Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26698 del 01/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2421/2020 proposto da:

I.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO GIORGETTI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 14238/2019 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 23/11/2019 R.G.N. 3782/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1 il Tribunale di Ancona ha respinto “per manifesta infondatezza” il ricorso di I.C., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha dichiarato inammissibile la domanda di protezione reiterata dall’interessato;

2. il giudice di merito, premesso che in tema di reiterazione della domanda, la locuzione “nuovi elementi” contenuta nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29, era da intendere come riferita sia a nuovi elementi di prova che a fatti costitutivi del diritto alla protezione, ha osservato che nello specifico l’istante non aveva offerto elementi tali da aumentare le probabilità di accoglimento della sua istanza di protezione essendosi limitato, in sostanza, a rappresentare la medesima storia già riferita in relazione alla precedente domanda, confermando le ragioni economiche dell’espatrio;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso I.C. sulla base di due motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione di legge “art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29” e apparenza motivazionale, censura il provvedimento impugnato per essere la relativa motivazione affidata a mere formule di stile ed in particolare per non essere state chiarite le ragioni per le quali la documentazione offerta era inidonea a fondare la nuova domanda di protezione; denunzia quindi omesso esame del documento prodotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione di legge “art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 29; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c ter – Regolamento di Attuazione – apparenza motivazionale”; denunzia apparenza di motivazione con riguardo al difetto di allegazione di situazione di elevata vulnerabilità;

3. i motivi presentano plurimi profili di inammissibilità;

3.1. è innanzitutto da escludere la denunziata apparenza di motivazione posto che le ragioni alla base del rigetto, per manifesta infondatezza, della domanda di protezione reiterata dall’odierno ricorrente, sono percepibili nei loro presupposti fattuali e giuridici; il decreto impugnato ha ritenuto confermata la finalità sostanzialmente economica dell’allontanamento del richiedente dal paese di origine evidenziando, sulla base di numerose fonti, puntualmente richiamate, che non vi era rischio di esposizione ad una situazione di violenza generalizzata in caso di rientro; ha inoltre escluso specifici profili di vulnerabilità in capo al richiedente e una situazione di grave violazione dei diritti umani nel paese di origine;

3.2. le ragioni alla base della declaratoria di inammissibilità non sono inficiate dalle argomentazioni del ricorrente che si sostanziano nella mera contrapposizione alla valutazione del giudice di merito di una diversa valutazione ed a sé più favorevole valutazione circa le condizioni ed i presupposti per l’accoglimento della domanda;

3.3. la denunzia di violazione e falsa applicazione di norme di diritto non è articolata in conformità della indicazioni di questa Corte secondo la quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. 24298/2016, 5353/2007, 11501/2006); le censure di parte ricorrente non sono infatti incentrate sul significato e sulla portata applicativa delle norme delle quali è denunziata violazione e falsa applicazione ma essenzialmente sulla pretesa apparenza di motivazione del provvedimento impugnato;

3.4. la denunzia di vizio di motivazione non è conforme all’attuale configurazione del mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, il quale ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. 33679/2018, 27415/2018, Sez. Un. 8053/2014); tale omesso esame non potrebbe declinarsi rispetto al documento rappresentato dal certificato di morte della madre del ricorrente in quanto, a prescindere dalle modalità non autosufficienti di evocazione del documento, non conformi al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 29093/2018, 195/2016, 16900/2015, 26174/2014, n. 22607/2014, Sez. Un, n. 7161/2010), lo stesso risulta privo di decisività al fine di contrastare l’assunto alla base della decisione impugnata rappresentato dalla conferma delle ragioni meramente economiche dell’allontanamento dal paese di origine dell’odierno ricorrente;

4. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite essendosi la parte intimata limitata al deposito di atto di costituzione (al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione) al quale non è seguita alcune ulteriore attività difensiva;

5. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

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