Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26849 del 04/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12776 – 2019 R.G. proposto da:

M.M.T. – c.f. ***** – (in proprio e quale erede di C.T.R.), R.C. – c.f.

***** – R.M. – c.f. ***** – rappresentati e difesi in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso dall’avvocato Carmen Trifilò ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via L. G. Faravelli, n. 22, presso lo studio dell’avvocato Gaetano Giannì.

– ricorrenti –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA – c.f. ***** – in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, domicilia per legge.

– controricorrente –

avverso il decreto dei 28.9/18.10.2018 della Corte d’Appello di Reggio Calabria, R.G. 380/16;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2021 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso ex Lege n. 89 del 2001, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in data 24.11.2015 M.M.T. (in proprio e quale erede di C.T.R.), R.C. e R.M. si dolevano per l’irragionevole durata del giudizio promosso innanzi al Tribunale di Patti ed iscritto al n. 957/1980 r.g..

Chiedevano ingiungersi al Ministero della Giustizia il pagamento di un equo indennizzo.

2. Con decreto del 29.8.2016 il consigliere designato rigettava la domanda.

3. M.M.T. (in proprio e quale erede di C.T.R.), R.C. e R.M. proponevano opposizione.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

4. Con decreto dei 28.9/18.10.2018 la Corte d’Appello di Reggio Calabria rigettava l’opposizione e compensava le spese.

Reputava la corte, limitatamente alla pretesa indennitaria azionata iure hereditario, che, in difetto di prova della data di notifica dell’atto di citazione introduttivo del giudizio “presupposto”, occorreva aver riguardo alla data – ***** – di costituzione in giudizio di C.T.R., sicché alla data – ***** – del suo decesso il giudizio “presupposto” aveva avuto una durata irragionevole di appena due mesi e, dunque, nessuna pretesa indennitaria era stata, iure hereditatis, trasmessa agli opponenti.

Reputava la corte, limitatamente alla pretesa indennitaria azionata iure proprio, che era incontrovertibile, alla stregua del passaggio in giudicato della sentenza definitiva del Tribunale di Patti, che gli opponenti fossero stati dichiarati contumaci in riassunzione nel giudizio “presupposto”.

Reputava al contempo che nessun indennizzo poteva essere in concreto accordato agli opponenti, contumaci in riassunzione nel giudizio “presupposto”.

Reputava invero che, disconosciuta per il contumace qualsivoglia forma di “automatismo indennitario” correlata al decorso del termine di ragionevole durata, gli opponenti non avevano dato prova di pregiudizi di sorta.

5. Avverso tale decreto hanno proposto ricorso M.M.T. (in proprio e quale erede di C.T.R.), R.C. e R.M.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente provvedimento anche in ordine alle spese.

Il Ministero della Giustizia – all’esito della rinnovazione della notifica del ricorso – ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

6. I ricorrenti hanno depositato memoria.

7. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che la corte di merito ha errato a reputarli sic et simpliciter contumaci nel giudizio “presupposto”.

Deducono che la corte distrettuale ha omesso di considerare che la sentenza del Tribunale di Patti n. 408/2014 li ha dichiarati contumaci “in quanto non costituitisi in giudizio dopo l’ultima riassunzione, sebbene regolarmente citati”; che in tal guisa la sentenza ha dato “per accertato che essi fossero parti costituite fino all’ultima interruzione del giudizio dichiarata all’udienza del 3/12/12” (così ricorso, pag. 9).

8. Il primo motivo di ricorso va respinto.

9. Innegabilmente con il primo mezzo di impugnazione i ricorrenti censurano il giudizio “di fatto” sulla cui scorta la corte territoriale li ha ritenuti, nel giudizio “presupposto”, contumaci in riassunzione sin dalla interruzione determinatasi – nel 1984 – a seguito del decesso di C.T.R..

Del resto, gli stessi ricorrenti qualificano il motivo in disamina in rapporto alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ed è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499).

10. Su tale scorta – nel solco dunque della formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed – alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si osserva quanto segue.

11. Da un canto, nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite teste’ menzionata, si scorge in relazione alle motivazioni cui la Corte di Reggio Calabria ha, in parte qua agitur, ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte calabrese ha viceversa compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Ovvero ha puntualizzato che “risulta in atti la sola costituzione di M. del *****; successivamente non figurano altre costituzioni fatta eccezione per l’indicazione degli odierni opponenti quali intervenienti nella comparsa conclusionale del 15 marzo 1985 di cui risulta affollata la velina prive di firme di mandato” (così decreto impugnato, pag. 6). Ed ha soggiunto che risultava il fatto “dell’impugnazione della sentenza parziale del 5 luglio 1997 di cui però le parti mai hanno prodotto documentazione” (così decreto impugnato, pag. 6).

12. D’altro canto – e contrariamente alle prospettazioni di cui alla memoria (cfr. pagg. 2 – 3) – la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto storico caratterizzante la res litigiosa ovvero l’avvenuta costituzione o meno dei ricorrenti nel giudizio “presupposto” a seguito del decesso del de cuius.

13. In pari tempo non ha precipuo rilievo addurre che la circostanza per cui essi ricorrenti fossero regolarmente costituiti fino all’interruzione del *****, risulta dal provvedimento dei 30.4/2.5.2012, con cui il giudice ebbe a disporre la comunicazione al loro difensore dello stesso provvedimento (cfr. ricorso, pagg. 9 – 10).

Invero, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

14. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6 C.E.D.U., e dell’art. 111 Cost..

Deducono, pur ad assumere che sono rimasti contumaci nel giudizio “presupposto”, che ha errato la corte d’appello a ritenere che non hanno diritto all’equo indennizzo.

Deducono segnatamente che la L. n. 89 del 2001, art. 2, nella formulazione applicabile ratione temporis, non prefigura alcuna limitazione con riferimento al contumace; che d’altronde solo a seguito della novella di cui alla L. n. 208 del 2015, entrata in vigore l’1.1.2016 ed inapplicabile alla fattispecie, il contumace non ha diritto, in assenza di prova contraria, all’indennizzo.

15. Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.

16. Invero, la corte distrettuale ha riconosciuto in linea di principio, nel solco della pronuncia n. 585 del 14.1.2014 delle sezioni unite di questa Corte, il diritto del contumace all’equo indennizzo.

Piuttosto, la corte di merito ha correttamente opinato nel senso che il diritto del contumace “non è un mero automatismo che consegue al decorso del termine di ragionevole durata” (così decreto impugnato, pag. 8).

Del resto, questa Corte ha puntualizzato che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, qualora la parte sia deceduta prima della conclusione del processo “presupposto”, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo “iure proprio” soltanto per il periodo successivo alla sua costituzione in giudizio: infatti, non è possibile equiparare la posizione dello stesso al contumace, atteso che l’ineliminabile presupposto per la legittimazione all’indennizzo è la durata irragionevole del giudizio, incidente soltanto su chi è chiamato ad assumere, al suo interno, la qualità di parte (cfr. Cass. 3.2.2017, n. 3001; cfr. altresì Cass. (ord.) 26.1.2021, n. 1607, secondo cui, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, l’indennizzo compete in proprio anche alla parte erede costituitasi in giudizio e per il tempo in cui si è costituita).

Non sussistono quindi gli errores in iudicando veicolati dal secondo motivo.

17. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che la corte territoriale ha disconosciuto l’indennizzo senza alcuna motivazione ovvero ha correlato il disconoscimento dell’indennizzo alla mera circostanza per cui sarebbero rimasti contumaci nel giudizio “presupposto”.

Deducono al contempo che avevano senz’altro interesse alla rapida definizione del giudizio “presupposto”, atteso che “la sentenza non definitiva aveva rimesso a quella definitiva la regolamentazione delle spese” (così ricorso, pag. 15).

18. Il terzo motivo di ricorso parimenti va respinto.

19. Non sussistono né l’addotto “omesso esame” né l’addotto difetto di specifica motivazione.

Più esattamente i passaggi motivazionali finali dell’impugnato dictum smentiscono recisamente l’assunto dei ricorrenti secondo cui la Corte di Reggio Calabria ha negato l’indennizzo sic et simpliciter alla stregua della loro contumacia del giudizio “presupposto”.

Invero la corte calabrese ha precisato, al di là del disconoscimento, correlato alla contumacia, di qualsivoglia forma di “automatismo indennitario”, che nella fattispecie gli opponenti non avevano dato alcuna prova di possibili pregiudizi connessi alla durata irragionevole del giudizio “presupposto” (cfr. decreto impugnato, pag. 9).

In particolare la corte ha chiarito che gli opponenti, a seguito dell’accoglimento della loro domanda di usucapione, si erano “disinteressati del giudizio principale, che proseguiva per un capo della domanda principale di controparte marginale e, per di più, palesemente infondato (…)” (così decreto impugnato, pag. 9). Ed ha soggiunto che “la consapevolezza del già raggiunto buon esito del giudizio per la parte concernente il merito ha giustificato il disinteresse per le sorti della pronuncia accessoria sulle spese che non poteva che seguire il criterio della soccombenza (…) di controparte” (così decreto impugnato, pag. 9).

20. In questo quadro è del tutto ingiustificato l’assunto dei ricorrenti, secondo cui la corte distrettuale non ha motivato sul “perché l’interesse dei ricorrenti dato (…) dalla circostanza che la sentenza non definitiva rimandava a quella definitiva la statuizione sulle spese, non sarebbe stato idoneo a giustificare la loro richiesta di indennizzo” (così ricorso, pagg. 15 e 16).

In verità, alla stregua dei surriferiti rilievi la corte territoriale ha, in fondo, specificato che si era acquisito positivo riscontro dell’assenza, per giunta, in capo ai ricorrenti, di qualsivoglia forma di “patema d’animo” connesso alla irragionevole prosecuzione del giudizio “presupposto”.

21. In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

22. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex Lege n. 89 del 2001; il che rende inapplicabile il medesimo D.P.R., art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente, Ministero della Giustizia, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2021

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