Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26684 del 01/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17246-2020 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIMA 20, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO IACOVINO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE di CAMPOBASSO, PROCURA della REPUBBLICA PRESSO il TRIBUNALE di CAMPOBASSO;

– intimati –

avverso il decreto n. cronol. 594/2020 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO, depositato il 09/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO MARULLI.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ricorso in atti si impugna l’epigrafato decreto, con il quale il Tribunale di Campobasso, attinto dal ricorrente ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ha rigettato le istanze del medesimo in punto di protezione internazionale e di protezione umanitaria e se ne chiede la cassazione sul rilievo: 1) della violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra, art. 1, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 14, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, del vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e dell’omesso esame di un fatto decisivo, avendo il decidente denegato il riconoscimento delle misure invocate quantunque il paese di origine e così anche le regioni di provenienza del ricorrente fossero interessate da un clima di diffusa violenza legata alla minaccia terroristica e alle intimidazioni religiose e culturali, l’esercizio dei diritti politici e civili fosse gravemente minacciato come risultante dallo stesso rapporto di Amnesty International citato dal Tribunale, la denunciata situazione fosse stata già favorevolmente apprezzata dal medesimo Tribunale in una precedente occasione, non fosse stata esaminata la documentazione prodotta, non si fosse proceduto all’audizione del richiedente, non si fosse operata una valutazione comparativa tra la condizione attuale del richiedente e quella cui il medesimo sarebbe stato esposto in caso di rimpatrio e non si fosse apprezzato l’eccezionale percorso di integrazione compiuto dal richiedente nel nostro paese; 2) della violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 74, comma 2, e art. 136, comma 2, avendo il decidente revocato l’ammissione al gratuito patrocinio del richiedente a spese dello Stato quantunque nella specie non ne sussistessero i presupposti.

Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato non essendosi il medesimo costituito con controricorso ex art. 370 c.p.c., ma solo a mezzo di “atto di costituzione” ai fini della partecipazione all’udienza pubblica inidoneo allo scopo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile poiché esso cumula nella sua esposizione promiscue ragioni di nullità della sentenza che non si prestano a perscrutazione se non a prezzo di imporre a questa Corte il compito, estraneo ai suoi fini, di sceverare nel coacervo degli argomenti le questioni rilevanti e di conferire loro l’esatta veste giuridica alla stregua dell’art. 360 c.p.c..

Si è invero più volte affermato, anche con riguardo alla materia in esame (Cass., Sez. II, 25/02/2021, n. 5221; Cass., Sez. I, 7/05/2020, n. 8606; Cass., Sez. I, 11/03/2020, n. 6894), che “l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse” (Cass., Sez. II, 23/10/2018,n. 26790).

Nella formulazione del motivo di ricorso per cassazione non è perciò consentita, come si è in particolare osservato riguardo al pregresso disposto dell’art. 360 c.p.c., “la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass., Sez. I, 23/10/2018, n. 26874).

3. Inammissibile è pure il secondo motivo di ricorso.

Il Tribunale ha proceduto alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato direttamente all’interno del decreto impugnato e in uno con la decisione sul merito della controversia piuttosto che con separato decreto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2.

Ciò, tuttavia, non altera il relativo regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, dovendosi escludere che la pronuncia sulla revoca, in quanto adottata con il decreto che definisce il merito, sia, per ciò solo, impugnabile immediatamente con il ricorso per cassazione, rimedio previsto solo per l’ipotesi contemplata dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 113 (Cass., Sez. III, 8/02/2018, n. 3028).

4. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

5. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo ove dovuto.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

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