LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3128/2020 proposto da:
O.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II 4, presso lo studio dell’avvocato MARIO ANTONIO ANGELELLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA – SEZIONE DI LATINA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. cronologico 25904/2019 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 25/09/2019 R.G.N. 71958/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
RILEVATO
Che:
1. con decreto n. 25904/2019 il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso proposto da O.N., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);
2. dal decreto si evince che il richiedente ha motivato l’allontanamento dal paese di origine con il timore di essere ucciso, come avvenuto per i genitori nell’anno 2016, da un gruppo intenzionato ad impadronirsi dei terreni dove la sua famiglia coltivava il frutto della kasava; avvisato dai vicini che i membri del gruppo avevano dichiarato che sarebbero tornati per uccidere anche lui, era scappato nella foresta dirigendosi in Niger e poi in Libia dove aveva lavorato come parrucchiere fino alla partenza per l’Italia; ha dichiarato di ritenere che gli omicidi erano stati perpetrati dal gruppo della cult degli *****;
3. il Tribunale, premesso che il ricorrente non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda né offerto adeguata motivazione alla mancata allegazione di elementi significativi propri della vicenda, ha osservato che l’assenza di credibilità determinava il rigetto di riconoscimento dello status di rifugiato riconducibile all’art. 1 Convenzione di Ginevra ratificata in Italia con L. n. 722 del 1954 e della domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); in ogni caso, anche ove credibile il racconto, le fonti consultate attestavano la forte repressione del fenomeno dei gruppi cultisti da parte dell’autorità statuale; quanto all’ipotesi di cui dell’art. 14 cit., lett. c), le fonti consultate escludevano nell’Edo State, regione di provenienza del richiedente, la esistenza di un conflitto armato interno – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – tale da creare una situazione di indiscriminata violenza ed esporre a pericolo il ricorrente in caso di rimpatrio; neppure sussistevano i presupposti per la protezione umanitaria non avendo il ricorrente dimostrato la esistenza di una situazione di grave vulnerabilità e non essendo stata allegata e dimostrata la integrazione nel territorio italiano, nel quale non risultava lo svolgimento di attività lavorativa laddove il richiedente aveva riferito di lavorare come parrucchiere nel suo paese e di non avere problemi economici visto che la famiglia era proprietaria di terreni che egli aveva ereditato;
4. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso O.N., sulla base di un unico motivo; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.
CONSIDERATO
Che:
1. con l’unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 6 e nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 115 c.p.c.; censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria fondato sulla natura flessibile dell’attività lavorativa prestata in Italia e non ancorata ad una valutazione comparativa tra la situazione in Italia e quella alla quale sarebbe stato esposto in caso di rientro nel paese di origine;
2. il motivo è inammissibile. Occorre premettere che per costante giurisprudenza di questa Corte ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, non si può trascurare la necessità di collegare la norma che la prevede ai diritti fondamentali che la alimentano. Si tratta di una enunciazione che riguarda diritti che non si prestano a catalogazioni: gli interessi protetti che ricevono tutela attraverso la nominata forma di protezione “non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali; sicché (…) l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni” (Cass. Sez. Un. 29459/2019, in motivazione, 13079/2019, 13096/2019, Sez. Un. 19393/2009);
2.2. tanto impone al giudice di valutare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili, e ciò considerando globalmente e unitariamente i singoli elementi fattuali accertati e non in maniera atomistica e frammentata (Cass. 7599/2020);
2.3. ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, occorre poi operare la valutazione comparativa tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. Sez. Un. 29459/2019);
2.4. la decisione impugnata è conforme a tali prescrizioni in quanto il giudice di merito, nel negare i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, ha espressamente operato una comparazione fra la situazione in Italia e la situazione in caso di rientro nel paese di origine ed escluso, sulla base di concreti elementi fattuali riferiti alla vicenda personale dell’odierno ricorrente (quali il mancato espletamento di attività lavorativa in Italia e lo svolgimento dell’attività di parrucchiere nel paese di origine, così come la proprietà di terreni) la lesione di diritti fondamentali in caso di rimpatrio, avendo in precedenza evidenziato che le fonti consultate attestavano una forte repressione da parte dello Stato contro i gruppi cultisti dai quali il ricorrente aveva riferito essere stato minacciato;
2.5. escluso, pertanto, l’errore di diritto ascritto alla decisione impugnata che ha proceduto alla prescritta comparazione, le ulteriori censure articolate sono inammissibili in quanto intese in concreto a sollecitare un diverso apprezzamento di fatto su circostanze la cui valutazione è rimessa al giudice di merito;
3. non si fa luogo al regolamento delle spese di lite essendosi la parte intimata limitata al deposito di atto di costituzione (al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione) al quale non è seguita alcune ulteriore attività difensiva;
4. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535/2019).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021