LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI U.L.C. Giuseppe – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12346-2020 proposto da:
R.K., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DI SILVIO ANGELO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA PROCURA GENERALE PRESSO CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso il decreto n. cronol. 9464/2020 del TRIBUNALE di ROMA, depositato il 12/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARULLI MARCO.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il ricorso in atti si impugna l’epigrafato decreto, con il quale il Tribunale di Roma, attinto dal ricorrente ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ha rigettato le istanze del medesimo in punto di protezione internazionale e di protezione umanitaria e se ne chiede la cassazione sul rilievo 1) della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), nonché del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. g), avendo il decidente denegato la protezione sussidiaria in ragione della ritenuta inattendibilità del richiedente quantunque, in considerazione della diffusione nel paese dei credi animisti, fosse del tutto verosimile, alla luce della particolare vicenda narrata dal medesimo (il richiedente aveva distrutto l’idolo di famiglia dopo essersi convertito al cristianesimo), il rischio di essere ucciso dai propri familiari o di essere imprigionato per stregoneria; 2) della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), avendo del pari il decidente denegato la protezione sussidiaria quantunque, al contrario di quanto affermato nel provvedimento impugnato, la situazione interna del paese di provenienza sia caratterizzata da tensioni tribali, scontri tra bande armate, attività terroristiche e illegalità da parte delle forza di sicurezza, il tutto, poi, senza considerare che il richiedente aveva pure soggiornato per due anni in Libia la cui condizione politica e sociale è ben nota: 3) della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 5, avendo il decidente denegato ancora l’accesso alle misure richieste sul presupposto della ritenuta inattendibilità del richiedente, quantunque nell’esercizio dei poteri officiosi di indagine e tenuto conto degli sforzi da lui compiuti per circostanziare le proprie istanze, i fatti dallo stesso narrati si sarebbero dovuti ritenere del tutto coerenti e credibili; 4) della violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, avendo il decidente denegato la protezione umanitaria quantunque in relazione ai fatti dal medesimo narrati, fosse dimostrata la condizione di vulnerabilità vissuta del richiedente e si rendesse perciò impensabile il suo rimpatrio nel paese di provenienza, tanto più considerando il percorso di integrazione compiuto dal medesimo nel nostro paese.
Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato non essendosi il medesimo costituito con controricorso ex art. 370 c.p.c. ma solo a mezzo di “atto di costituzione” ai fini della partecipazione all’udienza pubblica inidoneo allo scopo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile essendo inteso a sollecitare un rinnovato apprezzamento delle circostanze fattuali che hanno indotto il tribunale a dubitare della credibilità del ricorrente; e ciò sulla base di un giudizio che, in ossequio al criterio della procedimentalizzazione della decisione, mostra di valorizzare gli elementi emersi dal racconto del ricorrente, in guisa dei quali il decidente, dando atto dell’inspiegabilità della sua condotta (la decisione di convertirsi al cristianesimo non era stata osteggiata dai familiari), nonché delle contraddittorietà (la distruzione dell’idolo, pur essendo consapevole del disvalore della sua azione di fronte ai familiari) e delle incongruenze (l’avvenuta conversione al cristianesimo avrebbe dovuto essere rivelatrice del fatto che non potesse avere alcun influenza sulla vita della comunità familiare) in cui egli incorre, ha conclusivamente ritenuto che “la storia narrata dal richiedente appare scarsamente credibile”.
E’ perciò appena il caso di rammentare che, mentre il giudizio in parola costituisce accertamento di fatto non censurabile in cassazione se non per vizio di motivazione, secondo i dettami risultanti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ovvero per anomalia motivazionale integrante violazione di legge avente rilevanza costituzionale(Cass., Sez. I, 5/02/2019, n. 3340) – circostanze ambedue queste non ricorrenti nella specie risultando il deliberato di che trattasi assistito da congrua ed adeguata motivazione -, ciò pure dispensa il giudice del merito, come pure ancora chiarito da questa Corte, dal procedere ad ogni ulteriore approfondimento istruttorio riguardo alle fattispecie contemplate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), e dal rendere perciò la decisione censurabile per omesso esercizio dei poteri istruttori officiosi 3. Inammissibile si rende anche il secondo motivo di ricorso, poiché, fermo che l’allegazione afferente alla permanenza in Libia del ricorrente non è stata affatto ignorata dal decidente (cfr. il rilievo a pag. 7 circa l’assenza in capo al richiedente di “traumi eventualmente sofferti durante il transito libico”), a fronte dell’approfondita ricognizione della situazione interna del paese di provenienza del richiedente che il provvedimento impugnato conduce alle pagine 4 e 5 della propria motivazione, il motivo è espressione solo di un dissenso dialettico e fonte, ancora, di indiretta sollecitazione a rinnovare l’esame di merito.
4. Il terzo motivo di ricorso, alla luce delle considerazioni dianzi espresse a confutazione del primo e del secondo motivo di ricorso, in guisa delle quali il negativo giudizio di sfavore declinato dal decidente di merito circa la credibilità del richiedente non è frutto di un personale opinamento del giudice, ma la risultante di valutazione operata alla stregua degli indici di genuinità previsti dalla legge, resta conseguentemente assorbito.
5. Il quarto motivo di ricorso non si sottrae ai medesimi rilievi ostativi che fulminano di inammissibilità i motivi precedenti.
Il Tribunale ha invero escluso la sussistenza in capo al richiedente di apprezzabili ragioni di vulnerabilità, dando atto in modo circostanziato che il medesimo non versa in una condizione utilmente valutabile ai fini del riconoscimento della misura richiesta, posto, segnatamente, che non risulta dimostrato un adeguato livello di integrazione nel nostro paese né la ricorrenza di altri fattori di rischio imputabili alla sua condizione di salute, in ragione del quali possa dirsi che in caso di rimpatrio il richiedente subirebbe “una regressione delle condizioni personali e sociali idonea a determinare un’incolmabile sproporzione nella titolarità e nell’esercizio dei diritti fondamentali al di sotto del parametro della dignità personale”.
La trascritta motivazione – fermo in principio che il motivo non evidenzia “decisivi indici di stabilità lavorativa e relazionale” – soddisfa il parametro interpretativo enunciato in materia,ecia questa Corte dato (11 che essa, mettendo a confronto la condizione del ricorrente nel nostro paese con quella che in cui il ricorrente potrebbe trovarsi in caso di rimpatrio nel paese di provenienza, si muove correttamente nel solco di quella valutazione comparativa intesa a verificare se, in difetto di una condizione di vulnerabilità altrimenti ravvisabile, il rimpatrio possa determinare in capo all’asilante la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, di guisa che le istanze declinate nel motivo, in disparte da ulteriori ragioni di inammissibilità argomentabili in relazione allo statuto di censurabilità per cassazione dell’errore di diritto, incarnano la mera perorazione ad una rivalutazione del sottostante quadro fattuale della vicenda a cui non è pero compito di questa Corte provvedere.
6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.
7. Nulla spese in difetto di costituzione avversaria. Doppio contributo ove dovuto.
PQM
Dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 4 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021