LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALSAMO Milena – Presidente –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –
Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25868/2018 R.G. proposto da:
O.T., D.S.E.M.E. E DE.SE.EM., rappresentate e difese dall’Avv. Roberto Fischi, con domicilio eletto in Roma, P.le Clodio, n. 8, presso lo studio dell’Avv. Michele De Luca;
– ricorrenti –
contro
COMUNE DI LEGNANO, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Maurizio Lovisetti, Cesare Peroni e Paolo Rolfo presso il cui studio, sito in Roma, via Appia Nuova, n. 96, ha eletto domicilio;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. 10, n. 539/2018, depositata il 9 febbraio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 maggio 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.
RITENUTO
Che:
O.T., D.S.E.M.E. ed De.Se.Em. impugnavano avanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano gli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Legnano per omessa dichiarazione e omesso versamento ICI per l’anno 2011 in relazione ad alcuni terreni di loro proprietà, deducendo che alla data del 1 gennaio 2011 tali terreni dovevano ritenersi non edificabili. Infatti, il Piano di governo del territorio (PGT), il quale ne mutava la destinazione, rendendoli edificabili, era stato adottato dal Comune solo in data 11 maggio 2011, approvato in data 25 novembre 2011 e reso efficace dalla Regione il 18 gennaio 2012. La CTP accoglieva il ricorso ritenendo che il Comune non avesse provato l’incremento di valore degli immobili.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia avanti alla quale l’Amministrazione comunale impugnava tale decisione accoglieva l’appello, affermando che era intervenuta una variazione urbanistica che legittimava il Comune ad assoggettare ad ICI i terreni, in quanto divenuti edificabili.
Le contribuenti hanno proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi e assistito da memoria.
Ha resistito con controricorso il Comune di Legnano.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L.R. n. 12 del 2005, art. 13 e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, conv. in L. n. 248 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Secondo le ricorrenti dalla lettura combinata di tali disposizioni discenderebbe che la sola adozione del Piano di governo del territorio non comporta di per sé l’inefficacia del preesistente Piano regolatore ma questo, ai sensi della L.R. n. 12 del 2005, art. 13, comma 12, affianca il PGT adottato. Pertanto, opera il regime di salvaguardia per effetto quale le domande di permesso di costruire devono rispettare entrambi gli strumenti urbanistici. Conseguentemente, nella specie, nel periodo compreso tra l’adozione del nuovo PGT (11.5.2011) e la sua approvazione (25.11.2011) era esclusa la possibilità di edificare sui terreni delle contribuenti. Solo con l’approvazione definitiva del PGT esso aveva assunto piena efficacia e i terreni erano divenuti edificabili. La CTR, pertanto, avrebbe dovuto ritenere tali terreni inedificabili almeno fino alla data del 25 novembre 2011. La previsione recata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, avrebbe il significato di precisare che solo con l’approvazione del Piano da parte del Comune i terreni diverrebbero edificabili ai fini ICI, non essendo a tal fine necessaria l’approvazione dello strumento urbanistico da parte della Regione.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Le ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe priva di un’adeguata motivazione in ordine all’iter logico dalla stessa seguito per ritenere “oltremodo attendibile e non spropositata” la stima di valore degli immobili, laddove avrebbe invece dovuto motivare adeguatamente i criteri utilizzati.
Inoltre, affermano che la CTR avrebbe ritenuto legittimi gli avvisi impugnati nonostante che essi non avessero tenuto conto dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 ed in particolare del valore venale in comune commercio degli immobili, nonché dei prezzi medi rilevati sul mercato. Non avrebbe inoltre considerato che gli atti di vendita presi a raffronto per la determinazione del valore erano di ben sei anni precedenti e non erano stati allegati all’atto impositivo.
Il primo motivo è infondato.
Secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare seguito, “in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius aedificandi o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo d’imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. f). L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonché della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio” (Cass., Sez. un., n. 25506 del 30/11/2006 ed altre successive conformi, nonché da ultimo Sez. un., n. 23902 del 2020).
Si è anche chiarito che la nozione di edificabilità rilevante ai fini tributari è distinta ed autonoma rispetto a quella rilevante ai fini urbanistici: “diverse, infatti, sono le finalità della legislazione urbanistica rispetto a quelle della legislazione fiscale. La prima tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e, quindi, lo jus aedificandi non può essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilità degli interessi individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello jus aedificandi, fino al perfezionamento dello stesso. Ne consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi possono essere legittimamente differenti”.
Proprio tenendo conto di tale autonomia, questa Corte ha evidenziato come anche il semplice avvio della procedura amministrativa finalizzata alla edificabilità assume rilevanza ai fini impositivi, determinando un incremento di valore dell’immobile che costituisce manifestazione di ricchezza e capacità contributiva.
D’altra parte, la Corte costituzionale ha ritenuto “del tutto ragionevole” che il legislatore “distingua, ai fini della determinazione dell’imponibile dell’ICI, le aree qualificate edificabili in base a strumenti urbanistici non approvati o non attuati (e, quindi, in concreto non ancora edificabili), per le quali applica il criterio del valore venale, dalle aree agricole prive di detta qualificazione, per le quali applica il diverso criterio della valutazione basata sulle rendite catastali” dal momento che “la potenzialità edificatoria dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante” (Corte Cost., ordinanza n. 41 del 2008).
Venendo al caso in esame, correttamente la CTR ha ritenuto che l’adozione del PGT, per effetto del quale i terreni delle contribuenti divenivano edificabili, legittimasse il Comune a sottoporre a tassazione i terreni delle contribuenti. In senso contrario non assume rilevanza alcuna la circostanza che nelle more dell’approvazione di detto Piano trovasse applicazione il cd. regime di salvaguardia, dal momento che esso concerne unicamente la disciplina urbanistica, mentre è irrilevante ai fini della legislazione fiscale.
Il secondo motivo è inammissibile.
Benché rubricato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con tale motivo le ricorrenti in realtà deducono il vizio di cui alla stessa disposizione, n. 5, lamentando l’insufficiente motivazione della sentenza in relazione al valore riconosciuto agli immobili ed in particolare alle ragioni per cui la CTR ha ritenuto che quello attribuito dal Comune fosse attendibile e non spropositato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile nel caso in esame, il controllo sulla motivazione può investire esclusivamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale sussiste nelle sole ipotesi di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, sicché il sindacato sulla motivazione è possibile solo con riferimento al parametro dell’esistenza e della coerenza, non anche con riferimento al parametro della sufficienza (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; v. anche Cass. 08/10/2014, n. 21257 e Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. n. 13395 del 2018).
Si è inoltre affermato che il vizio in parola si sostanzia nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e deve pertanto riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche nell’omessa o nell’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. un., n. 8053 del 7/4/2014, e, conformemente, Cass., n. 19312 del 29/9/2016). Il predetto vizio sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 27162 del 23/12/2009; Cass. nr 14161/2019).
Nella specie, la assunta carenza motivazionale della sentenza impugnata, dedotta con riferimento alla mancanza di adeguata motivazione in ordine alla attendibilità e congruità della stima del valore degli immobili delle contribuenti, non concreta un fatto nel senso storico-naturalistico di cui ai sopra esposti principi, quanto, piuttosto una carenza nella motivazione.
Il motivo in esame e’, altresì, inammissibile per difetto di autosufficienza. Infatti, le ricorrenti non hanno riprodotto all’interno del ricorso l’atto di appello dal quale risultino le censure svolte avverso la sentenza di prime cure e delle quali affermano che la CTR non avrebbe tenuto conto.
In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 2.000, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge, ed Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovute.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021