Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.27035 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16389/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ PORTUALE DI PALERMO, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. ANGELO CUVA, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. GIOVANNI PALMIERI in Roma, Piazza del Fante, 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale della Sicilia, n. 813/03/2015, depositata in data 25 febbraio 2015 e notificata in data 17 aprile 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 luglio 2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

RILEVATO

che:

La AUTORITA’ PORTUALE DI PALERMO ha impugnato un avviso di accertamento per IRES, IRAP e, per quanto risulta dagli atti, anche per IVA, relativo al periodo di imposta 2005, con il quale l’Agenzia delle Entrate procedeva al recupero di componenti positive di reddito non contabilizzate, consistenti in canoni demaniali, qualificati quali fitti attivi relativi conseguenti alla stipulazione di contratti di concessione di occupazione di zona demaniale marittima, oltre al recupero di costi indeducibili. Invocava l’ente ricorrente la natura tributaria dei canoni demaniali, con conseguente non assoggettabilità a IRES e non assimilabilità a redditi fondiari.

La CTP di Palermo ha accolto il ricorso, ritenendo che i canoni fossero assimilabili alle entrate tributarie quali fonti di finanziamento dell’ente ricorrente, qualificato come Ente pubblico non economico.

La CTR della Sicilia, con sentenza in data 25 febbraio 2015, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza di primo grado. Ha ritenuto il giudice di appello che le Autorità Portuali, in quanto enti pubblici dotati di autonomia di bilancio e costituenti amministrazioni periferiche dello Stato, non svolgono attività di impresa, i cui proventi non sono assoggettati a IRES.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a un unico motivo; resiste con controricorso l’ente contribuente.

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUR), artt. 70 – 74 e 143, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l’Autorità Portuale, in quanto gestore del demanio collettivo, non sia assoggettabile a IRES, nonché nella parte in cui la CTR ha dedotto che i canoni demaniali siano strumento di finanziamento dell’attività di gestione, con conseguente esclusione dall’imponibilità sia a titolo di reddito di impresa, sia a titolo di reddito fondiario. Osserva il ricorrente, richiamandosi a una giurisprudenza di questa Corte, come il rapporto di concessione di beni immobili del demanio marittimo, dal quale traggono origine i canoni oggetto di ripresa, rientri nella nozione di locazione di beni immobili, pertanto riconducibili a locazione di terreni, rispetto alla quale l’art. 143 TUIR, non prevederebbe alcuna forma di esenzione.

2. Va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, in quanto nel presente giudizio si discute della natura del controricorrente e dell’attività da essa svolta. Ulteriormente va rigettata l’eccezione di inammissibilità per mancata esposizione dei fatti, posto che nel ricorso è stato trascritto l’avviso di accertamento, che consente la ricostruzione della vicenda.

3. Il ricorso è infondato. Il ricorrente muove da una giurisprudenza formatasi in materia di enti pubblici economici, secondo cui il rapporto di concessione di beni immobili del demanio marittimo rientrerebbe nella nozione Eurounitaria di locazione di beni immobili (Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27804; Cass., Sez. V, 12 novembre 2010, n. 22975; Cass., Sez. V, 13 marzo 2009, n. 6138). Principio, questo, non applicabile al controricorrente, posto che le Autorità Portuali, quali soggetti regolatori e non produttori di servizi portuali, vanno qualificate sul piano sia funzionale, sia finanziario, quali enti pubblici non economici (Cass., Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17930). Tale soluzione, già fatta propria dalla giurisprudenza amministrativa, è frutto della scelta del legislatore effettuata con la L. 28 gennaio 1984, n. 94, di riordino della legislazione in materia portuale – di adottare per le Autorità portuali il modello della cd. landlord port model, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo sia del territorio, sia delle infrastrutture portuali, affidate alle Autorità portuali, rispetto alle funzioni di gestione del traffico e dei terminali (banchine), affidate a privati, ferma restando la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture. La natura di ente pubblico non economico dell’Autorità portuale e’, poi, confermata dall’evoluzione normativa, la quale qualifica espressamente le Autorità di sistema portuale (ADSP), già Autorità portuali, quali enti pubblici non economici (D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 169, art. 7, comma 5).

4. Per effetto di tale impostazione, deve ritenersi che i canoni percepiti dalle Autorità portuali per la concessione di aree demaniali marittime non sono soggetti né ad IVA, né ad IRES, trattandosi di importi corrisposti per lo svolgimento di attività proprie delle finalità istituzionali di tali enti pubblici non economici (Cass., Sez. V, 29 maggio 2015, n. 11261; Cass., Sez. V, 27 febbraio 2013, n. 4925), salvo che l’Amministrazione finanziaria dimostri in concreto che le riprese concernano attività di impresa, esercitata dall’ente pubblico al di fuori degli scopi istituzionali (Cass., Sez. V, 27 giugno 2011, n. 14020), circostanza non prospettata dal ricorrente.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo. Non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., Sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., Sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, oltre 15% rimborso spese generali ed Euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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