LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22517/2020 proposto da:
I.M., rappresentato e difeso dall’avv. Enrico Villanova, del foro di Treviso, PEC:
enricovillanova.pec.ordineavvocatitreviso.it;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1097/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 21/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.
RILEVATO
Che:
Il ricorrente, cittadino pakistano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di esse avere lasciato il suo paese, una prima volta nel 2011, trasferendosi in Grecia dove aveva vissuto per tre anni. Nel ***** era tornato in Pakistan ed aveva aperto un ristorante, ricevendo però minacce da un gruppo mafioso che voleva rilevare l’esercizio. Ha narrato di aver denunciato il fatto alla polizia che però gli aveva consigliato di cedere la sua attività a questo gruppo criminale, che, a fronte delle sue resistenze aveva distrutto il locale e lo aveva picchiato sicché egli aveva deciso di lasciare nuovamente il paese.
La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta.
Il Tribunale dell’Aquila, adito dal ricorrente, ha rigettato la domanda. Ha proposto appello il richiedente asilo, che è stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 1403/2017, perché introdotto perché introdotto con citazione e non con ricorso. La Corte di Cassazione con ordinanza del 18 giugno 2018 ha cassato la sentenza, rinviando alla Corte d’appello dell’Aquila in diversa composizione, la quale entrando nel merito ha respinto l’appello, rilevando una serie di contraddizioni nel racconto del ricorrente, in particolare sulle date, e talune incongruenze non spiegate. Ritenuto il racconto intrinsecamente inattendibile e pertanto non necessaria l’indagine sul contesto sociale, la Corte ha escluso la sussistenza di un conflitto nella zona di provenienza in base ad informazioni tratte dal rapporto EASO 2018 ed infine ha escluso, la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria, in mancanza di condizione di vulnerabilità e per la insussistenza di elementi oggettivi sulla base dei quali poter ritenere che il rimpatrio metterebbe a rischio i suoi diritti fondamentali.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a quattro motivi. L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021
RITENUTO
Che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta in via preliminare la manifesta illegittimità del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, per contrasto con l’art. 77 Cost., non sussistendo i requisiti di necessità e urgenza prescritti dalla norma costituzionale per l’adozione del decreto legge. Con il secondo motivo del ricorso si lamenta – sempre in via preliminare – la manifesta illegittimità costituzionale del D.L. n. 113 del 2018, art. 1, per contrasto con gli artt. 10 e 117 Cost., laddove si è intervenuti sul D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, abrogando il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Entrambi i motivi sono inammissibili per difetto di rilevanza, poiché alla domanda del ricorrente, introdotta prima del 5 ottobre 2018, si applica la normativa previgente alle modifiche apportate dal D.L. n. 113 del 2018 (Cass. civ. sez. un. 29459 del 13/11/2019).
2.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 111 Cost.. Si deduce che la mancata fissazione dell’udienza di comparizione delle parti configura una nullità del decreto opposto in relazione al rito camerale introdotto con il D.L. n. 13 del 2017 e che l’udienza di comparizione delle parti è fondamentale perché l’esaminatore compia una piena valutazione delle dichiarazioni del ricorrente. Nel caso in esame il giudice si è limitato a chiedere la conferma delle dichiarazioni rese senza compiere ulteriori domande in ordine fatti narrati, salvo poi a contestarne la genericità in sede di motivazione; di conseguenza non è stato rispettato il principio del contraddittorio.
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo si osserva che la domanda del ricorrente è stata introdotta prima della entrata in vigore della riforma del rito disciplinata dal D.L. n. 13 del 2017 (in ricorso si espone che il provvedimento di primo grado è del 14.10.2016), sicché è inconferente il richiamo a questa modifica legislativa ed alla giurisprudenza su di essa formatasi.
La parte lamenta peraltro, in concreto, non già la mancanza della udienza o della rinnovazione dell’audizione già avvenuta innanzi alla Commissione territoriale, ma soltanto che nel corso dell’audizione il giudice avrebbe genericamente interrogato il richiedente, senza tuttavia specificare quali precisazioni o spiegazioni egli avrebbe potuto offrire rispetto al primo racconto. Ne’ tantomeno si specifica se in sede di appello è stata chiesta una ulteriore rinnovazione dell’audizione, indicando specificamente le ragioni per le quali essa si rendeva opportuna. La censura è pertanto generica e non coglie alcuno dei profili argomentativi della sentenza di secondo grado.
3.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c) e al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. La parte in deduce che in relazione alla richiesta di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il Collegio ha escluso la fondatezza della domanda non per l’inesistenza di un conflitto, che anzi valutava implicitamente esistente nella zona di provenienza del ricorrente, ma perché in sede di audizione il ricorrente non ha dichiarato di essere oggetto di specifiche concrete e individuali minacce. Ciò costituisce violazione di legge poiché l’obbligo di collaborazione dell’organo giudicante di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, impone di esaminare la domanda anche a prescindere dalla specifica minaccia alla vita o alla persona del ricorrente, se la situazione di violenza nel paese è generalizzata e non controllata e che tale rischio può essere provato tramite l’allegazione di COI sul paese di origine.
Il motivo è inammissibile in quanto non coglie affatto la ratio decidendi della sentenza impugnata, nella quale, contrariamente a quanto esposto dal ricorrente, il rischio di violenza indiscriminata derivante da conflitto è stato escluso sulla base di informazioni assunte tramite il Report UNHCR dell’anno 2018 e il Report pubblicato sul sito dell’EASO, con riferimento alla specifica zona di provenienza del ricorrente.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021