LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22049/2016 proposto da:
E.R.R.I.P.A. – ENTE REGIONALE RICERCA ISTRUZIONE PROFESSIONALE E ASSITENZA, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA n. 29, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MARIA ALIFANO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MENALLO;
– ricorrente –
contro
ASSOCIAZIONI CRISTIANE LAVORATORI ITALIANI – A.C.L.I., SEDE PROVINCIALE *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO n. 61, presso lo studio dell’avvocato SIMONA D’ALISERA, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIA STEFANIA PIPIA;
PATRONATO A.C.L.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE MARCORA n. 18/20, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FAGGIANI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1148/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 24.3.2003 il Patronato A.C.L.I. evocava in giudizio la A.C.L.I., sede provinciale di ***** e l’Ente Regionale per la Ricerca, l’Istruzione Professionale e l’Assistenza (E.R.R.I.P.A.), *****, innanzi il Tribunale di Palermo, invocando la nullità della donazione del 12.12.2001, con la quale la A.C.L.I., sede provinciale di *****, aveva donato ad E.R.R.I.P.A. la piena proprietà di alcuni immobili siti in Palermo, affermando in atto di donazione di averne il possesso pacifico ed ininterrotto da oltre un trentennio. Il patronato attore deduceva, in particolare, che il donante non era proprietario dei beni donati. Si costituivano i convenuti, resistendo alla domanda.
Con sentenza del 26.10.2009 il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando nulla la donazione di cui anzidetto.
Interponeva appello avverso detta decisione E.R.R.I.P.A. e si costituivano in seconde cure l’originario attore, che spiegava appello incidentale per la parte di domanda non accolta dal giudice di prime cure, ed A.C.L.I., sede provinciale di *****, che a sua volta spiegava appello incidentale condizionato.
Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Palermo rigettava l’appello principale, confermando la decisione di prime cure e condannando l’appellante alle spese del grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione E.R.R.I.P.A., affidandosi a tre motivi.
Resistono, con separati controricorsi, ACLI Patronato e ACLI, sede provinciale di *****.
La parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, l’ente ricorrente censura l’omesso esame di fatto decisivo, perché la Corte di appello non avrebbe considerato che il Patronato A.C.L.I., come ente centrale, non aveva alcun interesse ad agire, poiché la modifica dello Statuto delle A.C.L.I. che ha previsto il passaggio dei beni dalle associazioni provinciali a quella nazionale risale al 2004, ed è quindi successiva sia alla donazione in contestazione, che all’inizio della causa di merito. La Corte di Appello avrebbe quindi, secondo la tesi di parte ricorrente, erroneamente ravvisato l’interesse ad agire del Patronato A.C.L.I..
La censura è inammissibile.
In primo luogo va evidenziato che nel caso di specie si configura una ipotesi di cd. “doppia conforme”, poiché con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha integralmente confermato la decisione resa dal Tribunale di Palermo all’esito del giudizio di prime cure. Di conseguenza, in base all’art. 348 ter c.p.c., u.c., non è proponibile il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 29222 del 12/11/2019, Rv. 656183).
In secondo luogo, va evidenziato che, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ravvisato l’interesse ad agire, in capo al Patronato A.C.L.I., per far valere la nullità della donazione stipulata dalla A.C.L.I. provinciale, in ragione, da un lato, del collegamento strutturale esistente tra le due articolazioni, centrale e locale, e del correlato interesse a promuovere iniziative finalizzate ad assicurare il rientro del bene nel patrimonio associativo, e, dall’altro lato, dell’esistenza, in capo all’ente centrale, di un potere di commissariamento dell’articolazione territoriale, che nel caso di specie era stato esercitato “in epoca risalente all’introduzione del presente giudizio”. Questo accertamento in fatto, che non viene in alcun modo attinto dalla censura in esame, trova corrispondenza nella deduzione, contenuta nel controricorso notificato da A.C.L.I. Provinciale, secondo cui quest’ultima, una volta commissariata, si era costituita nel giudizio di merito chiedendo “… dichiararsi la invalidità dell’atto di donazione e degli atti prodromici e la restituzione del bene oggetto della donazione al donans” (cfr. pag. 4 del controricorso). Trattasi, invero, di circostanza decisiva poiché l’eventuale carenza di interesse ad agire in capo al Patronato A.C.L.I. sarebbe comunque superata per effetto dell’adesione di A.C.L.I. Provinciale, dopo il suo commissariamento, alla domanda spiegata dall’originario attore; il che rende inammissibile la censura per carenza di interesse all’impugnazione.
Con il secondo motivo, l’ente ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., artt. 23 e 1421 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto considerare che, ai sensi dell’art. 23 c.c., l’azione poteva essere esercitata soltanto da un organo dell’associazione, da un associato o dal P.M., e dunque non dal Patronato A.C.L.I., il quale ultimo, dal canto suo, non aveva dimostrato un titolo di acquisto della proprietà dei beni oggetto della donazione, né aveva dedotto di averli usucapiti. Nessun interesse concreto, dunque, poteva essere configurato, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., in capo all’attore, in relazione alla domanda di nullità dal medesimo proposta, neanche ai sensi dell’art. 1421 c.c..
Con il terzo motivo, l’ente ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 115 c.p.c., perché, in assenza di collegamento tra il Patronato A.C.L.I. e le articolazioni territoriali, mancherebbe in capo alla prima l’interesse concreto ad agire.
Le due censure, suscettibili di trattazione congiunta, sono inammissibili.
Anche in questo caso, è decisivo il fatto che la A.C.L.I. della Provincia di Palermo, dopo il commissariamento, si sia costituita nel giudizio di merito (precisamente, in data 23.1.2007) aderendo alla domanda svolta dal Patronato A.C.L.I. La circostanza è confermata anche dalla sentenza della Corte di Appello di Palermo che, nel confermare la statuizione di restituzione del bene al donante, fa riferimento (cfr. pag. 7) alla “… relativa domanda formulata da ACLI provinciale…” evidenziando in tal modo l’esistenza di una domanda di A.C.L.I. Provinciale, corrispondente a quella proposta originariamente dal Patronato A.C.L.I. e concorrente con quest’ultima. Ne consegue che, anche a voler ammettere -in linea di ipotesi – la carenza di interesse ad agire in capo al Patronato A.C.L.I., certamente sussisteva un autonomo interesse alla domanda in capo alla A.C.L.I. Provinciale, direttamente depauperata dall’atto oggetto della domanda di nullità.
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, separatamente costituite.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021
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