Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26728 del 01/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29711/2019 proposto da:

N.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv.to CONSUELO FEROCI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. 10615/2019 emesso dal TRIBUNALE DI ANCONA depositato in data 09/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO IN FATTO

Che:

N.L., cittadino albanese, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 ottobre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso dai familiari della propria fidanzata, di religione musulmana, non tollerando gli stessi che quest’ultima potesse intrattenere rapporti con il ricorrente di religione cristiana;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento N.L. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Ancona, che l’ha rigettato con decreto in data 9/9/2019;

a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) dell’estraneità delle ragioni dell’allontanamento del ricorrente dal proprio paese, rispetto alle ipotesi di protezione internazionale previste dalla legge; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) dell’insussistenza di una condizione di vulnerabilità idonea a giustificare il riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da N.L. con ricorso fondato su due motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente condotto l’attività istruttoria connessa all’interpretazione delle proprie dichiarazioni e all’esame delle condizioni del paese di origine, con particolare riferimento al mancato riconoscimento delle diverse forme di protezione internazionale rivendicate;

il motivo è fondato nei limiti appresso indicati;

osserva il Collegio come il giudice a quo abbia disatteso l’istanza diretta al riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria avanzata dal ricorrente sul presupposto della concreta insussistenza, nel caso in esame, di un effettivo stato di vulnerabilità connessa al relativo rientro in patria, essendosi lo stesso limitato a prospettare il ricorso di un preteso pericolo concreto per la propria incolumità in considerazione delle minacce ricevute dai familiari della propria fidanzata in ragione della propria appartenenza alla confessione cristiana: minacce giudicate, nel provvedimento impugnato, inidonee a integrare gli estremi di forme di persecuzione suscettibili di giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero, in ogni caso, di essere controllate attraverso l’invocazione della protezione delle istituzioni pubbliche locali;

ciò posto, se è vero che il riconoscimento dello status di rifugiato o il diritto alla protezione sussidiaria devono essere esclusi dalla circostanza che a sostenere il comportamento gravemente discriminatorio (nella specie, per immediate ragioni di carattere religioso), o a provocare il danno grave per il cittadino straniero, siano soggetti privati, qualora nel paese d’origine vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, è altrettanto vero che (in caso di contestazione, come nel caso di specie) incombe sul giudice di merito l’onere di condurre una verifica di carattere ufficioso sulle attuali ed effettive condizioni di quel paese, al fine di attestare con ragionevole certezza l’effettiva sussistenza della descritta protezione istituzionale interna e, quindi, l’eventuale decisività di una richiesta di protezione alle autorità locali al fine di scongiurare la prosecuzione delle forme persecutorie o la consumazione del grave danno denunciato (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 26823 del 21/10/2019, Rv. 655628 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16356 del 03/07/2017, Rv. 644807 – 01);

nel caso di specie – se deve ritenersi di notoria cognizione la circostanza del mancato coinvolgimento del territorio albanese in una forma o situazione generalizzata di conflitto armato, tale da porre in pericolo, per il solo fatto della presenza su detto territorio, i cittadini di tale Stato – varrà in ogni caso rilevare come il giudice a quo si sia inammissibilmente limitato ad affermare, in termini apodittici, l’insussistenza di alcun carattere effettivamente persecutorio delle forme di violenza subite, nonché l’esistenza, nello stato di provenienza del ricorrente, di istituzioni pubbliche idonee a proteggerlo (pag. 4 del provvedimento impugnato), trascurando totalmente, da un lato, di valorizzare l’effettivo spessore discriminatorio e gravemente persecutorio di violenze motivate da dette ragioni pur quando provenienti da soggetti privati non adeguatamente controllati dalle pubbliche istituzioni (v., al riguardo, Sez. 1, Ordinanza n. 28779 del 16/12/2020, Rv. 660021 – 01) e, dall’altro, di identificare e illustrare le fonti di informazione idonee a corroborare le conclusioni assunte, e dunque di comprovare l’effettiva idoneità delle istituzioni albanesi di cautelare l’incolumità dei propri cittadini in relazione a situazioni di vulnerabilità di origine “privata” così determinate;

con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente escluso il ricorso dei presupposti per il riconoscimento, in proprio favore, di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01);

nella ricordata decisione delle Sezioni Unite, si è dunque sottolineata, con riguardo al tema del riconoscimento della c.d. protezione umanitaria, la piena condivisibilità dell’approccio che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva che verrebbe a determinarsi nel paese di origine a seguito del rimpatrio, al fine di verificare se tale rientro non valga a determinare una non tollerabile privazione dell’esercizio dei diritti umani del richiedente, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale;

in particolare, il giudice di merito, nel procedere alla ridetta comparazione, mentre non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, sarà tenuto a coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda esistenziale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale compromissione possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, sanitaria; culturale, etc.;

in questi termini, la considerazione delle condizioni del paese di provenienza (comunque da indagarsi e accertarsi, dal giudice di merito, in termini obiettivi) varrà – non già a tradursi in una valutazione meramente generale e astratta della relativa situazione nazionale bensì a declinarsi e sintetizzarsi in un giudizio “personalizzato” mediante la ponderazione, di quelle generali condizioni del paese di origine, con l’incidenza che le stesse finirebbero per assumere sulla storia di vita (sulla “biografia”) del richiedente, alla luce del principio che impone in ogni caso la salvaguardia della dignità della persona;

in tal senso, il giudizio fermato sull’entità della degradazione che l’interessato sarebbe destinato a subire a seguito del rimpatrio chiede d’essere calibrato in rapporto alle modalità concrete e irripetibili della vicenda esistenziale di quella specifica persona, sì che l’esame del modo della compromissione del c.d. nucleo ineliminabile della dignità personale (e dunque il senso della sua specifica “vulnerabilità”) consisterà propriamente nella verifica del grado di aggressione (“qualitativa”) della dignità di quella singolare ed unica esperienza individuale, sì da non potersi astrattamente escludere che, con riguardo a uno stesso paese, l’esame diretto al riconoscimento della protezione umanitaria possa anche condurre ad esiti diversi in rapporto a storie di vita differenti e non commensurabili; e ciò, non già in forza di un’inammissibile (e inaccettabile) graduazione qualitativa della dignità umana, bensì in ragione dell’inevitabile conformazione di quest’ultima (anche) in correlazione ai differenti percorsi di vita che sostanziano in modo irripetibile il senso dell’identità individuale, da valutarsi anche in relazione alla situazione psico-fisica attuale del richiedente e al contesto culturale e sociale di riferimento (v., in tal senso, Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884 – 02; e Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020);

proprio in forza di tali premesse, dunque, acquista significato il senso (sul piano propriamente esistenziale) della comparazione tra le condizioni del paese di origine del richiedente e la relativa storia di vita, ivi compreso il grado di sviluppo e di integrazione della propria esperienza nel tessuto socio-economico del nostro paese;

nei casi in cui la ricostruzione della storia di vita del richiedente risulti ostacolata dalla ritenuta non credibilità delle relative dichiarazioni, o dall’irriducibile frammentarietà delle informazioni complessivamente acquisite, il giudice di merito dovrà in ogni caso procedere a verificare se le condizioni sociali, politiche o economiche, obiettivamente riscontrate nel paese di origine non appaiano tali da porsi in evidente contrasto con la misura del rimpatrio, avuto riguardo all’incidenza di dette condizioni con la conservazione, in capo al richiedente, del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità umana, al di là di ogni specifica caratterizzazione che valga a qualificarne l’identità;

ciò posto, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche ed economiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo, dopo aver sottolineato l’insufficienza, di per sé, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, di una situazione di effettivo radicamento, anche lavorativo, dell’istante nel territorio italiano, si è di seguito inammissibilmente limitato ad affermare, in termini meramente apodittici, l’insussistenza di effettive condizioni di vulnerabilità o di potenziale compromissione dei diritti fondamentali ascrivibili al ricorrente in forza di un mero rinvio alle informazioni analizzate ai fini del rigetto delle domande relative alle altre forme maggiori di protezione (informazioni, peraltro, già di per sé prive di riferimenti identificabili, come in precedenza precisato);

varrà precisare come, ai fini della formulazione del giudizio concernente l’eventuale concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’analisi comparativa tra la situazione personale del richiedente sul territorio italiano e quella concernente la condizione complessiva, sul piano sociale, politico ed economico del paese di origine, non può ritenersi pregiudizialmente limitabile alla sola considerazione dei presupposti rilevanti ai fini della concessione della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (ossia alla valutazione dei rischi connessi all’incolumità fisica dell’interessato), atteso che il rispetto del nucleo essenziale dei diritti fondamentali della persona non coincide con la mera preservazione della relativa sussistenza in vita (della “nuda vita” materiale), ma si estende alla considerazione di indici di valutazione che attengono alla possibile compressione di prerogative fondamentali della persona di carattere esistenziale, sia pure nel loro nucleo essenziale, da ponderare attraverso il confronto con l’eventuale progressiva integrazione dell’interessato nella comunità sociale e lavorativa italiana;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. ‘minimo costituzionale’;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva fondatezza delle censure esaminate, dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato, con il conseguente rinvio al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo, nei limiti di cui in motivazione, e il secondo; cassa il provvedimento impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2021

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