Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.26916 del 05/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11639/2015 R.G. proposto da:

D.M.L.R., con l’avv. Mario Girardi e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Durigon, in Roma via Aurelia n. 353;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, Napoli, n. 9178/07/14 pronunciata il 10 ottobre 2014 e depositata il 24 ottobre 2014, non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08 luglio 2021 dal Consigliere Dott. Fracanzani Marcello Maria.

RILEVATO

1. Il contribuente, attinto da un avviso di accertamento con cui l’Ufficio rideterminava il reddito ai fini Irpef e relative addizionali per l’anno d’imposta 2007, presentava istanza con adesione che non sortiva però effetto alcuno.

2. Adito il giudice di prossimità, il giudizio di primo grado esitava in senso favorevole all’Ufficio. Il contribuente promuoveva pertanto appello, che veniva parzialmente accolto dalla commissione tributaria regionale.

3. Invoca lo scrutinio di legittimità di questa Corte il contribuente affidandosi a tre motivi di ricorso, cui replica l’Amministrazione finanziaria con controricorso.

CONSIDERATO

1. In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., va esaminato ed accolto il secondo motivo del ricorso, la cui fondatezza assorbe (pressoché) ogni altra questione dibattuta fra le parti. La causa, infatti, può essere decisa sulla base della questione di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, secondo l’indirizzo espresso da questa Corte: “a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità di giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.” (Cass. V, n. 363/2019; Cass. n. 11458/2018; Cass. n. 12002/; Cass. S.U. n. 9936/2014).

2. Con il secondo motivo il contribuente lamenta l’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., D.Lgs. n. 549 del 1992, art. 36 nonché 112, 115, 116 e 132 c.p.c., e l’omessa motivazione ovvero motivazione meramente apparente della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1 Pur avendo svolto una censura promiscua, in sostanza il ricorrente denunzia l’illegittimità della sentenza per non aver la CTR rappresentato il ragionamento logico giuridico seguito per giungere alla decisione di parziale riforma della sentenza, avendo di fatto aderito pedissequamente alle posizioni dell’Ufficio.

Il motivo è fondato.

3. In materia questa Corte ha affermato che “Il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonché la giurisprudenza ivi richiamata). Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata). Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo – quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017)” (Cfr. Cass., V, n. 20414/2018).

3.1 La sentenza oggetto di scrutinio incorre nel vizio di motivazione apparente avendo la CTR semplicemente affermato, quasi come fosse un assioma, la legittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio salvo poi precisare di dover tenere, in parte, in considerazione le eccezioni di merito del contribuente, ivi non specificate, e ha poi soggiunto di dover operare un abbattimento del reddito accertato nella misura del 54% sul presupposto che quella percentuale era stata riconosciuta dall’Ufficio già in sede di procedura di adesione. In sostanza la CTR conclude per l’accoglimento parziale dell’appello del contribuente ma lo fa aderendo acriticamente ed in toto alle tesi dell’Ufficio. La motivazione assunta dalla CTR appare pertanto assolutamente inidonea a rendere palese la ratio decidendi, essendo stata omessa qualsivoglia indicazione sulla natura e sulla valenza – o meno probatoria della documentazione esaminata nonché qualunque esternazione delle ragioni di non condivisibilità delle argomentazioni prospettate dal contribuente.

4. Con il primo motivo il ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, D.M. 10 settembre 1992, art. 2728 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36,artt. 112,113,115,116 e 132 c.p.c. e art. 111 Cost. in parametro all’art. 360 c.p.c., n. 3.

4.1 In particolare critica la sentenza impugnata per non aver la CTR riconosciuto la natura relativa delle presunzioni legali introdotte dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38. Afferma infatti che la disciplina in commento consentirebbe al contribuente di fornire la prova contraria e che dette prove, ritualmente prodotte in atti, erano state però disattese dal Collegio di secondo grado.

5. Con il terzo motivo il contribuente si duole, infine, dell’omesso esame e pronuncia su una questione decisiva in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5. In particolare afferma che l’omesso esame delle prove fornite dal contribuente integra un ulteriore vizio della sentenza impugnata, essendo state pretermesse nonostante la loro natura decisiva.

6. Il primo ed il terzo motivo rimangono assorbiti per effetto dell’accoglimento del secondo.

7. Conclusivamente, va accolto il ricorso in relazione al secondo motivo, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR che provvederà a nuova valutazione delle questioni di merito, fornendo adeguata e congrua motivazione, nonché alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, dichiara assorbiti il primo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021

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