LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32267-2019 proposto da:
COMUNE di FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO CRESCI;
– ricorrente –
contro
B.M., BR.MA., G.L., tutti in qualità di eredi legittimi di B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 4, presso lo studio dell’avvocato DANIELE SACRA, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE MOMI;
– controricorrenti –
contro
AVR SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 815/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 04/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
B.G. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze il Comune di Firenze chiedendo il risarcimento del danno cagionato dalla caduta, il giorno 22 marzo 2013 alle ore 19:30, mentre percorreva strada all’interno del Comune, a causa di sconnessione non illuminata. Il comune chiamò in causa AVR s.p.a.. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, condannando il Comune e la terza chiamata in solido al pagamento della somma di Euro 3.550,024, oltre rivalutazione ed interessi, e di Euro 409,90 per spese mediche, sulla base del riconosciuto concorso colposo del creditore nella misura del 30%. Avverso detta sentenza propose appello il B.. Con sentenza di data 3 aprile 2019 la Corte d’appello di Firenze accolse l’appello e condannò gli appellati in solido al pagamento della somma di Euro 9.844,37, oltre rivalutazione ed interessi.
Osservò la corte territoriale che doveva essere escluso il concorso di colpa del creditore sulla base delle seguenti ragioni: il marciapiedi era dissestato e sconnesso e, sulla base della testimonianza, era nel tratto in questione scarsamente illuminato da due lampioni posti a distanza di mt 24 l’uno dall’altro, uno dei quali situato in corrispondenza della chioma di un albero (come da schizzo planimetrico allegato al verbale dei vigili urbani); nelle circostanze della caduta non era “esigibile un comportamento diverso da quello di osservare un’andatura prudenziale, in fatto emersa dalla deposizione della teste escussa che ha riferito che lei ed il marito “camminavano fianco a fianco””. Aggiunse che doveva procedersi alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime tabellari nella misura del 25% sulla base delle seguenti circostanze integranti specifiche condizioni di sofferenza soggettiva, le quali, per quanto ripercorse nella relazione di CTU, erano rimaste fuori dalla valutazione del danno compiuta dal consulente: la dinamica della caduta, riverberatasi sul danneggiato con notevole impatto fisico, l’excursus clinico caratterizzato da un difficile controllo della sintomatologia dolorosa, l’aspirazione di grumo di sangue derivante dall’escoriazione del condotto uditivo esterno, Fa prescrizione di ossigeno-terapia per compensare l’ipoventilazione dovuta alle fratture costali.
Ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi il Comune di Firenze e resistono con controricorso B.M., Br.Ma. e G.L. nella qualità di eredi di B.G.. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello, discostandosi dalla valutazione del tribunale che aveva ritenuto esistente il concorso di colpa del danneggiato, ha omesso di valutare il contenuto del verbale dei vigili urbani nella parte in cui afferma la piena visibilità delle condizioni del marciapiede. Aggiunge che la percezione dello stato di dissesto obbligava il danneggiato ad un alto grado di prudenza e diligenza.
Il motivo è inammissibile. Vanno preliminarmente disattese le eccezioni sollevate in controricorso di notifica del ricorso sia ad un numero civico diverso da quello dello studio del difensore, corrispondente al domicilio eletto, sia al B., deceduto dopo la pubblicazione della decisione impugnata, anziché agli eredi. A parte il rilievo della tempestiva notifica del ricorso al litisconsorte necessario, che sarebbe profilo assorbente, va evidenziato sia che il ricorso è stato comunque notificato alla parte, nonostante l’erronea indicazione del numero civico, sia la validità della notifica per effetto dell’ultrattività del mandato con la conseguenziale stabilizzazione della posizione giuridica della parte rappresentata colpita dall’evento, come affermato dalla giurisprudenza a partire da Cass. sez. U. n. 15295 del 2014.
Non è in discussione il principio di diritto secondo cui in tema di danno da insidia stradale, quanto più la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze della strada pubblica è suscettibile di essere prevista e superata dall’utente – danneggiato con l’adozione di normali cautele, tanto più rilevante deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell’ente proprietario della strada e l’evento dannoso (fra le tante Cass. n. 287 del 2015). Di tale principio ha fatto applicazione il giudice di merito, il quale ha informato il giudizio di fatto proprio al principio in considerazione. Il giudice di appello ha considerato che nelle circostanze della caduta non era “esigibile un comportamento diverso da quello di osservare un’andatura prudenziale, in fatto emersa dalla deposizione della testa escussa che ha riferito che lei ed il marito “camminavano fianco a fianco””. E’ stato dunque valutato se fosse prudenziale il comportamento del danneggiato. Il contenuto di tale valutazione spetta al giudice di merito, ciò che rileva, dal punto di vista del giudizio di legittimità, è che tale valutazione sia stata compiuta. Essendo stata applicata la regola di diritto, la censura rifluisce nella mera confutazione del giudizio di fatto, inammissibile nella presente sede di legittimità.
Con il secondo motivo si denuncia insufficiente e/o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché erronea applicazione dell’art. 1227 c.c.. Osserva il ricorrente che il giudice di appello ha omesso di valutare l’intero contenuto del verbale di accertamento dello stato dei luoghi redatto dai vigili urbani, ed in particolare che la prossimità della chioma di un albero alle lampade non era idonea a schermare la luce, e che la dichiarazione testimoniale della coniuge del danneggiato, di cui era stata eccepita l’inammissibilità ai sensi dell’art. 246 c.p.c. (a nulla rilevando che la teste avesse rinunciato al risarcimento), non è stata sottoposta a valutazione di attendibilità e credibilità. Aggiunge che il verbale redatto dai vigli urbani ha efficacia di piena prova ai sensi dell’art. 2700 c.c. fino a querela di falso.
Il motivo è inammissibile. La censura si articola in una serie di sub-motivi.
In primo luogo il ricorrente lamenta l’omessa valutazione del processo verbale redatto dai vigili urbani. Al riguardo va rammentato che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Il fatto storico in questione, e cioè la presenza di una chioma di albero in prossimità dei lampioni, è stato valutato dal giudice di merito, con espresso riferimento peraltro allo schizzo planimetrico allegato al verbale, concludendo per la scarsità di illuminazione, considerando peraltro in modo particolare la distanza di 24 mt. dei lampioni l’uno dall’altro. In tale valutazione non viene in rilievo la particolare efficacia del processo verbale redatto da pubblico ufficiale, il quale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati al pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale (fra le tante da ultimo Cass. n. 24461 del 2018).
In secondo luogo il ricorrente censura la mancata valutazione di attendibilità della teste, coniuge del danneggiato. Per il vero il ricorrente precisa anche di avere eccepito l’inammissibilità a deporre della teste, ma in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non ha specificatamente indicato se abbia eccepito la nullità della testimonianza nella prima difesa successiva all’assunzione della prova (cfr. fra le tante Cass. n. 18036 del 2014).
Quanto alla valutazione di attendibilità della teste l’orientamento di questa Corte è nel senso che l’insussistenza, per effetto della decisione della Corte Cost. n. 248 del 1994, del divieto di testimoniare sancito per i parenti dall’art. 247 c.p.c. non consente al giudice di merito un’aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato dal giudice di merito – la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove motivata – ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse (Cass. n. 98 del 2019, n. 17630 del 2010). La valutazione di attendibilità della testimonianza ricade pertanto nel giudizio di fatto del giudice di merito, ma, come ogni giudizio di fatto, resta impugnabile con la denuncia di vizio motivazionale. Al riguardo non vi è una rituale proposizione di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ma solo il richiamo in rubrica al vizio motivazionale non più vigente e nel corpo del motivo alla mera mancanza di motivazione circa la credibilità della teste. Avrebbe invece dovuto il ricorrente denunciare l’omesso esame di circostanze di fatto che, unitamente alla circostanza del rapporto di coniugio, il giudice avrebbe dovuto valutare ai fini dell’attendibilità della teste.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2059 e 2057 c.c., nonché degli artt. 132 e 118 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Osserva la parte ricorrente che in difetto di specifica allegazione e prova di circostanze rilevanti ai fini della personalizzazione, il giudice deve liquidare il danno non patrimoniale sulla base delle tabelle senza operare personalizzazioni in aumento e che nel caso di specie le circostanze valutate dal giudice sono di tipo medico, e come tali assorbite dalla CTU, mentre nessuna valutazione è stata effettuata delle dette circostanze con riferimento alla persona. Precisa che, come detto dallo stesso giudice di appello, le circostanze in esame erano state ripercorse in sede di CTU, la quale non vi aveva conferito rilevanza ai fini della maggiorazione del danno da personalizzazione. Conclude nel senso del carattere meramente apparente della motivazione.
Il motivo è inammissibile. Va premesso che il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari (fra le tante Cass. n. 11754 del 2018). Di tali ragioni di apprezzamento il giudice ha dato conto nella motivazione, la quale deve pertanto reputarsi pienamente sussistente. Il carattere della censura è a questo punto strettamente relativo alla valutazione di merito delle dette circostanze, valutazione ricadente nel giudizio di fatto il quale, come è noto, compete al giudice di merito, e non può essere scrutinato in sede di legittimità.
Sotto altro profilo, il fatto che le circostanze possano essere state esaminate dal CTU e non abbiano concorso alla quantificazione del danno biologico, non esclude che possano essere valutate dal giudice ad altro fine, ed in particolare, come è stato fatto, ai fini della stima del danno morale corrispondente alla sofferenza soggettiva. Anzi proprio l’inerenza al danno biologico della valutazione del CTU esclude l’esistenza di duplicazioni, in quanto le circostanze sono state apprezzate dal giudice al diverso fine di stimare il danno morale. Al riguardo va rammentato che in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del “danno biologico”, quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un’ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore (c.d. danno morale, “sub specie” di dolore dell’animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione), con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (fra le tante Cass. n. 4878 del 2019).
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021
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