Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26868 del 04/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23871/2020 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in Benevento via Nicola Sala 29, presso lo studio dell’avv. Rocco Barbato, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Massimiliano Cornacchine;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, il persona del Ministro, pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6317/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/09/2021 dal Consigliere Dott. Rita RUSSO.

RILEVATO

Che:

Il ricorrente, cittadino gambiano, ha chiesto la protezione internazionale dichiarando di essere fuggito dal proprio paese dopo avere ferito e ridotto in fin di vita il fratello, che si opponeva per motivi religiosi alla sua relazione con una ragazza cristiana.

La competente Commissione territoriale ha respinto la richiesta.

Il Tribunale di Napoli, adito dal ricorrente, ha rigettato la domanda ritenendo la storia narrata inattendibile in quanto connotata dal lacuna e contraddizioni, e ritenendo assenti il rischio.

Il richiedente asilo ha proposto appello, che è stato rigettato dalla Corte d’appello di Napoli, richiamando il giudizio di inattendibilità già reso dal Tribunale, e osservando che le facilitazioni probatorie accordate al richiedente protezione internazionale non riguardano anche la allegazione dei fatti; ha inoltre osservato che il primo motivo d’appello è inammissibile in quanto consistente in una mera ricognizione normativa; il secondo motivo d’appello è inammissibile in quanto inconferente, poiché in esso si esprimono considerazioni del tutto disancorate dalla storia personale narrata dal richiedente, deducendosi il rischio di aggressioni e persecuzioni subite da un gruppo terroristico; che in ogni caso si evidenzia nel racconto una causa ostativa al riconoscimento della protezione internazionale consistente nella commissione di un delitto; che non sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, poiché il richiedente non ha evidenziato una condizione di particolare vulnerabilità, a fronte del miglioramento delle condizioni del paese di origine ove sono in atto riforme da parte del nuovo governo guidato da B.A..

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a cinque motivi.

L’Avvocatura dello Stato, non tempestivamente costituita, ha presentato istanza per la partecipazione ad eventuale discussione orale. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 10 settembre 2021.

RITENUTO

Che:

1.- Preliminarmente si osserva che il ricorso, notificato in data 10 settembre 2020 avverso una sentenza pubblicata in data 30 dicembre 2019, è tempestivo.

Il D.L. n. 18 del 2020, art. 83, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 27 del 2020, ha disposto che “dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali”, dovendosi ritenere sospesi, fra l’altro, i termini stabiliti “per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali”.

Il termine finale così fissato è stato poi prorogato – dal D.L. n. 23 del 2020, art. 36, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 40 del 2020 – all’11 maggio 2020, sicché i termini processuali di tutti i procedimenti civili risultano sospesi dal 9 marzo 2020 all’11 maggio 2020 e hanno ripreso a decorrere dalla fine del periodo di sospensione, vale a dire dal 12 maggio 2020.

Vero è che la regola generale subisce eccezioni, e segnatamente quella prevista dall’art. 83, comma 3, relativa ai procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona, ma detta eccezione, di lettura necessariamente restrittiva, non riguarda i processi di protezione internazionale, che pur se finalizzati alla tutela di diritti fondamentali della persona non hanno natura cautelare, in quanto non sono rivolti ad assicurare una tutela d’urgenza anticipata, strumentale a un successivo giudizio di cognizione, ma costituiscono lo strumento processuale attraverso il quale si assicura, in sede di cognizione piena, la tutela definitiva dei suddetti diritti (in tema, con riferimento ai giudizi di incandidabilità di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, si veda Cass. 2749/2021).

2.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte erroneamente dichiarato inammissibile il capo di appello relativo allo status di rifugiato. La parte deduce che la dichiarazione di inammissibilità dei motivi di gravame risulta fondata esclusivamente su un errore materiale di battitura, mentre, di contro, l’atto di appello risponde a tutti i requisiti previsti dalla norma processuale. Espone che effettivamente nell’atto d’appello è stata dedotta la sussistenza di aggressioni e persecuzioni subite da gruppi terroristici, ma si tratta di errori materiali di battitura dato che da una lettura complessiva dell’appello, in particolare dal fatto storico, emerge chiaramente che le minacce e aggressioni narrate dal richiedente asilo provenivano dalla propria famiglia e cioè dal fratello.

Con il secondo motivo d’appello si lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia con violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 7, 9, 11 e 17, dell’art. 11, n. 1, lett. e) della Direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE e della Direttiva 2001/95/CE nonché dell’art. 10 della Direttiva 2013/32/UE in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente lamenta che il giudice d’appello ha omesso di esaminare la domanda di protezione internazionale, benché con il ricorso di prima istanza e con l’appello siano stati indicati specificati fatti costitutivi del diritto per il riconoscimento delle predette forme di protezione. Ha inoltre errato la Corte a rilevare la sussistenza della condizione ostativa alla protezione internazionale, in difformità la decisione di primo grado che aveva ritenuto le dichiarazioni del ricorrente poco verosimili e la vicenda personale non configurabile come atto persecutorio.

Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16 e dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Il ricorrente deduce che ha errato la Corte d’appello ad applicare le cause di esclusione per non meritevolezza della protezione, di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16, ritenendo che egli abbia commesso l’omicidio del fratello nonché il reato di omissione di soccorso, mentre gli non ha mai dichiarato di avere commesso l’omicidio del fratello ma solo di averlo ferito per difendersi dall’aggressione; il giudice d’appello ha quindi omesso di indicare da quali elementi ha tratto il proprio convincimento peraltro in difformità con la decisione resa dal giudice di primo grado.

Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione degli atti. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16, nonché degli artt. 112,115,116,132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e degli artt. 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 2059 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio nonché omesso esame delle prove per non avere la Corte valutato che, come emerge dagli atti di causa, il ricorrente ha colpito il proprio fratello con un coltello per difendersi dalla sua aggressione; ove le predette circostanze fossero esaminate dal giudice d’appello lo avrebbero portato ad escludere sicuramente non solo l’ipotesi del delitto di omicidio ma anche quello del reato di omissione di soccorso.

I motivi possono esaminarsi congiuntamente sono inammissibili.

L’atto d’appello deve contenere a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., censure specifiche alla sentenza di primo grado ed è questo difetto che è stato rilevato dalla Corte, la quale osserva che la parte si è limitata, per un verso, ad una mera ricognizione della normativa esistente, per altro ha evidenziato un profilo di rischio del tutto inconferente (le aggressioni terroristiche) con la storia narrata. La circostanza che nella parte in fatto dell’atto d’appello il richiedente abbia operato un riferimento alla storia riferita innanzi alla Commissione territoriale, e cioè di essere fuggito dal suo paese per contrasti familiari, lungi dal giustificare il presunto “errore di battitura” evidenzia ancora di più la inconferenza del motivo d’appello con la storia narrata e l’insanabile contraddizione nell’atto di appello tra la parte in fatto e i motivi dell’impugnazione. Né la parte, pur parlando di errore materiale, trascrive o riassume una specifica censura contenuta nell’atto d’appello alle effettive rationes decidendi della sentenza di primo grado.

Si osserva quindi che in grado d’appello la parte non può limitarsi ad allegare la sua storia personale, ma deve anche censurare le ragioni per le quali e il giudice di primo grado ha rigettato la domanda di protezione.

Si osserva quindi che la Corte ha confermato la decisione di primo grado sul rilievo della inammissibilità ed inconferenza dei motivi di appello; nella sentenza fa ampio riferimento alla decisione di primo grado ove si è ritenuto il racconto di richiedente non genuino (non appare il portato di un evento realmente vissuto) ed ha dimostrato di condividerlo, laddove osserva che le facilitazioni probatorie accordate al richiedente non riguardano ha anche l’allegazione dei fatti. Il ricorrente è infatti tenuto ad allegare in modo chiaro e completo i fatti costitutivi della pretesa (Cass. n. 11175/2020; Cass. n. 24010/2020) posto che il ricorrente è l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale e quindi deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, alle domande di asilo eventualmente già presentate (v. CGUE 5 giugno 2014, causa C-146/14; nello stesso senso Cass. 8819/2020).

Ciò posto, l’argomento relativo alla sussistenza di una condizione ostativa, per l’aggressione al fratello, appare una motivazione ad abundantiam, posto che la Corte ne tratta solo dopo avere richiamato il giudizio di inattendibilità già espresso dal giudice di primo grado, evidenziando che esso non è stato adeguatamente censurato dal ricorrente. I motivi che attengo a tale affermazione sono quindi inammissibili in quanto rivolti avverso una affermazione che non spiega spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, e che essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (Cass. 8755/2018).

2.- Con il quinto motivo del ricorso si lamenta la violazione sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19. La parte lamenta che il la Corte d’appello non abbia tenuto in conto la sua condizione di vulnerabilità pur avendo ritenuto credibile la storia; avrebbe quindi dovuto valutare se in Gambia l’omicidio non sia punito con la pena di morte, se sia assicurato un processo giusto e che nelle carceri non siano praticati trattamenti inumani e degradanti; deduce inoltre che la Corte ha omesso di esaminare le risultanze processuali e i documenti prodotti dal ricorrente in particolare il rapporto di Amnesty International relativo alle torture nelle carceri.

Il motivo è inammissibile.

Come sopra si è detto, l’argomento relativo alla sussistenza di una causa di esclusione costituisce una motivazione ad abundantiam da parte della Corte perché comunque è stato confermato il giudizio di inattendibilità della storia narrata già reso dal Tribunale; di conseguenza non si può fare valere quale condizione di vulnerabilità il timore di essere arrestato e processato per un fatto ritenuto non veritiero.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese in difetto di regolare costituzione da parte del Ministero.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472