Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.27125 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7907-2018 proposto da:

***** SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato FABRIZIO ARONICA;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO QUARTIERE AFFARI, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO MARIA CAPE’;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3997/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata in data 11/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza camerale del 2/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 10705/2016, depositata il 30 settembre 2016 pronunciando sulla domanda proposta dal Consorzio Quartiere Affari nei confronti di ***** S.r.l., volta all’accertamento, ai sensi dell’art. 9 del contratto stipulato tra le parti in data 13 ottobre 2009, avente decorrenza dal 1 gennaio 2010 e durata biennale, in applicazione della scadenza contrattuale ivi prevista, dell’obbligo della convenuta alla restituzione, in favore dell’attore, del parcheggio multipiano interrato sito in *****, con condanna della medesima convenuta alla restituzione immediata dello stesso nonché al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata restituzione alla scadenza pattuita il Tribunale di Milano dichiarò che detto contratto, da qualificarsi come locazione per uso diverso dall’abitativo (parcheggio multiplo interrato), sarebbe cessato alla data del 31 dicembre 2021; condannò la convenuta a rilasciare l’immobile a tale scadenza, fissò per l’esecuzione forzata di rilascio la data del 15 gennaio 2022, rigettò la domanda di risarcimento dei danni e compensò tra le parti le spese di lite.

Avverso detta sentenza il Consorzio Quartiere Affari propose gravame, del quale chiese il rigetto la ***** S.r.l..

La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3997/17, depositata in data 11 ottobre 2017, ritenendo quello in esame un contratto atipico, diverso sia dalla locazione che dal mandato, in riforma dei primi tre capi del dispositivo della sentenza di primo grado, dichiarò ***** S.r.l. tenuta, ai sensi dell’art. 9 del contratto tra le parti del 13 ottobre 2009, alla restituzione, in favore del Consorzio Quartiere Affari a far tempo dal 31 dicembre 2011, del parcheggio in parola e, per l’effetto, condannò la predetta società all’immediata restituzione dello stesso in favore dell’appellante, confermò nel resto la sentenza impugnata e compensò integralmente tra le parti le spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte territoriale ***** S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, basato su sette motivi e illustrato da memoria.

Consorzio Quartiere Affari ha resistito con controricorso.

Fissato per l’udienza pubblica del 2 febbraio 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, inserito dalla Legge di conversone n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il P.G., in prossimità della camera di consiglio, ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con riferimento alle questioni evidenziate da ***** S.r.l. nella depositata memoria si osserva quanto segue.

1.1. Il fallimento di una delle parti (nella specie proprio di ***** S.r.l.) che si verifichi nel giudizio di cassazione non determina l’interruzione del processo ex art. 299 c.p.c. e ss., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio (Cass. 23/03/2017, n. 7477), come pure sostenuto nella detta memoria.

1.2. In tale atto è stato pure rappresentata l’esistenza di un altro ricorso che si assume connesso, del quale, tuttavia, è stato indicato solo il numero di R.G. (7905/2018), senza che ne siano stati evidenziati elementi da cui desumere prima facie la sussistenza della dedotta connessione e, quindi, dei presupposti, per poter questa Corte esercitare la facoltà di procede alla loro riunione.

2. Con il primo motivo, si lamenta “Mancata statuizione sull’ammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c.”, per aver la Corte di appello di Milano omesso di statuire sulla mancata indicazione, da parte dell’appellante, delle parti della sentenza che si intendeva impugnare e sulla mancata indicazione del provvedimento richiesto.

2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, non essendo stato testualmente riportato – almeno sufficientemente per la parte rilevante in questa sede – il contenuto dell’atto di appello che si assume viziato ex art. 342 c.p.c., né essendo sufficiente a tal fine il mero rinvio al “punto n. 1, 2 e 3 dell’atto di appello”, operato nella specie nel ricorso (v. p. 7). Ed invero l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente sostenga l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea la statuizione del giudice di appello e non sufficientemente specifico, invece, il gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella, misura necessaria ad evidenziarne la pretesa non specificità (arg. ex Cass., ord., 29/09/2017, n. 22880; Cass., ord., 23/12/2020 n. 29495).

Il motivo risulta comunque inammissibile anche qualora lo si voglia intendere come volto a denunciare, in sostanza, la violazione dell’art. 112 c.p.c., atteso che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, incorre nel vizio di omessa pronuncia la sentenza d’appello che ometta di esaminare un motivo di appello, o una domanda, o un’eccezione che solo la parte può proporre e che sia stata proposta o riproposta ritualmente, non anche la sentenza che ometta l’esame di una eccezione rilevabile d’ufficio, quale quella relativa all’inammissibilità dell’impugnazione, come nella specie (Cass. 6/06/2002, n. 8220; Cass. sez. un., 11/01/2008 n. 578).

3. Con il secondo motivo, si deduce “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata”, per aver come sintetizzato a p. 2 del ricorso dalla stessa ricorrente – “la Corte di appello di Milano omesso di statuire sulla specifica richiesta dell’appellante Consorzio sulla riqualificazione del contratto quale mandato senza rappresentanza, con ciò cadendo in contraddittoria motivazione”. Ad avviso della ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe “limitat(a) a leggere asetticamente ed in maniera acritica gli atti di causa provvedendo a fornire una interpretazione del contratto dedotto che non (sarebbe) frutto dell’analisi della reale volontà delle parti al momento storico della sua sottoscrizione, bensì una interpretazione personale e soggettiva della stessa Corte che, in definitiva si (sarebbe) sostituita alle parti stesse”.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del motivo all’esame, la ricorrente, lungi dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato art. 360, n. 5 codice di rito, ripropone, come peraltro chiaramente indicato già nella rubrica del motivo all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis.

Ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, infatti, il sindacato della motivazione del provvedimento impugnato è consentito nei soli ristretti limiti delineati da tale norma, ai sensi della quale non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cessazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Va ribadito che, nel caso all’esame, la motivazione c’e’ e rispetta il cd. “minimo costituzionale” richiesto dalla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5; sotto tale profilo, il motivo e’, comunque, infondato, né è stato evidenziato un “fatto storico” di cui si sia eventualmente omesso esame, ai sensi della norma appena richiamata.

4. Con il terzo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nullità della sentenza di appello in relazione all’art. 112 c.p.c. per statuizione resa extra ed ultra petita”, si sostiene che la Corte di appello di Milano si “sarebbe sostituita alla parte appellante… andando a qualificare in proprio il rapporto dedotto senza che sul punto lo stesso Consorzio abbia mai fatto espresso richiamo, richiesta e deduzione”.

4.1. Il motivo va disatteso, ben potendo il giudice d’appello qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti o ritenuto dal giudice di primo grado, purché – come nella specie – non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi” ed eserciti tale potere-dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico- giuridica (Cass., ord., 15/05/2019, n. 12875).

5. Con il quarto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1703 c.c. (contratto di mandato)”, sostenendosi che nel caso di specie non sussisterebbe alcuno degli elementi tipici del mandato, (Ndr: testo originale non comprensibile) ex adverso, sicché la Corte di appello di Milano “avrebbe dovuto rigettare l’appello e statuire che nel caso per cui è lite non ricorre la fattispecie del mandato senza rappresentanza, con conseguente conferma dell’esistenza di un contratto di locazione”.

6. Con il quinto motivo si enuncia “violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1571 c.c. in relazione alla L. n. 392 del 1978, artt. 27, 28 e 29 sulla locazione”, per aver la Corte di appello di Milano omesso di statuire e motivare sull’esistenza di un contratto di locazione tra le parti, come sostenuto dall’attuale ricorrente, senza valutare gli elementi e le prove addotte da detta parte.

7. I motivi quarto e quinto ben possono essere unitariamente esaminati e vanno dichiarati inammissibili, in quanto, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, in sostanza, si ripropone una qualificazione alternativa a quella motivatamente fatta propria dalla Corte territoriale, ponendosi in rilievo, altresì, che – come pure rilevato dal P.G. – la ricorrente fa riferimento a clausole contrattuali contestandone l’interpretazione delle stesse operata dai giudici del merito senza tuttavia riportarne il testo, almeno per la parte che rileva in questa sede, con conseguente difetto di specificità delle censure al riguardo proposte.

8. Con il sesto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1322 c.c. (principio di autonomia contrattuale e contratto atipico di gestione)”, per aver la Corte di appello di Milano statuito l’esistenza di un contratto atipico di gestione in via interpretativa autonoma, “motivando in disprezzo del citato art. 1322 oltre che in maniera contraddittoria e difforme dalle risultanze di causa”.

8.1. Il motivo è infondato.

Non sussistono, infatti, le lamentate violazioni di legge, evidenziandosi che non risultano neppure indicate le norme inderogabili di cui sarebbero stati violati i limiti né sussiste l’immeritevolezza degli interessi giuridici sottesi al contratto atipico di affidamento in gestione di attività produttiva, quale è stato qualificato dalla Corte di merito il contratto di cui si discute in causa.

Peraltro, in realtà, le censure proposte con il motivo in esame si risolvono in una inammissibile censura inerente alle valutazioni di merito operate dalla Corte territoriale nella qualificazione del contratto in parola.

9. Con il settimo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1362 c.c. (interpretazione del contratto)”, sostenendosi che la Corte territoriale avrebbe interpretato il contratto senza rispettare il principio del favor prestatoris e della ricerca della reale volontà contrattuale delle parti.

9.1. Il motivo è inammissibile, in quanto, con le censure proposte, sotto l’apparente deduzione della violazione e falsa applicazione della norma richiamata in rubrica, la ricorrente critica l’apprezzamento di merito operato dalla Corte territoriale, senza neppure riportare specificamente le clausole contrattuali, sicché neppure risulta consentito un concreto riscontro testuale alle doglianze proposte, connotate peraltro da genericità.

10. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

11. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da rte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso E condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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