Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27009 del 05/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14431-2020 proposto da:

M.V., M.A., L.M.M., in proprio e nella qualità di Amministratore della Società ELENA SALERNO TOURS SAS di L.M.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO SAVERIO NITTI, 15, presso lo studio dell’avvocato BARBARA DE STEFANO, rappresentati e difesi dagli avvocati GIUSEPPE ROMANELLI, MARIA VALERIA D’ANIELLO;

– ricorrenti –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO CAMPANIA CENTRO – CASSA RURALE ED ARTIGIANA SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 106, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FAUCEGLIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1299/2019 della CORTE, D’APPELLO di SALERNO, depositata il 20/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 15/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI LAURA.

RITENUTO

che:

M.V., M.A. e L.M.M., quest’ultima in proprio e quale amministratrice della società Elena Salerno Tour SAS di L.M.M., hanno proposto ricorso per cassazione nei confronti della Banca di Credito Cooperativo Campania Centro – Cassa Rurale ed artigiana società cooperativa (già Banca di credito cooperativo di Montecorvino Rovella) con quattro mezzi avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno in epigrafe indicata. La Banca ha replicato con controricorso.

La Corte salernitana, respinto l’appello degli odierni ricorrenti, ha confermato la prima decisione che aveva respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 20/2010 emesso dal Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Montecorvino Rovella, con la quale gli odierni ricorrenti avevano contestato il diritto di credito vantato dalla banca.

La Corte di appello ha accertato che la pretesa creditoria della banca trovava il suo fondamento nel contratto autonomo di garanzia del 19/5/2004 per l’importo di Euro 15.000,00= poi elevato ad Euro 37.500,00= in data 28/6/2009, così qualificato in ragione delle clausole previste agli artt. 7 (obbligo per i fideiussori di procedere al pagamento a semplice richiesta scritta della banca) e 8 (estensione della garanzia alle somme effettivamente erogate, a prescindere dalla validità dell’obbligazione).

Ha quindi affermato l’inammissibilità delle domande con cui gli appellanti avevano prospettato l’exceptio doli, in ragione di irregolarità contabili commesse da funzionari della banca, perché tardive in violazione dell’art. 345 c.p.c., ed ha ravvisato l’inapplicabilità degli artt. 1956 e 1957 c.c., avendo accertato che ne risultava invocata l’applicazione in relazione a fatti non palesati nel giudizio di primo grado, né addotti come motivi di difesa.

Ha accertato che il credito vantato dalla banca era provato, atteso che, agli atti del fascicolo di primo grado della banca, si rinvenivano tutti gli estratti conto dal momento dell’apertura del rapporto (anno 2004) alla sua chiusura (anno 2009, in cui avvenne il recesso dai rapporti bancari), come pure la annotazione sull’anticipo per il pagamento dell’assegno per l’importo di Euro 14.270,00= ed il relativo storno a conseguimento della relativa somma; ha rimarcato, infine, che non era dato ritrovare un formale disconoscimento nel corso del giudizio di primo grado di tali documenti e che l’eccezione proposte in secondo grado era generica e tardiva.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, per non avere disposto l’esperimento della procedura di mediazione obbligatoria.

Il primo motivo è inammissibile perché non pertiene, ratione temporis, alla fattispecie in esame, atteso che il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo è stato introdotto con atti notificati il 17/3/2010 (v. controricorso, fol. 2) e risulta instaurato prima della entrata in vigore del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 – che ha introdotto la procedura di mediazione obbligatoria invocata – pubblicato su GU n. 53 del 5 marzo 2010 ed entrato in vigore il 20 marzo 2010.

2.1. I motivi secondo e terzo vanno trattati congiuntamente per connessione.

2.2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1421 c.c., in combinato disposto con l’art. 1418 c.c. e con l’art. 345 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per essere stata negata in appello l’ammissibilità dell’exceptio doli generalis.

I ricorrenti sostengono di avere evidenziato nell’atto di appello, nella comparsa conclusionale e nelle repliche l’esistenza di una nullità ex artt. 1418 e 1421 c.c., sia in relazione al rapporto contrattuale base tra la debitrice principale e la banca, sia in relazione al contratto di garanzia, e si dolgono che sia stata negata l’ammissibilità in appello del principio dell’exceptio doli generalis, in violazione del principio espresso nelle sentenze delle Sezioni Unite nn. 26242/2014 e 26243/2014. Prospettano quindi di avere sempre contestato di non voler utilizzare il contratto di conto corrente bancario e il contratto autonomo di garanzia in quanto affetti da attività fraudolente penalmente accertate e punite con sentenza passata in giudicato e riferiscono di avere depositato documentazione in merito.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1956 e 1957 c.c. in relazione all’art. 345 c.c., comma 3.

La censura concerne la statuizione della Corte di appello che ha ritenuto inammissibili le eccezioni di nullità del contratto autonomo di garanzia e, quindi, la non applicabilità delle previsioni codicistiche ex artt. 1956 e 1957 c.c.; secondo i ricorrenti la preclusione all’applicazione di tali disposizioni sarebbe derogabile nelle ipotesi di nullità del contratto principale o di singole clausole.

2.4. I motivi sono entrambi inammissibili per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, in quanto non illustrano quali siano state le nullità denunciate, né trascrivono i passi dei documenti da cui sarebbero evincibili.

Le questioni in tema di nullità del contratto di conto corrente e del contratto autonomo di garanzia – che sarebbero state sottoposte ai giudici di merito – vengono, inoltre, dedotte genericamente.

A ciò va aggiunto che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 3544 del 5/8/1977; Cass. n. 3925 dell’8/9/1977; Cass. n. 651 del 30/1/1979; Cass. n. 3633 del 17/6/1985; Cass. n. 8478 del 22/6/2000; Cass. n. 16541 del 15/7/2009; Cass. n. 26987 del 22712/2009), il principio della deducibilità e rilevabilità, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo, della nullità del negozio giuridico opera, in sede di legittimità, solo quando la nullità medesima derivi da elementi già acquisiti in causa e risultanti dalla sentenza impugnata, mentre resta preclusa la possibilità di dedurre per la prima volta con il ricorso per cassazione una ragione di nullità che implichi nuove indagini di fatto, non consentite in detta sede, atteso che il principio della rilevabilità anche d’ufficio della nullità va coordinato con le regole processuali concernenti gli oneri di allegazione dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni, di cui agli artt. 163 e 167 c.p.c. (Cass. n. 5952 del 14/03/2014; Cass. n. 20438 del 29/07/2019): di qui l’impossibilità di dare ingresso alle censure veicolate con i motivi.

Nella specie, nella sentenza è detto che l’exceptio doli e le questioni ex art. 1956 e 1957 c.c. furono proposte solo in sede di gravame – come peraltro i ricorrenti non contestano ed è precisato che le stesse fanno riferimento a “fatti non palesati nel giudizio di primo grado, né addotti come motivi di difesa” (fol. 5 della sent. imp.): tali statuizioni, in merito alla mancata tempestiva deduzione ed acquisizione degli elementi di fatto dai quali si sarebbe potuta desumere l’eventuale esistenza del dolo e della denunciata nullità non è stata impugnata.

3.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 165 c.p.c. e l’art. 74 disp. att. c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per avere omesso di rilevare sia la violazione della modalità di deposito degli atti e dei documenti operata dalla banca, sia l’esistente contestazione circa i documenti, depositati dalla banca, fatta dagli opponenti nel verbale di udienza del giudizio di primo grado del 20 maggio 2015. I ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello abbia affermato “in ordine alla utilizzabilità i documenti prodotti in copia va rilevato che non è dato ritrovare un formale disconoscimento tale eccezione appare generica nel corso del giudizio di secondo grado come pure tardiva”. Sostengono che, poiché la documentazione non era stata depositata regolarmente secondo le previsioni codicistiche, non era utilizzabile.

3.2. Il quarto motivo è inammissibile perché carente sul piano della specificità ed autosufficienza.

La questione, relativa alle modalità della produzione documentale effettuata dalla banca, non risulta essere stata sottoposta alla Corte di appello alla stregua dei motivi di appello riprodotti in sentenza; dallo stesso motivo di ricorso, inoltre, sembra potersi evincere che venne proposta in primo grado all’udienza del 20/5/2015, ma non viene chiarito se venne coltivata e ribadita in occasione della precisazione delle conclusioni di primo grado, né se venne riproposta in sede di gravame: da ciò discende l’inammissibilità della censura.

4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00=, oltre Euro 100,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021

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