LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 29031/19 proposto da:
-) M.M., elettivamente domiciliata a Genova, Alighieri n. 2, presso l’avvocato Damiano Fiorato, che la difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Ministero dell’Interno, rappresentato ex lege dall’Avvocatura dello Stato, elettivamente domiciliato a Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano 14.8.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 settembre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. M.M., cittadina *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
A fondamento della domanda dedusse che, rimasta vedova, decise di trasferirsi in Libia per lavorare; la persona che le anticipò il costo del viaggio, tuttavia, iniziò a pretendere che lei si prostituisse per pagare il debito; avendo opposto un rifiuto, venne picchiata per molti giorni, finché grazie a dei connazionali si imbarcò per l’Italia.
La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.
2. Avverso tale provvedimento M.M. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 15.6.2019.
Il Tribunale ritenne che:
-) lo status di rifugiato non potesse essere concesso, perché il racconto della richiedente non era credibile;
-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), non potesse essere concessa, perché la richiedente non era esposta ad alcun rischio di condanna a morte o tortura;
-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa perché nella zona di provenienza della ricorrente non era in atto alcuna situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;
-) la protezione umanitaria, infine, non potesse essere concessa perché:
-) la ricorrente non aveva allegato alcun elemento di vulnerabilità;
-) la ricorrente non si era integrata in Italia.
3. Il suddetto decreto è stato impugnato per cassazione da M.M. con ricorso fondato su tre motivi.
Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente inammissibile perché censura – invece che la sentenza di merito – le valutazioni compiute dalla Commissione.
In ogni caso, anche a volere ritenere che la ricorrente abbia per mero lapsus calami fatto riferimento alla decisione “della Commissione” (per cinque volte, da p. 4 a p. 7 del ricorso), volendo invece riferirsi alla decisione del Tribunale, il motivo sarebbe comunque:
a) inammissibile nella parte in cui censura (p. 5) il giudizio di inattendibilità della ricorrente, il quale costituisce un apprezzamento di fatto, senza peraltro nemmeno prospettare se e per quali ragioni il Tribunale avrebbe nella specie violato i criteri dettati dl D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3;
b) infondato nella parte in cui lamenta (p. 6), del tutto genericamente, la violazione del dovere di cooperazione istruttoria (rispetto al quale soltanto compare come soggetto grammaticale “il Tribunale”: p. 6, primo capoverso), senza tuttavia prospettare in cosa sia consistito l’errore del Tribunale, post oche il provvedimento impugnato ha esaminato in modo analitico e approfondito il contesto sociopolitico del Paese di provenienza della ricorrente.
2. Col secondo motivo la ricorrente torna a prospettare la violazione del principio di cooperazione istruttoria da parte del Tribunale.
2.1. Il motivo è inammissibile.
la ricorrente deduce infatti in modo assiomatico che il Tribunale non avrebbe collaborato nell’accertamento delle reali ed effettive condizioni del Paese di provenienza, senza indicare però per quali ragioni le COI utilizzate dal Tribunale sarebbero inattendibili.
3. Il medesimo vizio appena rilevato infirma il terzo motivo di ricorso. Con esso la ricorrente censura il rigetto della domanda di protezione umanitaria, affermando che nella regione di sua provenienza “si può ben ritenere che con riguardo alla provenienza di (sic) ***** si possano riconoscere gli estremi per il riconoscimento della protezione umanitaria”.
La (scarna) illustrazione del motivo non contiene alcuna censura al decreto impugnato, se non l’inammissibile “argomento” del censeo quia censeo.
4. Non è luogo a provvedere sulle spese, a causa della indefensio della Amministrazione.
PQM
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 10 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021