LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – est. Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
I.B.J., (codice fiscale *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocatessa Giuseppina Marciano, del Foro di Milano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Milano, Via Fontana n. 3;
– ricorrente –
contro
IL MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata in Roma, via del Portoghesi n. 12;
– resistente –
avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 7121/2019, pubblicato il 6/9/2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Presidente, Dott. Giacomo Travaglino.
PREMESSO IN FATTO
– che il signor I., nato in *****, ha chiesto alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4, ed in particolare:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
– che la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
– che, avverso tale provvedimento, egli ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che lo ha rigettato con decreto reso in data 6 settembre 2019;
– che, a sostegno della domanda di riconoscimento delle cd. “protezioni maggiori”, il ricorrente – del quale il giudice dell’opposizione riteneva non necessaria l’audizione – aveva dichiarato, dinanzi all’organo amministrativo, di aver esercitato, nel suo Paese, la professione di commerciante di libri, e di essere stato costretto a fuggire in quanto attivista del gruppo *****, operante in *****, e perciò ricercato dalla polizia;
– che, in via subordinata, aveva poi dedotto l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento, in suo favore, della protezione umanitaria, in considerazione della propria – oggettiva e grave – condizione di vulnerabilità;
– che il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, alla luce: 1) della sostanziale inattendibilità del suo racconto quanto alle circostanze che lo avevano indotto a lasciare il Paese (pur non dubitando della credibilità del racconto quanto alla zona di provenienza, alle condizioni sociali e personali, all’effettivo arresto del leader dell'***** e all’occupazione di un albergo in occasione delle proteste pro-*****), ritenute, in parte qua, generiche, non sufficientemente circostanziate e prive dei necessari elementi di riscontro per contestualizzare, a livello spaziale e temporale, le vicende narrate, attesane, inoltre, l’incongruenza logica anche sotto il profilo geografico; 2) della insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, attesa dell’inesistenza di un conflitto armato nel Paese di respingimento; 3) dell’impredicabilità di un’effettiva situazione di vulnerabilità del richiedente asilo idonea a giustificare il riconoscimento dei presupposti per la protezione umanitaria;
– che il provvedimento è stato impugnato per cassazione dall’odierno ricorrente sulla base di 3 motivi di censura;
– che il Ministero dell’interno non si è costituito in termini mediante controricorso.
OSSERVA IN DIRITTO 1. Col primo motivo, si censura il decreto impugnato per omessa audizione del ricorrente.
1.1. Il motivo non può essere accolto, alla luce dei principi più volte affermati, in passato, dalla giurisprudenza di questa Corte – a mente dei quali la fissazione (obbligatoria) dell’udienza per la comparizione delle parti (D.Lgs. n. 35 del 2008, art. 35, comma 10 e 11) ha valore strettamente tecnico-processuale e non si riferisce necessariamente alla presenza personale delle parti né all’obbligo di audizione del ricorrente (per tutte, Cass. 17717/2018 e successive conformi) – pur alla luce della necessaria (e condivisibile) precisazione, operata più di recente da questo stesso giudice di legittimità, secondo cui “l’audizione personale in sede giudiziale diviene – proprio alla luce della peculiare articolazione del rito previsto per l’esame delle domande di protezione internazionale – la modalità più semplice per supplire all’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa, assicurando al richiedente l’effettiva esplicazione del diritto di difesa in un contraddittorio pieno, e ponendo il giudice di merito in condizione di poter decidere avendo completa contezza degli elementi di valutazione” (Cass. 9228/2020), e pur considerando, ancora, la ulteriore, ed altrettanto opportuna specificazione a mente della quale “il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Cass. 22049/2020; 21584/2020; 25439/2020).
1.2. Nell’illustrazione del motivo in esame, difatti, non risultano in alcun modo evidenziate le circostanze che, nel caso di specie, avrebbero reso necessaria l’audizione del ricorrente in sede giurisdizionale, venendo, piuttosto, lungamente esposti (peraltro, del tutto correttamente, dal folio 9 al folio 14) soltanto i principi generali, normativi e giurisprudenziali, che quell’audizione avrebbero astrattamente imposto al Tribunale.
2. Col secondo motivo, si lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per motivazione apparente e comunque contraddittoria in relazione alla domanda di protezione sussidiaria;
2.1. La censura è infondata.
Pur riconoscendosi, da parte del Tribunale (dal sesto all’ottavo foglio del decreto impugnato, peraltro inspiegabilmente privo di numerazione), “una condizione di assoluta emergenza negli Stati del Nord della *****”, ed ancora “un incremento delle morti violente nel resto del paese con sicure criticità anche tra gli apparati di polizia, ad una recrudescenza della violenza tra appartenenti a diversi e opposti cult con riflessi di insicurezza anche tra la popolazione civile e persistenza del fenomeno del traffico di esseri umani”, la domanda di protezione sussidiaria ex art. 14, lett. c) viene rigettata sulla corretta premessa che “le situazioni di criticità per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza interna in una più o meno vasta zona del Paese, come quelle legate alla conflittualità tra i cult, che pure mettono a rischio l’incolumità dei cittadini” non raggiungano “la soglia di quella violenza diffusa e indiscriminata che costituisce il presupposto normativo (anche alla luce della giurisprudenza sovranazionale) per la concessione della misura di protezione indicata” (vengono, in proposito, indicate COI attendibili e aggiornate all’anno 2018).
2.2. A tali considerazioni, non censurabili in punto di diritto, parte ricorrente si limita a contrapporre, oltre che considerazioni di ordine generale – ma inconferenti rispetto al caso di specie – il contenuto del sito ministeriale “*****” (che raccomanda di limitare allo stretto necessario i viaggi in *****), la cui irrilevanza ai fini del decidere è stata a più riprese posta in luce dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le più recenti, Cass. 15275/2021).
3. Con il terzo motivo, si lamenta la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo della controversia ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
3.1. Il motivo è fondato.
3.1.1. Correttamente il ricorrente lamenta, oltre che l’omesso esame di fatti decisivi (costituiti dalla situazione della ***** così come rappresentati dallo stesso Tribunale in sede di esame della domanda di protezione sussidiaria), anche l’illegittima omissione di qualsivoglia giudizio comparativo tra la situazione del richiedente asilo in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine, in spregio ai principi più volte affermati da questa Corte regolatrice in tema di protezione umanitaria, a mente dei quali, se, per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, lett. a) e b) deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti), così che la decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio, onde il requisito essenziale per il riconoscimento di tale forma di protezione consiste nel fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, alla luce di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente e personalmente al richiedente asilo in relazione alla situazione del Paese di provenienza, da compiersi in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito, diversa, invece, è la prospettiva dell’organo giurisdizionale in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dal giudizio di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del Paese di origine, qualora risulti ivi accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità – accertamento che prende le mosse, e non può prescindere, dal dettato costituzionale di cui all’art. 10 comma 3, ove si discorre, significativamente, di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana (norma che, come è noto, fu oggetto di un intenso dibattito in Assemblea costituente, ed il cui contenuto immediatamente precettivo, nonostante il contrario avviso di una retriva e risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, fu immediatamente rilevato dalla dottrina maggioritaria e definitivamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza delle sezioni unite del 26 maggio 1997, n. 4674): di qui, il riconoscimento della natura di diritto costituzionalmente garantito della situazione giuridica dei richiedenti asilo e quindi di “concreta e materiale esigibilità in via giurisdizionale” del relativo diritto soggettivo – un diritto perfetto, pertanto, in quanto il suo fondamento necessario e sufficiente, nonché la sua causa di giustificazione risiedono entrambi nella sola Costituzione.
3.2. Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, pertanto, deve ritenersi necessaria e sufficiente la valutazione dell’esistenza e della comparazione degli indicati presupposti (per tutte, Cass. 8819/2020; Cass. 19337/2021), che non sono condizionati dalla eventuale valutazione negativa di credibilità del ricorrente – o, comunque, dal contenuto della sua narrazione, ove pur ritenuta credibile ma non rilevante ai fini della concessione della misura di protezione invocata, come nella specie.
3.3. Il riconoscimento della protezione umanitaria postula – una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto – l’obbligo per il giudice del merito, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, estensivamente interpretato, di cooperare nell’accertamento della situazione reale del Paese di provenienza, mediante l’esercizio di poteri/doveri officiosi d’indagine, ed eventualmente di acquisizione documentale (Cass. n. 28435/2017; Cass. 18535/2017; Cass. 25534/2016) – essendo quel giudice investito di singole vicende aventi ad oggetto diritti fondamentali della persona – e non di cause cd. “seriali”, improvvidamente risolte con motivazioni “di stile” altrettanto seriali – in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; e al fine di ritenere adempiuto tale obbligo officioso, l’organo giurisdizionale è altresì tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312 del 2019), ma senza incorrere nell’errore di utilizzare le fonti informative che escludano (a torto o a ragione) l’esistenza di un conflitto armato interno o internazionale (rilevanti al solo fine di valutare la domanda di protezione internazione sub specie del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) – al diverso fine di valutare la situazione del Paese di origine sotto l’aspetto della mancata tutela dei diritti umani e del loro nucleo incomprimibile – di cui pure il provvedimento impugnato sembra indirettamente dare atto (supra, in narrativa, sub 2.1.), nel riportare il contenuto dello COI utilizzate per escludere l’esistenza di un conflitto armato.
3.3.1. Nella specie, la motivazione adottata dal giudice di merito per respingere la domanda di protezione umanitaria risulta così concepita (decimo foglio, quarto/ottavo rigo): “i rischi connessi alla re-immissione del sig. I. nel territorio della ***** sia in relazione alle sue condizioni personali sia alla situazione generale del Paese sono stati compiutamente analizzati in precedenza e non sono stati dedotti particolari e sufficienti elementi per ritenere che, ove rientrasse in *****, egli si troverebbe in uno stato di particolare vulnerabilità”.
Trattasi, all’evidenza, di una motivazione del tutto erronea, mentre, sul piano comparatistico, in punto di valutazione della integrazione del richiedente asilo, altrettanto frettolosamente carente risulta l’affermazione (dodicesimo rigo della medesima pagina) secondo cui “risultano documentate solo attività formative e di volontariato”, circostanze, per converso, meritevoli di ben più approfondita valutazione in seno al poc’anzi illustrato modello del giudizio di comparazione, come correttamente evidenziato dalla difesa del ricorrente (f. 20 dell’odierno atto di impugnazione) che rammenta come il signor I. si sia iscritto a scuola ed abbia svolto lavori di pubblica utilità per il Comune di Lodi, lavorando, con impegno, a chiamata.
3.4. Va pertanto riaffermato il principio di diritto, cui il giudice di rinvio si atterrà nel riesaminare la domanda di protezione umanitaria, alla luce del quale, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del suo riconoscimento, occorre operare la valutazione comparativa della situazione oggettiva, oltre che eventualmente soggettiva, del richiedente asilo con riferimento al Paese di origine sub specie della libera esplicazione dei diritti fondamentali della persona, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza – pur senza che abbia rilievo esclusivo l’esame del livello di integrazione, se isolatamente ed astrattamente considerato.
PQM
La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento al Tribunale di Milano, che, in diversa composizione, si atterrà ai principi di diritto suesposti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021