principio di precauzione. Il ricorrente sostiene che il Decreto Direttoriale 30/2017 del MATTM è un atto di normazione secondaria, come tale vincolante per la Regione – la quale, quindi, non avrebbe potuto discostarsene – ai fini della determinazione dei criteri di fissazione dei valori di deflusso minimo vitale. Il ricorrente, inoltre, reitera la tesi che la rideterminazione di detti criteri (che avrebbe dovuto conformarsi al suddetto Decreto Direttoriale de MATTM) non si sarebbe potuta effettuare se non all’interno del procedimento di aggiornamento sessennale del Piano Tutela Acque regionale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 121, comma 5; donde l’illegittimità della delibera di Giunta Regionale 2067/2015 posta a base dell’impugnata Determinazione dell’ARPAE.

7. Prima di procedere all’esame della motivo di ricorso è opportuno ricostruire il quadro normativo della materia, nei limiti di quanto rileva ai fini della decisione. Il Piano di Tutela delle Acque della Regione Emilia-Romagna è stato emanato nel 2005, sotto la vigenza del D.Lgs. n. 152 del 1999 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole), prima dell’entrata in vigore del più volte citato D.Lgs. n. 152 del 2006.

7.1. Come stabilito dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 44, “Il piano di tutela delle acque costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi della L. 18 maggio 1989, n. 183, art. 17, comma 6-ter, ed è articolato secondo le specifiche indicate nell’allegato 4 (comma 1). Entro il 31 dicembre 2001 le autorità di bacino di rilievo nazionale ed interregionale, sentite le province e le autorità d’ambito, definiscono gli obiettivi su scala di bacino, cui devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli interventi. Entro il 31 dicembre 2003, le regioni, sentite le province, previa adozione delle eventuali misure di salvaguardia, adottano il piano di tutela delle acque e lo trasmettono alle competenti autorità di bacino (comma 2). Il piano di tutela contiene, oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di cui al presente decreto, le misure necessarie alla tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico (comma 3)”. Per dare contezza dei contenuto dei Piano Tutela Acque, è utile riportare anche il comma 4 dell’articolo in 44 in esame, che recita “il piano di tutela contiene in particolare: a) i risultati dell’attività conoscitiva; b) l’individuazione degli obiettivi di qualità ambientale e per specifica destinazione; c) l’elenco dei corpi idrici a specifica destinazione e delle aree richiedenti specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento; d) le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico; e) l’indicazione della cadenza temporale degli interventi e delle relative priorità; f) il programma di verifica dell’efficacia degli interventi previsti; g) gli interventi di bonifica dei corpi idrici”.

7.2. Il Piano Tutela Acque – finalizzato, per quel che qui interessa, alla tutela quantitativa delle acque (si veda la lett. “d” del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 44, comma 4, sopra riportato) – è quindi elaborato dalle Regioni in coerenza con le indicazioni del piano di bacino; quest’ultimo, a propria volta, è definito dalla L. n. 183 del 1989, art. 17, comma 1 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo) come “lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato”. Dalle norme citate emerge dunque uno stretto collegamento tra il piano di bacino e il Piano Tutela Acque, presentandosi quest’ultimo come strumento attuativo del primo, con il quale deve coordinarsi, nell’ambito territoriale di ciascuna delle regioni che fanno parte del bacino idrografico.

7.3. Va altresì aggiunto che i Piani Tutela Acque dovevano essere redatti tenendo conto del deflusso minimo vitale dei corsi d’acqua. Il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 2, stabiliva infatti: “nei piani di tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l’equilibrio del bilancio idrico come definito dall’Autorità di bacino, (…) nel rispetto delle priorità della L. 5 gennaio 1994, n. 36, e tenendo conto (…) dei fabbisogni, delle disponibilità, dei minimo deflusso vitale, (…) della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d’uso della risorsa compatibili con e relative caratteristiche qualitative e quantitative”. La definizione tecnica di “deflusso minimo vitale” era rimessa, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 4, al Ministro dei lavori pubblici (“il Ministro dei lavori pubblici provvede (…) entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto a definire, di concerto con gli altri Ministri competenti e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, le linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale”). I valori di deflusso minimo vitale, specificava il comma 5 dello stesso art. 22, erano necessari proprio ai fini della regolazione delle derivazioni d’acqua: “tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto sono regolate dall’autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici come previsto dalla L. 18 maggio 1989, n. 183, art. 3, comma 1, lett. i) e dalla L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 3, comma 3, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione”. Il sistema normativo emergente da tali disposizioni risulta quindi plurilivello poiché il Piano Tutela Acque, oltre a dover essere conforme al Piano di Bacino, doveva prevedere anche i valori dei deflussi minimi vitali dei corsi d’acqua della Regione, secondo i criteri di definizione di tali valori dettati dal Ministero dei lavori pubblici.

7.4. Per l’attuazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 4, il Ministero dell’Ambiente (al quale il D.P.C.M. 10 aprile 2001, art. 1, comma 2, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 7 maggio 2001, aveva trasferito, dal Ministero dei lavori pubblici, la direzione generale della difesa del suolo e gli uffici con compiti in materia di gestione e tutela delle risorse idriche), emanò il decreto 28 luglio 2004 intitolato “Linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensive dei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflusso vitale, di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 22, comma 4”. Nell’allegato 1 di tale ultimo decreto si rinviene, all’art. 7.1., la definizione di deflusso minimo vitale, ovverosia la “portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso d’acqua, che deve garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corpo idrico, chimico-fisiche delle acque nonché il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali”. Si legge inoltre, nel successivo art. 7.2., che “Il deflusso minimo vitale rappresenta una portata di stretta attinenza al Piano di Tutela. Costituisce infatti sia un indicatore utile per le esigenze di tutela, sia uno strumento fondamentalmente per la disciplina delle concessioni di derivazione e di scarico delle acque”.

7.5. Il Piano Tutela Acque della Regione Emilia-Romagna, approvato con la deliberazione dell’Assemblea Legislativa n. 40/2005, trae fonte dalla suesposta normativa. Detto Piano è infatti definito come lo “strumento mediante il quale la Regione Emilia-Romagna LA persegue la tutela e risanamento delle acque superficiali marine e sotterranee secondo la disciplina generale definita dal D.Lgs. n. 152 del 1999” (art. 1 comma 2 TPA).

7.6. La normativa statale è stata innovata dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (Norme in materia ambientale), che ha abrogato, in particolare, la L. n. 183 del 1986 (v. D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 175, comma 1, lett. “I”) e il D.Lgs. n. 152 del 1999 (v. D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 175, comma 1, lett. “bb”) ed ha inoltre recepito la Direttiva 2000/60/CE, cd. Direttiva sulla Qualità delle Acque. In particolare, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 65, riproducendo quasi testualmente L. n. 183 del 1989, art. 17, comma 1 (v. supra, p. 7.2.) è dedicato ai Piani di Bacino. L’art. 117, in attuazione di quanto previsto dall’art. 13 della Direttiva 2000/60/CE, introduce i Piani di Gestione, definiti come “articolazione interna del Piano di bacino distrettuale di cui all’art. 65. Il Piano di gestione costituisce pertanto piano stralcio del Piano di bacino” (art. 117 comma 1). L’art. 121, che riproduce quasi testualmente D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 44 (v. supra p. 7.1.), è dedicato ai Piani di Tutela delle Acque. In sostanza il D.Lgs. n. 152 del 2006 ha riordinato la disciplina precedentemente contenuta, tra l’altro, nella L. n. 183 del 1989 e nel D.Lgs. n. 152 del 1999, integrandola con le innovazioni previste dalla Direttiva 2000/60/CE: i Piani Tutela Acque delle Regioni, invece di essere coordinati direttamente ai piani di bacino, sono ora riferiti ai Piani di Gestione (PdG), che dei piani di bacino costituiscono un’articolazione.

7.7. Immutato è rimasta la disposizione che i Piani Tutela Acque, per garantire la tutela quantitativa dei corsi d’acqua, devono contenere le specifiche indicazioni dei valori di deflusso minimo vitale: il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 95, commi 2, ricalca infatti quanto stabiliva il D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 2, (v. supra p. 7.3) affermando che “nei Piani di Tutela sono adottate le misure volte ad assicurare l’equilibrio dei bilancio idrico come definito dalle Autorità di bacino, nel rispetto delle priorità stabilite dalla normativa vigente e tenendo conto dei fabbisogni, delle disponibilità, del minimo deflusso vitale, della capacità di ravvenamento della falda e delle destinazioni d’uso della risorsa compatibili con le relative caratteristiche qualitative e quantitative”. Sostanzialmente identico è anche il tenore del comma 4, omologo del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 5 (riportato supra, v. p. 7.3). Detto il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 95, comma 4, recita, infatti: “Salvo quanto previsto al comma 5, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione”.

7.8. Nel contesto normativo del D.Lgs. n. 152 del 2006, i quale, si ripete, si colloca in sostanziale continuità con il D.Lgs. n. 152 del 1999, si inserisce la Deliberazione della giunta regionale dell’Emilia-Romagna n. 2067/2015 e, in particolar modo, l’Allegato D, contenente l’aggiornamento dei metodi di calcolo dei valori di deflusso vitale minimo contenuti nel Piano Tutela Acque regionale del 2005. Tale aggiornamento trova la propria fonte, tra l’altro, nell’art. 8, comma 2, dello stesso Piano Tutela Acque, alla cui stregua “Il PTA è modificato attraverso varianti o modifiche e integrazioni secondo le seguenti disposizioni: (…) lett. b): le modifiche e integrazioni agli elaborati cartografici o alle disposizioni normative del PTA di cui al comma 1, lett. a), del precedente art. 6, conseguenti ad approfondimenti conoscitivi, sono approvate con provvedimento della Giunta Regionale”.

7.9. Deve infine farsi menzione della Decreto Direttoriale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare n. 30/2017. Esso, all’art. 1, recita: “ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 88, comma 1, lett. p), sono approvate le “Linee guida per l’aggiornamento dei metodi di determinazione del deflusso minimo vitale al fine di garantire il mantenimento, nei corsi d’acqua, del deflusso ecologico a sostegno del raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti ai sensi della Direttiva 2000/60/CE del Parlamento e del consiglio Europeo del 23 ottobre 2000", contenute nell’allegato A, che costituisce parte integrante del presente decreto”. L’art. 2 recita: “le autorità di bacino distrettuali in quanto responsabili della funzione di coordinamento delle attività regionali finalizzate all’attuazione della direttiva 2000/60/CE, entro 10 mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, adeguano ai criteri di cui all’art. 1 gli approcci metodologici da utilizzare nei territori di rispettiva competenza per la determinazione del deflusso minimo vitale assicurando la coerenza tra tali approcci e le misure assunte nell’ambito di piani di gestione delle acque”.

8. Così ricostruito il quadro normativo che regola la materia, si può passare all’esame della primo motivo di ricorso. Esso è infondato.

8.1. In primo luogo, va condivisa la statuizione dell’impugnata sentenza che ha negato al Decreto Direttoriale del MATTM n. 30/2017 la qualifica di fonte normativa secondaria. La sentenza della Corte Costituzionale n. 11/2014, evocata dal ricorrente a pag.15 ricorso, non è pertinente, perché si riferisce – predicandone la natura di atti di formazione secondaria, in quanto costituenti, “in un ambito esclusivamente tecnico, il completamento del principio contenuto nella disposizione legislativa” – a Linee guida linee guida dettate da decreti ministeriali (nel caso all’esame della Corte costituzionale, il D.M. 10 settembre 2010 – Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). Anche queste Sezioni Unìte, con la sentenza n. 10018/2019, hanno riconosciuto valore di fonte secondaria al Decreto del Ministro dell’Ambiente del 28 luglio 2004, in quanto adottato in attuazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 22, comma 4. Il Decreto Direttoriale MATTM n. 30/2017, per contro, non è un decreto ministeriale – bensì, appunto, un decreto direttoriale – e non può ritenersi emesso in attuazione del disposto del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 95, comma 4, atteso l’espresso riferimento di tale disposizione ad un decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la conferenza Stato-Regioni, non già ad un decreto direttoriale.

8.2. In secondo luogo dalla ricostruzione normativa sopra riportata emerge come Decreto Direttoriale MATTM n. 30/2017 sia rivolto non alle Regioni, bensì alle Autorità di bacino, affinché queste ultime, nella redazione dei Piani di Gestione, adeguino gli approcci metodologici per il calcolo del deflusso vitale minimo; l’art. 2 del Decreto Direttoriale in esame, infattti, recita: “le Autorità di bacino distrettuali, in quanto responsabili della funzione di coordinamento delle attività regionali finalizzate all’attuazione della direttiva 2000/60/CE, entro 10 mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, adeguano ai criteri di cui all’art. 1 gli approcci metodologici da utilizzare, nei territori di rispettiva competenza, per la determinazione del deflusso minimo vitale, assicurando la coerenza tra tali approccio e le misure assunte nell’ambito di Piani di gestione delle acque”. Il suddetto Decreto Direttoriale non spiega quindi una diretta efficacia vincolante nei confronti delle Regioni, alle quali compete la redazione dei Piani Tutela Acque e dei successivi aggiornamenti (come quello di cui alla delibera di Giunta Regionale 2067/2015). Del resto proprio l’Autorità di Bacino del Po, in quanto destinataria delle disposizioni contenute nel ripetuto DD MATTM n. 30/2017, ha provveduto a dare alle stesse puntuale attuazione, adottando, nel 2017, la Direttiva Deflussi Ecologici (DDE) allegata alla deliberazione n. 4/2017 della Conferenza Istituzionale Permanente della stessa Autorità di bacino. Quest’ultima deliberazione, come riporta lo stesso ricorrente, prevede all’art. 5, commi 2 e 3, che “Nel rispetto dei principi di sussidiarietà e gradualità e delle scadenze fissata dalla DDE, le Regioni del Distretto procederanno ad adeguare progressivamente gli strumenti di pianificazione e gli atti in materia di tutela delle acque di propria competenza ai contenuti della DDE in adozione. (…) Entro 30 giugno 2018, le Regioni del Distretto, di concerto con l’Autorità di bacino distrettuale: a) verificano la coerenza delle metodologie di calcolo del deflusso minimo vitale già applicate sui territori di competenza rispetto a quella introdotta con la presente direttiva, provvedendo, ove necessario, ad aggiornare, nei territori di competenza, i valori dei parametri in essa previsti (…)”. Anche da tale disposto emerge, dunque, che compete pur sempre alle Regioni – in coerenza con il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., – il compito di verificare che i criteri di determinazione del deflusso minimo vitale fissati nei loro Piani Tutela Acque risultino coerenti con la Direttiva Deflussi Ecologici dell’Autorità di bacino, e, in ipotesi negativa, di provvedere all’aggiornamento di tali criteri.

8.3. Da ultimo va comunque soggiunto che la statuizione della sentenza impugnata secondo cui le previsioni dell’Allegato D alla delibera della Giunta Regionale 2067/2015 risultava coerente con la Direttiva Deflussi Ecologici n. 4/17 (si veda il paragrafo 4.5 che precede) non è stata adeguatamente censurata nel ricorso. Il ricorrente, infatti, non specifica sotto quale profilo ed in quale misura i calcoli dei valori di deflusso vitale minimo basati sui criteri della delibera della Giunta Regionale dell’Emilia-Romagna n. 2067/2015 differirebbero da quelli basati sulle indicazione offerte dal DD MATTM 30/2017. Su questo punto il ricorso (pagg. 16-20) risulta inammissibilmente generico, lasciando del tutto indeterminati termini del dedotto contrasto tra il Decreto Direttoriale MATTM e la delibera della Giunta Regionale emiliana in punto di metodologie di calcolo dei valori di deflusso minimo vitale.

8.4. Infine neppure può condividersi l’argomentazione del ricorrente secondo cui i criteri di determinazione dei valori di deflusso minimo vitale definiti nel Piano regionale di tutela delle acque non potrebbero essere modificati per mezzo di una delibera di Giunta Regionale. Come esattamente rilevato dal Tribunale Superiore, infatti, l’art. 8, comma 2, lett. b) del PTA dell’Emilia Romagna (sopra riportato nel p. 7.8.) prevede che le modifiche alle disposizioni normative dello stesso Piano che conseguano ad “approfondimenti conoscitivi” siano approvate proprio mediante deliberazioni della Giunta Regionale.

9. Col secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 4, il ricorrente deduce a nullità del procedimento e quindi della sentenza nonché la violazione degli artt. 132 e 115 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.. Nel mezzo di ricorso si argomenta che la sentenza impugnata risulterebbe incomprensibile per carenza di motivazione, non avendo il Tribunale Superiore indicato le ragioni per le quali ha negato che tra il Consorzio e ATERSIR sussistesse un rapporto di sottensione, disciplinato dall’art. 29 del Regolamento Regionale n. 41/2001.

9.1. Il motivo è infondato. La motivazione della sentenza impugnata, pur nella sua sinteticità, risulta idonea a manifestare con chiarezza la ratio decidendi, ossia che la destinazione a fini potabili dei prelievi di acqua effettuati dall’ATERSIR risulta di per sé incompatibile con il riconoscimento di qualsiasi forma di indennizzo in favore dei Consorzio. Non sussiste, quindi la dedotta nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, giacché la motivazione è esistente nonché, può aggiungersi, conforme all’insegnamento di queste Sezioni Unite alla cui stregua “in applicazione della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 2, l’uso potabile o per consumi umani delle acque pubbliche va riconosciuto come prevalente rispetto ad ogni altro, né dà diritto al pagamento di alcun canone a carico dei concessionari della stessa acqua ed a favore di chi ne fruisca ad altri fini” (sent. n. 25801/2013).

10. Il ricorso rigettato.

11. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Consorzio ricorrente a rifondere alle controricorrenti Regione Emilia-Romagna e Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna le spese del giudizio di cassazione, che liquida, per ciascuna controricorrente, in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dal L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il 25 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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