LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22405/2020 proposto da:
K.E., elettivamente domiciliato in Pescara via A.
Ludovico Antinori 6, presso lo studio dell’avv. Danilo Colavincenzo, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2114/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 20/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita.
RILEVATO
Che:
Il ricorrente, cittadino maliano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere originario della regione di Kayes ma che dopo la morte dei genitori è andato a vivere nel nord del paese (Timbuctu), dove ha intrecciato una relazione con una ragazza musulmana, poi rimasta incinta, e che era stata vessata dalla famiglia fino al punto da arrivare al suicidio; egli aveva quindi timore per la propria incolumità e non potendo ottenere protezione dalle autorità, a causa del conflitto scoppiato in Mali, decideva di lasciare il paese.
La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta. Il Tribunale dell’Aquila adito dal ricorrente, ha respinto il ricorso. Il richiedente asilo ha proposto appello. La Corte d’appello dell’Aquila ha ritenuto il racconto credibile ma ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, rilevando che nella zona di effettiva origine dell’appellante sussistono soltanto episodici fenomeni di violenza confinati nell’ambito della criminalità comune che non attingono carattere di particolare diffusività, generalizzazione e grado di intensità tali da consentire di ravvisare il rischio, per un civile, in relazione alla sola presenza sul territorio.
La Corte ha rilevato che, sulla base di informazioni tratte dal report dell’UNHCR nonché del Report del Ministero dell’Interno (Commissione nazionale per il diritto di asilo), la complessiva situazione socio politica del sud est del Mali non presenta un elevato grado di violenza indiscriminata. Ha infine riconosciuto al richiedente la protezione umanitaria, ritenendo sussistente una condizione di vulnerabilità personale in relazione alle ragioni della fuga dal paese.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a due motivi.
L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. Il Procuratore generale ha presentato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso, in quanto la Corte di merito non avrebbe esaminato la condizione di rischio personale, dovuta alla appartenenza ad una minoranza cristiana.
La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.
RITENUTO
Che:
1.- Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 17 agosto 2020, avverso una sentenza pubblicata in data 20 dicembre 2019, è tempestivo.
Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.
Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.
Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3, relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di incandidabilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).
2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e art. 14, lett. b), nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, dell’art. 46 della Direttiva 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il ricorrente deduce che la Corte non ha riconosciuto lo status di rifugiato né il rischio di danno grave ai fini della protezione sussidiaria, pur non avendo contestato la vicenda narrata e la persecuzione di carattere religioso, ritenute credibili; avrebbe errato la Corte a non esaminare gli elementi pertinenti secondo il principio di attualità, facendo riferimento a fonti non aggiornate o comunque cronologicamente non identificabili. Deduce che nella sentenza impugnata difetta l’esame specifico della condizione individuale e dell’elemento pertinente al credo cristiano del ricorrente, in relazione alla condizione generale del Mali.
Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, l’omesso o comunque carente esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e la conseguente o apparente motivazione. Il ricorrente deduce che la violazione di norme di diritto, così come censurata nel primo motivo, rileva anche rispetto al vizio di omessa valutazione di un fatto decisivo, perché la persecuzione religiosa subita dal ricorrente non è stata considerata in rapporto con la condizione socio politica del Mali valutando soltanto il rischio da violenza generalizzata.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.
2.1- In primo luogo si osserva che non risponde a verità che la Corte non abbia assunto informazioni aggiornate o comunque cronologicamente identificabili, posto che ha riportato ampi stralci sia del Report dell’UNHCR che del rapporto di Amnesty International 2015-2016 ed ha fatto riferimento altresì alla relazione di aggiornamento della situazione socio politica del Mali al 14 novembre 2016, a cura del Ministero degli Interni, ed infine ad un rapporto redatto il 14 agosto 2019 dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo pubblicato sul sito Internet dell’EASO.
Dette informazioni (dalle quali si evince che il conflitto scoppiato in Mali nel 2011/2012 si è avviato verso una lenta attuazione dell’accordo di pace, pur se permangono situazioni di conflitto localizzato nella zona nord del paese, e conflitti etnici nella zona centrale) sono servite alla Corte non solo per escludere il rischio di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ma in genere la applicabilità dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, anche sotto il profilo di cui all’art. 14, lett. b).
La Corte ha infatti esplicitamente affermato che in relazione a questo quadro, gli episodi di violenza nella zona di effettiva provenienza del ricorrente devono ritenersi confinati nell’ambito della criminalità comune, con ciò non rilevando la presenza di conflitti religiosi; inoltre non deve sottovalutarsi quella che è l’incidenza della pacificazione del conflitto interno (pur con le criticità evidenziate dalla Corte) sulla valutazione del profilo di rischio individuale per come dedotto ed allegato dal ricorrente. Egli ha infatti allegato il fumus di una persecuzione da agente privato, per ragioni religiose e familiari, e di avere avuto timore per la sua incolumità perché non poteva invocare la protezione delle autorità in ragione del conflitto scoppiato in Mali.
Ciò costituisce una corretta rappresentazione del rischio al momento in cui il ricorrente ha lasciato il paese di origine, in quanto ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale i responsabili della persecuzione o del danno grave sono anche i soggetti non statuali, se lo Stato o le organizzazioni che controllano il territorio “non possono o non vogliono fornire protezione” contro persecuzioni o danni gravi.
La persecuzione da agente privato rileva quindi solo nel caso in cui l’organizzazione statale non sia in grado, in concreto, di proteggere il suo cittadino, e, di fatto, il ricorrente ha allegato una più che plausibile ragione della carenza di protezione da parte dell’autorità, legata al conflitto. Ma proprio perché la valutazione del rischio deve essere condotta all’attualità, è evidente che nel momento in cui la Corte d’appello esclude il rischio attuale da violenza indiscriminata derivante da conflitto esclude anche – di conseguenza – il rischio individuale, poiché non sussiste più quella condizione che ha impedito al ricorrente di rivolgersi all’autorità all’epoca dei fatti. Diversamente da quanto afferma il ricorrente pertanto, la valutazione del rischio è stata fatta alla attualità e la storia individuale del ricorrente è stata comunque valorizzata ai fini di ritenere una particolare condizione di vulnerabilità e quindi riconoscere il diritto a un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione della controparte.
PQM
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021