LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29706/2019 proposto da:
S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.to CONSUELO FEROCI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto n. 10617/2019 emesso dal TRIBUNALE DI ANCONA depositato in data 09/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO IN FATTO
Che:
S.S., cittadino albanese, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);
a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso dai familiari della propria fidanzata, avendo l’istante scoperto la consumazione, da parte degli stessi, di attività criminali connesse allo svolgimento della propria attività commerciale;
la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;
avverso tale provvedimento S.S. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Ancona, che l’ha rigettato con decreto in data 9/9/2019;
a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’estraneità delle ragioni dell’allontanamento del ricorrente dal proprio paese, rispetto alle ipotesi di protezione internazionale previste dalla legge; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) dell’insussistenza di una condizione di vulnerabilità idonea a giustificare il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
Tale decreto è stato impugnato per cassazione da S.S. con ricorso fondato su due motivi d’impugnazione;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente condotto l’attività istruttoria connessa all’interpretazione delle proprie dichiarazioni e all’esame delle condizioni del paese di origine, con particolare riferimento al mancato riconoscimento delle diverse forme di protezione internazionale rivendicate;
il motivo è fondato nei termini che seguono;
dev’essere preliminarmente disattesa la censura in esame nella parte in cui intenda riferirsi al mancato riconoscimento dello status di rifugiato in favore dell’istante;
al riguardo, osserva il Collegio come, con riferimento all’invocato riconoscimento, da parte dell’odierno istante, dello status di rifugiato, debba ascriversi un valore dirimente alla circostanza, espressamente sottolineata dal giudice a quo, della mancata corrispondenza, delle ragioni indicate dal ricorrente a fondamento della propria fuga dal paese di origine, con i presupposti normativi previsti ai fini del riconoscimento di detta forma di protezione internazionale;
sul punto, del tutto correttamente il giudice a quo ha sottolineato la mancata deduzione, da parte dell’interessato, di fatti oggettivamente idonei ad attestare il ricorso di alcuna forma di persecuzione discriminatoria, essendosi il ricorrente limitato a denunciare il pericolo di essere sottoposto a violenze o ritorsioni da parte dei familiari della propria fidanzata per il timore di essere denunciati all’autorità pubblica a seguito dell’avvenuta scoperta, da parte dell’odierno istante, delle relative attività criminali; vicenda, in relazione alla quale nessun rischio di persecuzione d’indole effettivamente discriminatoria, deve ragionevolmente ritenersi configurabile;
dev’essere viceversa riconosciuta la fondatezza della censura in esame in relazione al rivendicato riconoscimento della protezione sussidiaria;
varrà osservare, al riguardo, come il giudice a quo abbia disatteso l’istanza di protezione sussidiaria avanzata dal ricorrente sul presupposto della concreta insussistenza, nel caso in esame, di un effettivo stato di vulnerabilità connessa al relativo rientro in patria, essendosi lo stesso limitato a prospettare il ricorso di un preteso pericolo concreto per la propria incolumità in considerazione delle minacce ricevute dai familiari della propria fidanzata: minacce giudicate, nel provvedimento impugnato, suscettibili di essere controllate attraverso l’invocazione della protezione delle istituzioni pubbliche locali;
ciò posto, se è vero che il diritto alla protezione sussidiaria dev’essere escluso dalla circostanza che a provocare il danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel paese d’origine vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, è altrettanto vero che (in caso di contestazione, come nel caso di specie) incombe sul giudice di merito l’onere di condurre una verifica di carattere ufficioso sulle attuali ed effettive condizioni di quel paese, al fine di attestare con ragionevole certezza l’effettiva sussistenza della descritta protezione istituzionale e, quindi, l’eventuale decisività di una richiesta di protezione alle autorità locali al fine di scongiurare il grave danno denunciato (Sez. 1, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 01);
nel caso di specie, il giudice a quo si è inammissibilmente limitato a riconoscere, in termini apodittici, l’esistenza, nello stato di provenienza del ricorrente, di istituzioni pubbliche idonee a proteggerlo (pag. 5 del provvedimento impugnato), trascurando totalmente di identificare ed illustrare le fonti di informazione idonee a corroborare la conclusione così assunta, e dunque di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni albanesi di cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine “privata” così determinate;
allo stesso modo, sulla base di considerazioni non dissimili dev’essere rilevata la fondatezza della censura avanzata dal ricorrente con riguardo al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria in relazione all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);
sul punto, varrò osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente;
al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 11312 del 26/04/2019, Rv. 653608 – 01), purché si tratti di fonti qualificate e affidabili, provenienti da organismi dotati di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale, in conformità alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1-bis, (cfr., al riguardo, Sez. 1, Ordinanza n. 11103 del 19/04/2019, Rv. 653465 – 01);
nel caso di specie, il tribunale non ha adeguatamente assolto ai propri doveri di cooperazione istruttoria nei termini specificati, essendosi inammissibilmente limitato a escludere i presupposti per il riconoscimento di una situazione generalizzata di conflitto armato nel territorio di provenienza del ricorrente, senza indicare, né la fonte specifica, né (conseguentemente) il relativo grado di attendibilità e di aggiornamento, finendo con l’escludere il ricorso delle premesse per il riconoscimento della protezione internazionale invocata dal ricorrente sulla base di asserzioni del tutto apodittiche e indimostrate (cfr., al riguardo, Sez. 3, Ordinanza n. 8819 del 12/05/2020, Rv. 657916 – 06);
con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente escluso il ricorso dei presupposti per il riconoscimento, in proprio favore, di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
il motivo è fondato;
al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);
nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;
in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;
in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio “personalizzato” mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla “biografia”) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;
in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);
proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;
nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;
ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);
nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato l’insufficienza, di per sé, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, di una situazione di effettivo radicamento, anche lavorativo, dell’istante nel territorio italiano, si è di seguito inammissibilmente limitato ad affermare, in termini meramente apodittici, l’insussistenza di effettive condizioni di vulnerabilità o di potenziale compromissione dei diritti fondamentali ascrivibili al ricorrente in forza di un mero rinvio alle informazioni analizzate ai fini del rigetto delle domande relative alle altre forme maggiori di protezione (informazioni, peraltro, già di per sé prive di riferimenti identificabili, come in precedenza precisato);
varrà precisare come, ai fini della formulazione del giudizio concernente l’eventuale concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’analisi comparativa tra la situazione personale del richiedente sul territorio italiano e quella concernente la condizione complessiva, sul piano sociale, politico ed economico del paese di origine, non può ritenersi pregiudizialmente limitabile alla sola considerazione dei presupposti rilevanti ai fini della concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (ossia alla valutazione dei rischi connessi all’incolumità fisica dell’interessato), atteso che il rispetto del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona non coincide con la mera preservazione della relativa sussistenza in vita (della “nuda vita” materiale), ma si estende alla considerazione di indici di valutazione che attengono alla possibile compressione di prerogative fondamentali della persona di carattere esistenziale, sia pure nel loro nucleo essenziale, da ponderare attraverso il confronto con l’eventuale progressiva integrazione dell’interessato nella comunità sociale e lavorativa italiana;
ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. ‘minimo costituzionale;
sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del primo motivo (nei limiti indicati) e del secondo motivo, dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti, con il conseguente rinvio al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo, nei limiti di cui in motivazione, e il secondo motivo; cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti, e rinvia al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021