LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15128-2019 proposto da:
G.G., L.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE SIRTORI 56, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO AMEDEO MARINELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato DARIO BOTTONE;
– ricorrenti –
contro
L.C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO N. 62, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA PITZOLU, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE PANE;
– controricorrente –
contro
***** SPA, in persona del dirigente procuratore ad negotia Dott. F.E., domiciliata irti ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato EDOARDO ERRICO;
– controricorrente –
contro
***** SPA, in persona dei suoi procuratori speciali Dott. P.M. e Dott. B.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO N. 28, presso lo studio dell’avvocato *****, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro ASL NA ***** SUD, REGIONE CAMPANIA;
– intimate –
avverso la sentenza n. 212/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/01/2319;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
lette delle conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
I coniugi G.G. e L.G. convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di, Napoli, la ASL NA ***** (poi ASL NA ***** SUD), la Regione Campania e L.C.A.. Esposero che la G. si era rivolta a quest’ultimo, ginecologo in servizio presso l’ospedale di *****, per essere seguita durante una gravidanza, conclusasi nel 1997 con la nascita del figlio V., affetto da numerose e gravi malformazioni. Gli attori sostennero che, se avesse svolto diligentemente esami diagnostici ed indagini durante la gravidanza, il dottor L. avrebbe potuto rilevare nel feto la presenza di tali malformazioni ed informare la madre, al fine di consentirle di scegliere consapevolmente se proseguire o meno la gravidanza.
I predetti coniugi chiesero, pertanto, di essere risarciti del danno patrimoniale subito (in ragione delle spese sostenute per assistere il minore e provvedere ai bisogni specifici derivanti dalla sua grave disabilità) e subendo, anche sotto forma di lucro cessante (per aver perduto, a causa della necessità di accudire il figlio, ore di straordinario od occasioni di lavoro) e del danno non patrimoniale, in tutte le sue voci.
Si costituì in giudizio L.C.A., chiedendo il rigetto per infondatezza della domanda, chiese altresì ed ottenne di chiamare in causa la propria compagnia assicurativa ***** S.p.a., al fine di essere manlevato in caso di condanna.
Si costituì in giudizio tale compagnia assicurativa, chiedendo di contenere la propria esposizione debitoria nel massimale fissato in polizza e svolgendo numerose altre domande ed eccezioni.
Si costituì l’Asl NA *****, chiedendo il rigetto della domanda per carenza di legittimazione passiva e per infondatezza in fatto e in diritto.
Spiegò intervento volontario ***** S.p.a., quale cessionaria della polizza assicurativa stipulata tra l’Asl NA ***** e ***** S.p.a., concludendo per l’infondatezza della domanda attorea ed eccependo anch’essa, tra l’al no, di essere obbligata nel limite del massimale di polizza.
Si costituì, infine, la Regioné Campania, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Napoli, espletate due consulenze tecniche, rigettò la domanda dei coniugi G. e L.. In particolare, escluse la sussistenza della responsabilità professionale del medico, sia sotto il profilo della colpa sia sotto il profilo del nesso causale con il danno lamentato dagli attori. Rilevò inoltre, in adesione alle conclusioni degli ausiliari del giudice e in particolare del secondo consulente tecnico, che la G. non avrebbe potuto, nemmeno se fosse stata resa edotta dal medico della grave patologia cui andava incontro il nascituro, interrompere la gravidanza, ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 6 non essendo stato mai dedotto né provato che quest’ultima avesse corso pericoli per la sua salute e, a maggior ragione, per la sua vita, durante il corso della gravidanza, ed emergendo “un profilo di “diritto” all’interruzione della gravidanza in presenza di malformazioni del feto che non trova cittadinanza nell’ordinamento positivo, il quale non tutela affatto l’aborto eugenetico ma solo quello terapeutico e a precise condizioni”.
G.G. e L.G. interposero appello avverso la suddetta sentenza.
Resistettero al gravame, L.C.A., l’Asl Napoli ***** Sud (già Asl NA *****), la Regione Campania, ***** S.p.a. (già ***** S.p.a) e le ***** S.p.a. (già ***** S.p.a.).
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 212/2019, rigettò il gravame. In particolare, osservato che dagli esami al tempo in uso e secondo le linee guida l’unica malattia del bambino che avrebbe potuto essere diagnosticata con un’ecografia tra la 20" e la 22" – nella specie omessa – era la cardiopatia congenita, la Corte d’appello escluse che tale malformazione, di per sé sola, avrebbe potuto giustificare il ricorso all’interruzione della gravidanza, e quindi fondare la pretesa risarcitoria per la nascita indesiderata “non essendo verosimile ritenere, neanche in via presuntiva, che la conoscenza del suddetto problema cardiologico – peraltro corretto con intervento chirurgico eseguito nei primi mesi di vita del piccolo V. – avrebbe potuto ingenerare un trauma nella madre di tale entità da mettere in pericolo la salute psichica della stessa, presupposto indispensabile per l’interruzione di gravidanza oltre il sesto mese”. La Corte territoriale escluse pure che dalla diagnosi della cardiopatia avrebbe potuto pervenirsi, in fase prenatale, alla diagnosi della grave e rara sindrome (sindrome di Ellis Van Creveld) da cui è affetto il bambino.
Il Giudice di seconde cure affermò, inoltre, che gli attori non avevano adeguatamente circostanziato il danno e dichiarò l’appello inammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., nella parte in cui era stata proposta domanda di risarcimento del danno per la mancata acquisizione del consenso informato, evidenziando che, negli atti introduttivi del giudizio e nella fase relativa alla formazione del thema decidendum, gli appellanti non avevano lamentato di non essere stati messi a conoscenza dei limiti propri delle indagini ecografiche.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione G.G. e L.G., basato su cinque motivi e illustrato da memoria.
Hanno resistito con distinti controricorsi ***** S.p.a., ***** S.p.a. e L.C.A.. Quest’ultimo e ***** S.p.a. hanno deposito distinte memorie.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede l’Asl Na ***** Sud e la Regione Campania.
Fissato per l’udienza pubblica del 16 febbraio 2021, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte e ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza per falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b, e dell’art. 32 Cost., in relazione alla parte in cui la Corte di appello afferma (pag. 17) che “quand’anche il Dott. L. avesse riscontrato il difetto cardiaco del nascituro (…) e ne avesse informato i genitori, tale malformazione giammai, di per sé sola, avrebbe potuto giustificare il ricorso all’interruzione della gravidanza, e, quindi, fondare la pretesa risarcitoria per una nascita, indesiderata, non essendo verosimile ritenere, neanche in via presuntiva, che la conoscenza del suddetto problema cardiologico – peraltro corretto con intervento chirurgico eseguito nei primi mesi di vita del piccolo V. – avrebbe potuto ingenerare un trauma della madre di tale entità da mettere in pericolo la salute psichica della stessa, presupposto indispensabile per l’interruzione della gravidanza oltre il terzo mese”.
Ad avviso dei ricorrenti, la Corte napoletana, secondo una corretta interpretazione della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b, non avrebbe dovuto giudicare della gravità delle malformazioni, ma esclusivamente del rilievo delle stesse quali causa di pericolo per la salute fisica o psichica della gestante. In particolare, n3n sarebbe rilevante, nello svolgere tale ragionamento per mezzo di presunzioni, l’entità della malformazione.
Chiedono pertanto i ricorrenti la cassazione della sentenza, con rinvio al giudice del merito, al fine di valutare “sul piano probabilistico, al momento in cui si è verificata l’omessa informazione del medico e sulla base delle prove in atti, l’esistenza o meno di una lesione del diritto di scelta se interrompere o meno la gravidanza e conseguente alla mancata informazione circa le malformazioni del feto)”.
1.1. Il motivo è infondato.
Abbandonato l’orientamento secondo cui corrisponde a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza ove informata di gravi malformazioni del feto (Cass.: 10/11/2010, n. 22837), le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che è onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza (Cass. 22/12/2015, n. 25767; v. anche la recente sentenza Cass. 6/07/2020, n. 13881, e le più risalenti Cass. 10/12/2013, n. 27528; Cass. 22/03/2013, n. 7269). Tale onere probatorio può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova.
Posto che la L. n. 134 del 1978, art. 6 stabilisce che “l’interruzione volontaria della gravidanza, nei primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”, è onere di parte attrice dimostrare la sussistenza delle condizioni legittimanti l’interruzione della gravidanza, ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell’esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica Cass. 10/05/2002, n. 6735; Cass. 4/01/2010, n. 13; Cass. 10/12/2013, n. 27528; Cass. 11/04/2017, n. 9251; Cass. 15/01/2021, n. 643).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi appena enunciati.
In adesione alle conclusioni del consulente tecnico, la Corte di merito ha, infatti, dapprima affermato che l’unica patologia che il medico avrebbe potuto diagnosticare, se avesse diligentemente svolto gli esami e le indagini prescritte dalle linee guida al tempo in vigore, nel periodo che va dalla 20^ alla 22^ settimana di gravidanza, era la cardiopatia. Impossibile sarebbe stato, invece, pervenire alla diagnosi tanto della grave sindrome di cui il bambino è affetto, quanto della polidattilia. Ha pure escluso che l’acquisizione della conoscenza del problema cardiologico da parte dei genitori avrebbe consentito, in fase prenatale, di pervenire alla diagnosi della più grave sindrome.
Ciò premesso, la Corte, con il giudizio di fatto che non è sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che “giammai tale malformazione (la cardiopatia) avrebbe potuto giustificare il ricorso all’interruzione della gravidanza (…) non essendo verosimile ritenere, neanche in via presuntiva, che la conoscenza del suddetto problema cardiologico peraltro corretto con intervento chirurgico eseguito nei primi mesi di vita del piccolo V. – avrebbe potuto ingenerare un trauma nella madre di tale entità da mettere in pericolo la salute psichica della stessa, presupposto indispensabile per l’interruzione della gravidanza oltre il terzo mese”.
Dunque, proprio sotto il profilo del pericolo per la salute psichica della madre, la Corte d’appello ha ritenuto non soddisfatto l’onere probatorio gravante sugli attori.
2. Il secondo motivo è rubricato “Falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b) e dell’art. 2729 c.c. con riferimento alla valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi, idonei ad assumere valenza indiziaria della volontà della ricorrente di interrompere la gravidanza in seguito alla scoperta della malformazione fetale”. Con tale mezzo i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale avrebbe fatto malgoverno dei principi in materia di presunzioni; in particolare, da un lato i ricorrenti affermano che dall’insussistenza di patologie psichiche prima e dopo la gravidanza non può inferirsi che tali patologie non sarebbero insorte nella gestante se fosse effettivamente stata resa edotta della malattia del nascituro; dall’altro lato, indicano l’esistenza di fatti precisi gravi e concordanti e dunque riconducibili al paradigma dell’art. 2729 c.c., idonei a far presumere la volontà abortiva della ricorrente. Sostengono, infine, che la reazione avuta dalla G. al momento della nascita del figlio, allegata nei giudizi di merito, si sarebbe determinata anche durante la gravidanza.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Se è vero che l’onere probatorio gravante sugli attori nell’azione per il risarcimento del danno da deprivazione del diritto della madre di accedere all’aborto terapeutico (con terminologia indicata come preferibile a quella di “danno da nascita indesiderata”) può essere assolto tramite presunzioni semplici, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova (Cass., sez. un., 22/12/2015, n. 25767), spetta comunque al giudice di merito individuare i fatti da porre a fondamento del processo logico presuntivo e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato – come nel caso all’esame – sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 6/07/2020, n. 13881; Cass. 27/10/2010, n. 21961; Cass. 11/05/2007, n. 10847) non potendo peraltro invocarsi, in sede di legittimità, una lettura diversa dei fatti rispetto a quella accolta dal giudice del merito.
La violazione delle norme di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. non risulta, peraltro, neppure prospettata secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 24/01/2018, n. 1785, in particolare p. 4 della motivazione).
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine all’omessa ammissione della prova testimoniale, della CTU psicologica ed all’omesso esame degli elementi istruttori – violazione o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c.”.
Con tale mezzo i ricorrenti deducono che la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi, senza alcuna motivazione sulle istanze istruttorie, tempestivamente formulate e riproposte in sede di gravame. Si tratta di prove testimoniali, le quali, secondo i ricorrenti, avrebbero potuto dimostrare che la G., se informata delle patologie del nascituro, si sarebbe determinata per l’aborto terapeutico, nonché appurare sia pure con un giudizio ex ante ed in via presuntiva, lo stato di salute psichica della gestante, tale da integrare i presupposti dell’aborto della L. n. 194 del 1978, ex art. 6, lett. b). La Corte d’appello avrebbe – secondo i ricorrenti – parimenti omesso l’esame: a) di tutti i provvedimenti del Tribunale dei Minorenni di Napoli riversati in atti dagli attori, relativi alle vicende del bambino successive alla sua nascita, dalla sospensione della potestà genitoriale all’affidamento dello stesso ai genitori, i quali avrebbero comprovato il processo patologico determinatosi nella madre; b) del diario dattiloscritto della ricorrente; c) della relazione descrittiva del primo incontro tra la madre e il figlio; d) della circostanza che la famiglia abbia trascorso un lungo periodo di terapia psicologica; e) della richiesta di CTU psicologica sui ricorrenti.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass., ord., 5/07/2016, n. 13716; Cass., 11/02/2009, n. 3357).
Ma nella specie, trattandosi di cd. doppia conforme, è inammissibile la censura per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – pur a voler così qualificare sostanzialmente la censura proposta – ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c..
Va evidenziato che, comunque, a tutto voler concedere, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass., ord., 7/03/2017, n. 5654; Cass., ord., 29/10/2018, n. 27415; Cass., ord., 17/06/2019, n. 16214; v. anche Cass. 17/05/2007, n. 11457). Parimenti, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa. (Cass., ord., 26/06/2018, n. 16812; v. anche Cass. 13/02/2006, n. 3075).
Nel caso di specie, i ricorrenti non specificano come la prova testimoniale di cui si lamenta l’omessa l’ammissione – neppure testualmente riportata, così come articolata, in ricorso, con conseguente inammissibilità (Cass., 1/08/2001, n. 10493; Cass., ord., 4/10/2017, n. 23194; Cass., ord., 30/07/2010, n. 17915; Cass., ord., 10/08/2017, n. 19985) – e i documenti (provvedimenti del Tribunale di Napoli) di cui lamentano l’omesso esame – e dei i quali neppure viene riportato il contenuto, con conseguente difetto di specificità – possano, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, travolgere la ratio decidendi della sentenza. Anzi, gli stessi ricorrenti assumono (v. ricorso p. 20) che, ove ammessa, la prova in questione avrebbe solo “verosimilmente” confermato l’assunto degli stessi.
Quanto poi al lamentato omesso esame dell’istanza volta all’ammissione di una c.t.u. psicologica, si osserva che la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato (Cass., ord., 13/01/2020, n. 326).
Neppure viene dedotto specificamente in cosa si concretizzerebbe nella specie la violazione o la falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., vizi pure indicati nella rubrica del motivo ma non specificati nell’illustrazione dello stesso.
4. Il quarto motivo è così rubricato: “violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2,32 Cost., art. 2043, 2059 e 2057 c.c., in ordine all’omessa valutazione da parte della Corte della sussistenza di danni rapportabili alla mancanza di un’adeguata e tempestiva informazione circa la malformazione”. La doglianza involge l’affermazione contenuta nella sentenza secondo cui “gli appellanti non hanno adeguatamente circostanziato quale danno, né di natura patrimoniale né di natura non patrimoniale, hanno sofferto per non aver avuto conoscenza, tra la ventesima e la ventiduesima settimana di gravidanza, della sussistenza della cardiopatia del nascituro, posto che, per quanto già illustrato, non avrebbero potuto certamente ricorrere, per la sola citata cardiopatia, all’interruzione della gravidanza”. Tale ratio decidendi, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe del tutto erronea, posto che i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti dai medesimi sarebbero stati allegati sin dall’atto di citazione.
4.1. Il motivo è infondato.
Coerentemente con quanto in precedenza affermato, la Corte d’appello ha escluso l’esistenza di un danno risarcibile, posto che i ricorrenti avrebbero potuto, visto lo stato della scienza medica al momento dei fatti, essere messi a conoscenza della sola malformazione cardiaca per la quale la medesima Corte ha escluso, con statuizione che resiste, come si è visto alle censure proposte, che per tale cardiopatia si sarebbe potuto far ricorso all’interruzione di gravidanza e ha ritenuto che nessuna responsabilità è imputabile al Dott. L.C.A. per non aver riscontrato, in sede ecografica, la polidattilia del nascituro e ha evidenziato, sulla base della c.t.u. del Dott. D.M. che i valori emersi dalle ecografie effettuate non erano tali da indurre a sospettare una deformazione scheletrica e che verosimilmente non sarebbe stato possibile, in concreto, pervenire alla diagnosi della sindrome di Ellis Van Creveld. Dovendosi escludere, per le ragioni viste sopra, che nel caso di specie potesse pervenirsi ad aborto terapeutico L. 194 del 1978, ex art. 6, lett. b), il “danno” lamentato dagli attori in ogni caso non potrebbe essere causalmente ricondotto alla condotta del medico e delle strutture sanitarie convenute, in difetto, peraltro, di colpa dello stesso. E comunque i ricorrenti non hanno riportato testualmente in ricorso le eventuali specifiche allegazioni fatte al riguardo nel giudizio di merito, limitandosi a tale riguardo a richiamare atti difensivi e documenti prodotti, con difetto di specificità al riguardo e inammissibilità delle censure all’esame.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c., nella parte in cui la Corte di merito ha ritenuto inammissibile il motivo di gravame relativo alla mancata acquisizione del consenso informato, sul rilievo che in primo grado tale danno era stato ricollegato ad una mancata informazione circa le malformazioni del feto per errata esecuzione di esami ecografici mentre in appello era stato riferito ai limiti propri delle indagini ecografiche.
La Corte di merito ha affermato che i ricorrenti non avevano lamentato, nella fase di fissazione del thema decidendum della causa, di non essere stati messi a conoscenza dei limiti propri delle indagini ecografiche. In particolare la Corte partenopea ha rilevato che “la carenza di un’adeguata informazione era stata ricollegata dagli attori esclusivamente alla mancanza di diligenza nell’effettuazione degli esami ecografici, circostanza che aveva impedito di acquisire le informazioni relative alla malformazione del feto, e non già alla mancanza di informazioni con riguardo ai limiti propri dell’indagine ecografica”. Ad avviso dei ricorrenti, invece, con l’atto d’appello non vi sarebbe stato alcun tentativo di mutare la domanda introdotta in primo grado, essendo il fatto costitutivo della pretesa sempre il medesimo, ovvero l’omessa diagnosi delle malformazioni fetali per inesatto adempimento della prestazione professionale. Affermano che la violazione del consenso informato andava qualificata come mera emendatio libelli rispetto alla medesima causa petendi, avendo soltanto rettificato il concetto di mancata acquisizione del consenso informato, reso in appello “più rispondente ai propri interessi rispetto alla vicenda sostanziale”.
5.1. Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, non essendo stato riportato testualmente quanto i ricorrenti assumono di aver dedotto sulle questioni in parola in primo e in secondo grado.
6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
7. Tenuto conto della particolarità della natura dei fatti di causa già scrutinata dalla Corte di merito, che non è stata oggetto di espressa impugnazione in questa sede (Cass., 5/02/2015, n. 2068), le spese del presente giudizio di legittimità ben possono essere compensate per intero tra le parti.
8. Va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di L.V..
9 Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi di L.V..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021