LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9961/2014 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
H.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Moschetti, e dall’Avv. Francesco d’Ayala Valva, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Parioli n. 43;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado di Trento, n. 73/1/2013 depositata il 16 settembre 2013, notificata il 7 febbraio 2014.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 27 aprile 2021 dal consigliere Pierpaolo Gori.
RILEVATO
che:
1. Con sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado di Trento, veniva accolto l’appello proposto da H.S. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Trento n. 78/4/10 con cui era stato rigettato il ricorso del contribuente avverso gli avvisi di accertamento IRPEF, IVA, IRAP e sanzioni per gli anni di imposta 2003, 2004, 2005 e 2006 emessi dall’Agenzia delle Entrate.
2. In particolare, premesso che le riprese traevano origine dalla riqualificazione da parte dell’Agenzia del rapporto di lavoro svolto da T.A. e R.M. – titolari di ditte subappaltatrici individuali – in favore del contribuente come di natura subordinata, la CTR non condivideva la riqualificazione del rapporto posta alla base delle riprese, poggiante tra l’altro sulle dichiarazioni dei lavoratori e del fatto che le sedi coincidevano con le abitazioni, elementi da cui l’Agenzia desumeva l’assenza di autonoma organizzazione. Il giudice d’appello al proposito valutava l’interesse dei lavoratori a vedersi riconosciuta la subordinazione e teneva conto di ulteriori dichiarazioni da loro rese, contrarie al loro interesse, secondo le quali nei periodi di imposta in contestazione avevano svolto lavori loro subappaltati dal contribuente servendosi di attrezzature di loro proprietà e senza alcun vincolo di subordinazione.
3. Avverso la decisione propone ricorso l’Agenzia delle Entrate per un unico motivo, cui replica il contribuente con controricorso.
CONSIDERATO
che:
4. Con un unico motivo di censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – viene prospettata l’omessa motivazione da parte del giudice d’appello in relazione a fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla corretta qualificazione del rapporto di lavoro intercorrente tra l’impresa del contribuente e gli artigiani T. e R., e il controricorrente eccepisce in via preliminare l’inammissibilità del motivo.
5. Il motivo è inammissibile. La Corte rammenta che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro effettuata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi che rivelano l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in cassazione (Cass. Sez. L, Sentenza n. 14160 del 23/06/2014; conforme a Cass. Sez. L, Sentenza n. 16681 del 27/07/2007).
6. Orbene, la motivazione del giudice d’appello nel caso di specie sorregge la ratio decidendi sfavorevole alla ricorrente, e tiene conto di precisi riferimenti istruttori, compresi gli elementi da cui potenzialmente desumere l’assenza di autonoma organizzazione (la casa sede della ditta artigiana) e soppesa sia le iniziali dichiarazioni rese dai lavoratori T.A. e R.M., incrociandole con il loro interesse al riconoscimento della subordinazione, sia le ulteriori dichiarazioni dai medesimi rese in data 24.9.2008, secondo le quali essi hanno svolto lavori loro subappaltati dal contribuente servendosi di attrezzature di loro proprietà e senza alcun vincolo di subordinazione, valorizzando queste ultime alla luce del loro contenuto contrario all’interesse dei dichiaranti.
La CTR ha dunque soppesato complessivo quadro probatorio, e ne ha desunto in termini argomentati e logici l’assenza di fondamento sicuro per la riqualificazione del duplice rapporto di lavoro da autonomo a dipendente alla base delle riprese.
7. Inoltre, anche la tecnica di formulazione della censura genera un ulteriore profilo di inammissibilità, in quanto il vizio è dedotto non quale violazione di legge bensì come vizio motivazionale senza il rispetto dei limiti introdotti dal riformato art. 360, comma 1, n. 5, applicabile ratione temoris. Al proposito va reiterato che il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha modificato il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e si applica nei confronti di ogni sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e, dunque, dall’11 settembre 2012.
8. La novella trova perciò applicazione nella fattispecie, in cui la sentenza impugnata è stata depositata il 16 settembre 2013 e, nel testo applicabile, il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” e non più l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio come precedentemente previsto dal “vecchio” n. 5, con conseguente ulteriore ragione di inammissibilità del ricorso il quale non ha tenuto conto del mutato quadro normativo processuale (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 2014).
9. In conclusione, in accoglimento dell’eccezione preliminare sollevata dal controricorrente, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Si dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa alla prenotazione a debito non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate per in Euro 5.600,00 per compensi, Euro 200,00 per spese borsuali, Spese forfetarie 15%, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021