Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27096 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25705/2016 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MANLIO DI VEROLI 2, presso il proprio studio che si rappresenta e difende da sé medesimo;

– ricorrente –

contro

EREDI DI M.M.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 16674/2016 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 09/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere Dott. ELISA PICARONI.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2009 l’avv. L.G. convenne in giudizio M.L., per sentirla condannare al pagamento di Euro 3.401,20 a titolo di compenso professionale, maturato per l’assistenza legale prestata in un processo civile svolto dinanzi al Tribunale di Tivoli – sezione distaccata di Castelnuovo di Porto.

1.1. Il Giudice di pace di Roma, con la sentenza n. 35449 del 2013, accolse la domanda nei limiti della somma di Euro 2.250,00, oltre accessori, e pose a carico della convenuta le spese di lite.

2. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 16674 del 2016, pubblicata il 9 settembre 2016, ha accolto parzialmente l’appello della M., riducendo l’entità della condanna ad Euro 760,00, ha rigettato l’appello incidentale dell’avv. L., e dichiarato compensate le spese di entrambi i gradi del giudizio.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’avv. L., sulla base di cinque motivi. Non ha svolto difese in questa sede l’intimata M.L..

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è denunciata falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e si contesta che il Tribunale non abbia rilevato l’inammissibilità dell’appello della M., che era stata eccepita dall’appellato sul rilievo che l’atto non indicava con chiarezza le parti della sentenza impugnata ritenute erronee, né indicava i motivi per cui la decisione sarebbe stata erronea.

2. La doglianza è infondata.

2.1. In disparte la mancata trascrizione nel ricorso dell’atto di appello, imposta dal canone della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 6, correttamente il Tribunale ha ritenuto che l’atto di appello indicasse le parti della sentenza ritenute erronee e, viceversa, le statuizioni che avrebbe dovuto contenere.

2.2. Questa Corte a Sezioni unite (sentenza 16/11/2017, n. 27199) ha chiarito che l’art. 342 c.p.c., nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, impone che l’impugnazione contenga, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, ma che non occorre l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, che non è impugnazione a critica vincolata.

3. Con il secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c. e si lamenta l’extrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice d’appello nel ridurre il compenso richiesto, in assenza di specifica domanda in tal senso. L’appellante, infatti, si era limitata a chiedere l’integrale rigetto della pretesa del professionista.

3.1. Il motivo è infondato.

Nel giudizio instaurato per il pagamento di prestazioni professionali, ogni contestazione, anche generica, in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività, è sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di verificare anche il quantum debeatur senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c. (ex plurimis, Cass. 11/01/2016, n. 230, che richiama il principio enunciato da Cass. 27/12/2013, n. 28660, Cass. 27/01/2009, n. 1954 e Cass. 30/04/2005, n. 9021, riferito alla domanda, ed estensibile alle eccezioni).

4. Con il terzo motivo è denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e violazione del D.M. n. 127 del 2004.

Il ricorrente lamenta in primo luogo l’erroneità della riduzione del suo compenso, scaturita dall’altrettanto erronea valutazione della inutilità della causa patrocinata nell’interesse della M., e si riporta a quanto dedotto nel precedente motivo di ricorso, evidenziando che l’onorario indicato nella misura media è conforme rispetta la regola della proporzione tra il compenso ed il valore e la complessità della causa.

Inoltre, sarebbe erroneo il richiamo, fatto dal Tribunale, al compenso liquidato a favore della controparte della M., nella causa patrocinata dal ricorrente, tenuto conto che il D.M. n. 127 del 2004, art. 2, stabilisce che gli onorari e i diritti sono sempre dovuti all’avvocato dal cliente indipendentemente dal contenuto della pronuncia sulle spese.

5. I motivi terzo e quarto sono inammissibili poiché attingono l’apprezzamento dei fatti, riservato al giudice di merito, nella specie immune da vizi logico-giuridici.

Il Tribunale è pervenuto alla quantificazione del compenso dovuto al professionista all’esito dell’esame degli atti della causa presupposta, ed ha poi osservato, ad abundantiam, che identico importo era stato liquidato nel giudizio presupposto in favore della parte vittoriosa.

6. Il quinto motivo, con il quale è denunciata violazione dell’art. 91 c.p.c. e si lamenta l’erroneità della pronuncia sulle spese nella prospettiva dell’accoglimento del ricorso, rimane assorbito nel rigetto del ricorso medesimo, al pari delle reiterate questioni che erano state poste con l’appello incidentale.

7. Al rigetto del ricorso non fa seguito pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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