LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15559/2016 proposto da:
M.B., rappresentato e difeso dall’avv. FRANCESCO POGGI;
– ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale –
contro
M.L., rappresentato e difeso dall’avv. MATTEO BIACHINI;
– controricorrente e controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1086/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 16/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/04/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;
udito il P.M., in persona del Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che chiede il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
FATTI DI CAUSA
1. Il giudizio trae origine dalla domanda proposta da M.B. innanzi al Tribunale di Como, Sezione Distaccata di Cantù, nei confronti di M.L. con cui chiese accertarsi che si era estinta la servitù di passaggio, costituita con atto del 6.6.1977 per notar C., poiché era cessata l’interclusione dei mappali *****. Con tale atto, il padre M.G. aveva donato all’attore alcuni immobili e terreni che non avevano accesso dalla pubblica via a causa dell’interposizione di altri terreni di proprietà del donante.
1.1. L’attore espose che, con atto di compravendita del 14.9.1982, M.L. aveva acquistato in regime di comunione legale con la moglie G.R., l’appezzamento di terreno contraddistinto dal mappale n. ***** confinante con la strada comunale.
1.2.Successivamente, con successivo atto per notar C. del 31.3.1987, il padre aveva donato ai figli B. e L. altri terreni, specificando nell’atto di donazione che essi avevano accesso sulla pubblica via.
1.3. M.B. dedusse quindi la sopravvenuta cessazione dello stato di interclusione del fondo del germano L., che legittimava l’estinzione della servitù.
1.4. Il Tribunale di Como, disposta CTU, accolse la domanda e, a fondamento della decisione, rilevò che non sussisteva l’interclusione dei fondi in quanto il convenuto, nel 1982, era divenuto proprietario del mappale *****, che metteva in corrispondenza il mappale ***** ed il mappale ***** tra di loro confinanti.
1.5. M.L. propose appello e dedusse che non poteva dirsi cessata l’interclusione peché il fondo interposto era stato acquistato in comunione legale con la moglie; nel merito sostenne che non vi fossero vie alternative.
1.6. La Corte d’appello di Milano accolse l’appello di M.L. e, per l’effetto, rigettò la domanda di M.B. di estinzione della servitù.
1.7. La corte di merito osservò che la servitù di passaggio, costituita con l’atto del 1977 non era stata modificata con l’atto del 1987, il quale non conteneva nessuna clausola modificativa della servitù. Secondo la corte d’appello, l’interclusione non poteva dirsi cessata per l’acquisto da parte del proprietario del fondo dominante del fondo interposto in regime di comproprietà, a nulla rilevando che si trattasse di comunione legale e non di comunione ordinaria.
2. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso M.B. sulla base di tre motivi.
2.1. Ha resistito con controricorso M.L. che ha proposto ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi, cui ha resistito M.B..
2.2. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1055 e 1051 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito erroneamente ritenuto che non fosse cessata l’interclusione del fondo dominante, in favore del quale era stata costituita la servitù coattiva, nonostante il fondo interposto – che fungeva da collegamento con la via pubblica – appartenesse al proprietario del fondo dominante, che lo aveva acquistato in regime di comunione legale con il coniuge. Detta interpretazione sarebbe formalistica e contraria ai principi che regolano la costituzione di servitù coattiva in quanto riconoscerebbe l’altruità del fondo interposto, che dà accesso alla pubblica via, anche nell’ipotesi in cui venga acquistato in comproprietà dal proprietario del fondo dominante.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1055,1051 e 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto l’attore non avrebbe dimostrato l’indispensabilità del passaggio attraverso i fondi del convenuto dopo che era cessata l’interclusione del fondo in seguito all’acquisto del fondo interposto. La corte distrettuale avrebbe, invece, dato rilievo all’intestazione formale dei terreni senza tenere conto che sarebbe stato onere dell’attore dimostrare di non poter accedere in concreto alla via pubblica.
3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nell’omessa valutazione delle risultanze della CTU disposta nel giudizio di primo grado dalla quale sarebbe emersa la cessazione di fatto dell’interclusione del fondo in seguito all’acquisto, da parte del convenuto, del mappale *****, confinante con la via pubblica dalla quale sarebbe stato possibile esercitare comodamente il passaggio.
3.1. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
3.1. Oggetto della domanda proposta dall’attore è la cessazione dell’interclusione del fondo del convenuto per effetto dell’acquisto del fondo in regime di comunione legale con la moglie.
3.2. Il convenuto, già proprietario di alcuni terreni che non avevano accesso alla via pubblica, pervenuti con atto di donazione del 6.6.1977, con cui era stata costituita la servitù di passaggio, aveva ricevuto altri terreni limitrofi per donazione paterna del 31.3.1987 ed era divenuto proprietario del terreno interposto con la via pubblica, giusto atto di compravendita del 14.9.1982 in regime di comunione legale con il coniuge.
3.3. E’ stato recentemente ribadito da questa Corte che, per il disposto dell’art. 1054 c.c. – il quale riconosce al proprietario del fondo rimasto intercluso in conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di divisione, il diritto di ottenere coattivamente dall’altro contraente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità – deve presumersi che la servitù di passaggio costituita con atto, anche successivo, preordinato a superare l’interclusione, abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità della causa estintiva di cui all’art. 1055 c.c., salvo che dal negozio costitutivo non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di applicare il regime delle servitù volontarie (ex multis Cassazione civile sez. VI, 07/10/2019, n. 24966; Cass. Civ., n. 2922 del 2014).
3.4. Corollario di tale principio è che anche la causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall’art. 1055 c.c., per il caso di cessazione dell’interclusione del fondo dominante, opera con riguardo a ogni servitù che si ricolleghi ai presupposti del passaggio coattivo, secondo il disposto dell’art. 1051 c.c., anche se sia stata convenzionalmente costituita e, quindi, senza possibilità di distinguere fra costituzione pattuita dopo il pregresso verificarsi di una situazione di interclusione, e costituzione pattuita contestualmente con altro negozio determinativo della situazione stessa, come l’alienazione o la divisione del fondo ex art. 1054 c.c., salvo non emerga in concreto l’intento inequivoco dei contraenti di assoggettarsi al regime delle servitù (Cassazione civile sez. II, 04/05/2016, n. 8913).
3.5. L’art. 1055 c.c., trova quindi applicazione sia nel caso che la servitù coattiva sia stata costituita per contratto o per testamento, purché vengano meno i presupposti di fatto che avevano reso ex lege necessaria la costituzione della servitù, come l’apertura di una strada che dia accesso alla via pubblica oppure quando il fondo dominante, già intercluso, venga aggregato in un unico lotto.
3.6. L’onere della prova incombe su chi chiede lo stato di cessazione della servitù incombe e ha ad oggetto l’assenza di interclusione del fondo in favore dei quali era stata costituita la servitù.
3.7. Nel caso di specie, la quaestio iuris, finora non affrontata in giurisprudenza, riguarda la persistenza dell’alterità del fondo interposto nell’ipotesi in cui esso venga acquistato dal proprietario del fondo dominante in regime di comunione legale, attesa la peculiarità di tale forma di comunione. Si tratta cioè di stabilire se, in seguito all’acquisto in comunione legale del fondo interposto, possa dirsi cessata l’interclusione o se essa permanga.
3.8. La giurisprudenza di questa Corte, in tema di costituzione di servitù coattiva, si è occupata dell’ipotesi di comunione ordinaria.
3.9. E’ stato ritenuto che il requisito della interclusione sussiste ancha quando il proprietario del fondo sia comproprietario dei fondi interposti tra quello di sua esclusiva proprietà e la via pubblica, in quanto il comunista non può asservire il fondo comune al proprio (Cassazione civile sez. II, 22/03/2017, n. 7318; Cass. Civ., sez. 02, del 12/08/1989, n. 3702).
3.10. Sul punto, va osservato che quando un’unica persona è proprietaria in via esclusiva di un immobile ed è anche comproprietaria di altro immobile, non vi è identità di proprietà, essendo diverse la posizione soggettiva del proprietario e quella del comproprietario (quest’ultima connotata dall’intersoggettività del rapporto dovuta al concorso di altri titolari del bene); pertanto, deve ritenersi che i due immobili appartengono – a tutti gli effetti – a proprietari diversi.
3.11. E’ stato perciò ritenuto che, ai fini della costituzione della servitù di passaggio ex art. 1051 c.c., il requisito della interclusione deve ritenersi sussistente anche quando il proprietario del fondo sia comproprietario dei fondi interposti tra quello di sua esclusiva proprietà e la via pubblica, in quanto il comunista non può asservire il fondo comune al proprio (Cass., Sez. 2, n. 3702 del 12/08/1989).
3.12. Il principio “nemini res sua servit” trova applicazione soltanto quando un unico soggetto sia titolare del fondo servente e di quello dominante, e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacché in tal caso l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune (Cass. Sez. 2, 03/10/2000, n. 13106; Cass. Sez. 2, 02/06/1999, n. 5390; Cass. Sez. 2, 18/02/1987, n. 1755).
3.13.E’ stato precisato da questa Suprema Corte (cfr. sent. n. 3419-93; sent. n. 434-85) che, al fine della configurabilità della servitù a carico di un fondo di proprietà comune e a vantaggio di altri fondi di proprietà esclusiva di taluni dei partecipanti alla comunione, è necessario che l’utilitas derivante dalla servitù sia diversa da quella normalmente derivante dalla destinazione impressa al fondo comune o dalla sua natura, poiché, in caso contrario, l’uso che della cosa comune facciano i proprietari delle singole unità immobiliari trova titolo, non già in un diritto di servitù, bensì nel diritto di comproprietà spettante a ciascun condomino sulle cose comune, regolato dall’art. 1102 c.c..
3.14. A tale regola iuris non si sottrae la comunione legale.
3.15. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente, alla quale il collegio intende dare continuità (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2013, n. 6575), la comunione legale tra i coniugi costituisce una comunione senza quote, nella quale essi sono entrambi solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni che la compongono e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di comunione finalizzata – a differenza della comunione ordinaria – alla tutela della famiglia piuttosto che della proprietà individuale.
3.16. Ai sensi dell’art. 184 c.c., infatti, nei rapporti con i terzi, ciascun coniuge, mentre non può disporre della propria quota, ben può disporre dell’intero bene comune ed il consenso dell’altro coniuge si configura come un negozio unilaterale autorizzativo che rimuove un limite all’esercizio del potere dispositivo sul bene e si traduce in un vizio da far valere ai sensi dell’art. 184 c.c., nel termine di un anno decorrente dalla conoscenza dell’atto o dalla data di trascrizione (v., di recente, Cass. 21 maggio 2008 n. 12849; Cass. 11 giugno 2010 n. 14093; Cass. 24 luglio 2012 n. 12923).
3.17. Tuttavia, le particolarità della comunione legale non possono condurre all’equiparazione della proprietà in comunione con la proprietà esclusiva per quanto attiene alla costituzione di diritti reali sul bene.
3.18. Non solo il coniuge è comproprietario del bene in regime di comunione legale anche se non sia stato partecipe dell’atto di acquisto ma tale contitolarità perdura anche nell’ipotesi di scioglimento della comunione, prevista dall’art. 191 c.c., sicché la disciplina applicabile alla comunione sciolta e non ancora divisa è quella della comunione ordinaria (Cassazione civile sez. I, 05/04/2017 n. 8803).
3.19. E’ vero che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 311 del 1988 ha affermato che la disciplina della comunione legale ha una struttura normativa difficilmente riconducibile alla comunione ordinaria perché nella comunione legale la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194).
3.20. La comunione senza quote rappresenta pertanto uno strumento giuridico finalizzato ad affermare il diritto del coniuge a non entrare in rapporti di comunione con estranei alla stessa e a difendere il patrimonio familiare da inframmettenze di terzi. Di qui la possibilità e la necessità di alienare il bene nella sua interezza o di venderlo per intero, anche senza il consenso dell’altro coniuge e salva successiva autorizzazione sanante.
3.21. Questa fondamentale esigenza, tuttavia, non implica che, una volta che sia stata sciolta la comunione legale (per una delle cause di cui all’art. 191 c.c.), e le parti abbiano maturato diritti di credito riguardo ai beni relitti, uno degli ex coniugi non possa, separatamente cedere (ad ogni titolo) la propria quota, ossia la corrispondente misura dei suoi diritti verso l’altro, ad ogni fine, incidenti sul relitto di quella che fu la comunione coniugale, senza che per questo si ponga un problema di radicale invalidità dell’atto di trasferimento.
3.22. Ne’ è pensabile che beni che già formarono l’oggetto di un regime di circolazione limitato (ossia assoggettato unicamente al consenso dei contitolari per l’intero) possano persistere nell’assoggettamento a limiti così forti anche quando le necessità funzionali originarie siano venute meno definitivamente o per vicende attinenti al vincolo personale o per fatti riguardanti lo stesso potere di disporre della componente patrimoniale (da parte di uno dei suoi protagonisti).
3.23. Come recentemente affermato da Cassazione civile sez. VI, 01/09/2020, n. 18156, nell’ipotesi di cessazione del regime legale di comunione, la contitolarità dei beni rimane fino alla divisione della stessa (si vedano anche Cass. civ., Sez. I 11 novembre 1996 n. 9846 e Cass. civ. Sez. I, 28 novembre 1996 n. 10586). Infatti, nell’ipotesi di alienazione di un bene senza il consenso dell’altro coniuge, l’equivalente dello stesso diverrà oggetto di comproprietà per essere successivamente diviso insieme agli altri beni, in ossequio a quanto disposto dall’art. 192 c.c.. Se, nel frattempo, la comunione legale non è più vigente a causa della separazione degli stessi coniugi, i beni già appartenenti al regime della comunione legale vengono assoggettati a un regime di comunione ordinaria tra gli ex coniugi, in attesa di essere oggetto di un’eventuale divisione fra essi.
3.24. Alla luce dei principi enunciati, così come sul fondo interposto non poteva essere costituito un diritto reale a favore di terzi, nello stesso modo, l’appartenenza in comproprietà del fondo interposto al proprietario del fondo dominante non determina l’estinzione della servitù.
3.25. A tali principi si è uniformata la Corte d’appello di Milano, ritenendo che il I requisito dell’interclusione deve ritenersi sussistente anche quando il proprietario del fondo dominante sia comproprietario del fondo interposto tra quello di sua esclusiva proprietà e la via pubblica, sia che il fondo interposto si trovi in regime di comunione ordinaria che legale.
3.26. L’appartenenza del fondo ad un soggetto in regime di comunione legale non fa quindi venir meno l’interclusione, che trova il suo fondamento nell’assenza di identità tra il proprietario del fondo intercluso ed il proprietario del fondo adiacente avente accesso alla pubblica via.
4. Il ricorso principale va pertanto rigettato.
4.1. Il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito.
4.2. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
4.4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale ed incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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