Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26658 del 30/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17330/2019 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in Benevento via Nicola Sala 29, presso lo studio dell’avv. Rocco Barbato, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Massimiliano Cornacchine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (*****), in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1207/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 04/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino nigeriano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere fuggito dal proprio paese a causa delle persecuzioni e minacce di morte subite dai membri di un culto religioso locale. La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta. Il Tribunale di Napoli, adito dal ricorrente, ha escluso il profilo di rischio individuale, ritenendo non credibili le sue dichiarazioni, ha escluso altresì la sussistenza del rischio di violenza indiscriminata derivante dal conflitto di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ed ha escluso, infine, la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, in mancanza di condizione di vulnerabilità e di integrazione sociale.

Il richiedente asilo ha proposto appello che è stato rigettato dalla Corte d’appello di Napoli sul rilievo che l’atto di appello è estremamente generico, in quanto si risolve in astratte argomentazioni giuridiche e in valutazioni di carattere geopolitico e che l’appellante non ha preso posizione su quanto argomentato dal Tribunale che non ha ritenuto credibile il racconto. La Corte ha comunque rilevato che nel paese di origine del richiedente la violenza generalizzata è diffusa solo nella zona nord e non anche nella zona di provenienza, che il racconto reso è stereotipato e che la condizione di integrazione sociale è soltanto dedotta ed in ogni caso non sufficiente ai fini della protezione umanitaria.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a sei motivi. L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.

RITENUTO

Che:

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e la nullità del provvedimento, stante il carattere apparente della motivazione sull’assenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e comunque sul giudizio di rilevanza del racconto del ricorrente e sulla minaccia di morte proveniente dai membri del culto religioso. Il ricorrente lamenta la mancanza, nella sentenza impugnata, della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione e che il Collegio si è limitato a richiamare la sentenza di primo grado con espressioni assolutamente generiche; deduce che nell’atto d’appello ha esposto di essere fuggito dal proprio paese a causa delle persecuzioni subite dai membri di una setta locale e la sussistenza dei motivi di persecuzione e del danno grave; deduce che a fronte di ciò la motivazione del caso si esaurisce in un’affermazione di condivisione delle argomentazioni adoperate dal giudice di prima istanza.

Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e la nullità del provvedimento, stante il carattere apparente della motivazione sul giudizio di non credibilità del racconto; evidenzia di avere reso un racconto dettagliato descrivendo i luoghi, i soggetti coinvolti e le modalità di accadimento degli eventi, mentre la motivazione della Corte risulta omessa sul punto della credibilità.

I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono inammissibili trattandosi di una generica affermazione della credibilità del racconto reso e del rischio di persecuzione a cui sarebbe esposto il richiedente asilo, che non costituisce una critica specifica alla ratio decidendi della sentenza impugnata, della quale offre una lettura parziale. Nella sentenza infatti è chiaramente affermato che a fronte di un giudizio di non credibilità già reso dal giudice di primo grado l’appellante non ha preso alcuna posizione su tale valutazione. La Corte ha quindi condiviso il giudizio reso dal primo giudice ritenendo il racconto stereotipato e valorizzando la mancanza di censure specifiche alle argomentazioni della sentenza del Tribunale.

I motivi difettano pertanto della specificità imposta dall’art. 366 c.p.c., nonché di attinenza al decisum, né la parte contrasta l’affermazione di genericità dell’appello riportandone le parti salienti dalle quali evincere se le affermazioni sulla credibilità del racconto sono state effettivamente specificamente censurate prendendo posizione sulle argomentazioni della sentenza di primo grado.

2.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la nullità per omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 9, 11 e 17, dell’art. 11, n. 1, lett. e) della direttiva 2004/83/CE nonché dell’art. 10 della Direttiva procedure 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ritenendo sussistente un errore in procedendo per avere il “Collegio di prima istanza” omesso l’esame dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria. Deduce che l’autorità amministrativa e giudiziaria nell’esaminare la domanda di protezione internazionale deve procedere anche d’ufficio all’esame della misura maggiore e quindi all’accertamento prima dello status di rifugiato e solo dopo aver escluso quest’ultimo verificare i presupposti per il riconoscimento della forma di protezione minore. Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 8 e art. 14, lett. c), nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8, 27 35 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché la motivazione contraddittoria e illogica circa un fatto decisivo sulla irrilevanza dei fatti narrati, in particolare sulla violazione di diritti umani e l’omessa assunzione di informazioni sul paese di origine nonché l’omessa valutazione delle minacce subite. La parte deduce che anche i soggetti non statuali possono essere responsabili di persecuzioni e il giudice avrebbe dovuto accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori, anche ufficiosi, e comunque assumendo informazioni sul paese d’origine e se le autorità statali sono in grado di offrire adeguata protezione.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono entrambi inammissibili difettando di specificità e di pertinenza ed attinenza alla decisione presa dalla Corte d’appello (e non già, come la parte deduce, del Collegio di prima istanza).

La Corte infatti, con giudizio conforme a quello reso dal giudice di primo grado, ha escluso la credibilità della storia narrata evidenziando che il ricorrente è venuto meno all’onere di fornire una compiuta allegazione.

Una volta ritenuta l’inattendibilità intrinseca della narrazione nessun profilo di rischio individuale può venire in rilievo né sotto l’aspetto del diritto a conseguire lo status di rifugiato né per quanto riguarda la protezione sussidiaria ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), mancando una storia credibile rispetto alla quale valutare il rischio. Per questa ragione una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca, tramite la assunzione di informazioni (Cass. n. 24575/2020).

Il corretto svolgimento della attività di cooperazione istruttoria presuppone, infatti, che tutti i soggetti coinvolti assolvano i propri compiti, posto che anche il richiedente asilo ha il dovere di cooperare per una corretta istruzione della domanda compiendo ogni ragionevole sforzo per motivarla e circostanziarla (art. 13 Direttiva 2013/32/UE e art. Direttiva 2011/95/UE) mentre il compito del giudicante si esplica in termini di integrazione istruttoria (Cass. n. 16411/2019), trattandosi appunto di cooperazione con la parte e non sostituzione ad essa. Il ricorrente è quindi ad allegare in modo chiaro e completo i fatti costitutivi della pretesa (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020). Il giudice non può e non deve supplire ad eventuali carenze delle allegazioni (Cass. n. 2355/2020; Cass. 8819/2020).

Nell’esposizione dei motivi il ricorrente non tiene in alcun conto il giudizio di inattendibilità intrinseca reso dai giudici di merito e che egli non ha adeguatamente censurato, né delle conseguenze di questo giudizio sulla valutazione dei profili di rischio, ribadendo apoditticamente che doveva essere valutato il rischio di persecuzione anche da parte di agente privato senza correttamente inquadrare il dovere di cooperazione istruttoria nei termini sopra precisati.

4.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la nullità del provvedimento per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, nonché la motivazione contraddittoria. Si deduce che la sentenza è contraddittoria perché pur riconoscendo le criticità esistenti nel nord del paese ha rigettato le domande del ricorrente; rileva altresì che non sono state assunte informazioni sulla situazione socio politica del paese di origine e di quello di transito e che non sono indicati i Report consultati.

Il motivo è inammissibile per la sua genericità e contraddittorietà. La motivazione della sentenza impugnata viene ritenuta illogica e contraddittoria per la negazione della protezione sussidiaria nonostante sia stata riconosciuta in Nigeria una condizione precaria data da una situazione generalizzata diffusa nel nord est del paese.

Il ricorrente non coglie quindi la ratio decidendi della sentenza, poiché la motivazione della Corte individua, in conformità al giudizio reso in primo grado, la zona interessata da violenza generalizzata esclusivamente nel nord est del paese, sulla base di Report indicati nominativamente (Amnesty International, Ministero esteri) e non già nella zona di provenienza del richiedente asilo (zona sud); correttamente pertanto esclude la protezione sussidiaria, poiché il rischio per il civile deve valutarsi sul rimpatrio nella zona di provenienza, verificando se rinviato nel Paese o nella regione in questione egli correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018, Cass. n. 11103/2019). A fronte di ciò il ricorrente non specifica per quale ragione le fonti consultate dalla Corte non dovrebbero essere tenute in considerazione e su cosa dovrebbe orientarsi una eventuale integrazione della ricerca, né contesta che il ricorrente provenga da uno Stato del sud della Nigeria.

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021

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