Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27140 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32337/2019 proposto da:

G.C., elett.te domic. domiciliata presso l’avvocato Giovagnoni Laurino, dal quale è rappres. e difesa, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

V.P., elett.te domic. presso l’avvocato Celia Giuseppe, dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

V.F.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 437/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, pubblicata il 27/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/04/2021 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

CHE:

Con sentenza del 9.6.15, il Tribunale di Salerno accolse l’azione proposta da V.P., con citazione notificata nel 2010, nei confronti di G.C. e del minore V.F.P., nato il ***** – rappresentato dal curatore speciale-dichiarando che il minore non era figlio dell’attore e che allo stesso spettava lo status di figlio naturale, con conseguente assegnazione del cognome della madre.

Avverso tale sentenza propose appello G.C., deducendo: la nullità della sentenza per l’omessa o errata valutazione dei fatti da parte del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto che l’attore avesse appreso in maniera certa della sua incapacità di procreare soltanto a *****; la decisione era stata fondata erroneamente sulla c.t.u. dalla quale non traspariva alcuna certezza, essendo stata fondata sul rifiuto della madre di sottoporre il minore all’esame del dna, ex art. 116 c.p.c. Si costituirono il curatore speciale del minore e Pietrodomenico V.; in particolare, con appello incidentale il curatore chiese la riforma della sentenza impugnata adducendo l’intervenuta decadenza dell’azione, ovvero eccependone l’infondatezza.

Con sentenza emessa il 27.3.19, la Corte d’appello ha rigettato sia l’appello principale che quello incidentale del curatore, osservando che: non era fondato il motivo concernente l’omessa valutazione dell’interesse del minore poiché il favor veritatis assume maggior rilevanza allorché siano accertati i presupposti d’ammissibilità e dell’accoglimento dell’azione; come desumibile dall’istruttoria, nel ***** il V. subì un intervento chirurgico per varicocele e dal ***** fece ricorso, con la moglie, all’inseminazione eterologa; nel ***** si sottopose ad esame dello sperma con il risultato di irreversibile azoospermia; doveva pertanto ritenersi che il V. avesse continuato a confidare nel miglioramento della propria capacità procreativa, acquisendo conoscenza certa della propria impotenza generandi solo all’esito degli esami compiuti nell’anno antecedente l’azione proposta, escludendo ciò l’eccepita decadenza dall’azione; le evidenze della c.t.u. e della c.t.p., unitamente al rifiuto della madre del bambino di sottoporre quest’ultimo all’esame del dna costituivano indizi gravi, precisi e concordanti dell’insussistenza della paternità naturale del V.; per le medesime ragioni era da rigettare l’appello incidentale, precisando che nella fattispecie non era applicabile la formulazione dell’art. 244 c.c., introdotta con il D.Lgs. n. 154 del 2013.

G.C. ricorre in cassazione con due motivi, illustrati con memoria.

V.P. resiste con controricorso.

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia mancata valutazione dell’interesse del minore in ordine alla sua identità personale, e del diritto alla bigenitorialità, con violazione e falsa applicazione degli artt. 2,3 Cost., art. 30 Cost., u.c., art. 244 c.c., D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 104, comma 7 e artt. 9,12 Conv. N. Y., art. 3 Conv. Strasburgo. Al riguardo, la ricorrente si duole, in particolare, della mancata applicazione della nuova versione dell’art. 244 c.c. (secondo la quale l’azione in esame non può essere proposta oltre cinque anni dalla nascita del bambino), dato che il D.Lgs. n. 154 era entrato in vigore in pendenza del giudizio di primo grado, mentre alla fine del giudizio di secondo grado il minore aveva compiuto tredici anni.

Il secondo motivo deduce la nullità del procedimento per il mancato ascolto del minore, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 30 Cost., artt. 315bis, 336bis, c.c., art. 12 Convenzione N. Y., art. 3 Convenzione Strasburgo.

Il ricorso va accolto.

Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di decadenza formulata sulla base della nuova versione dell’art. 244 c.c., comma 4, in relazione al decorso del termine quinquennale dalla nascita del figlio per proporre l’azione di disconoscimento, alla luce dell’esegesi della normativa transitoria recepita dalla giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità: “in tema di azione di disconoscimento di paternità, ed alla stregua della disciplina transitoria della riforma della filiazione prevista dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, art. 104, commi 7 e 9, mentre la normativa sostanziale di cui al novellato art. 244 c.c. si applica a tutte le azioni su cui la riforma è intervenuta, anche se relative a figli nati prima della data di entrata in vigore (7 febbraio 2014) del citato decreto, i nuovi termini di cui al comma 4 della medesima disposizione codicistica operano solo per i figli già nati alla predetta data per i quali non sia stata già proposta l’azione di disconoscimento (persistendo altrimenti l’utilizzabilità del regime decadenziale pregresso), fermi, in entrambe le ipotesi, gli effetti del giudicato formatosi prima della entrata in vigore della L. 10 dicembre 2012, n. 2192” (Cass., n. 14556/14). Ora, nel caso concreto, non emerge alcuna decadenza dall’azione in questione atteso che, premesso che la riforma è entrata in vigore nel febbraio 2014, il figlio è nato nel *****, mentre l’azione è stata proposta con citazione notificata nel 2010.

Il primo motivo è fondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità da parte del minore di anni quattordici postula l’apprezzamento, in sede giudiziaria, dell’interesse di questi, non potendo considerarsi utile equipollente la circostanza che sia l’ufficio del Pubblico Ministero a richiedere la nomina del curatore speciale abilitato all’esercizio dell’azione stessa (Cass., n. 4020/17). E’ stato altresì affermato che in tema di disconoscimento di paternità, il quadro normativo (art. 30 Cost., art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali della UE, e art. 244 c.c.) e giurisprudenziale attuale non comporta la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris, ma impone un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica anche in considerazione delle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dell’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini e l’interesse alla certezza degli status ed alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità personale, non necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia, specie quando trattasi di un minore infraquattordicenne. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale (Cass., n. 6517/19; n. 26767/16).

Giova, altresì, rilevare che la Corte costituzionale in una non recente, ma sempre attuale, pronuncia (Corte Cost. n. 429 del 1991), ha affermato che, “se si tratta di un minore di età inferiore ai sedici anni, la ricerca della paternità, pur quando concorrono specifiche circostanze che la fanno apparire giustificata ai sensi dell’art. 235 c.c. o art. 274 c.c., comma 1, non è ammessa ove risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato di figlio legittimo o, rispettivamente, all’assunzione dello stato di figlio naturale nei confronti di colui contro il quale si intende promuovere l’azione: interesse che dovrà essere apprezzato dal giudice soprattutto in funzione dell’esigenza di evitare che l’eventuale mutamento dello status familiare del minore possa pregiudicarne gli equilibri affettivi e l’educazione”.

Al riguardo, la centralità dell’interesse del minore nelle azioni di stato è stata più volte affermata dalla Corte costituzionale, che di recente ha ribadito che “la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con L. 20 marzo 2003, n. 77, nel disciplinare il processo decisionale nei procedimenti riguardanti un minore, detta le modalità cui l’autorità giudiziaria deve conformarsi prima di giungere a qualunque decisione, stabilendo (tra l’altro) che l’autorità stessa deve acquisire informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del minore”, aggiungendo che “la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, nell’art. 24, comma 2, prescrive che In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente; e il comma 3 medesimo articolo aggiunge che il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse”. A tale principio ormai acquisito in ambito internazionale corrisponde analogo indirizzo dell’ordinamento interno, come desumibile dalla citata giurisprudenza di legittimità, nel quale l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità, specialmente dopo la riforma attuata con L. 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del diritto di famiglia), e dopo la riforma dell’adozione realizzata con la L. 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), come modificata dalla L. 28 marzo 2001, n. 149, cui hanno fatto seguito una serie di leggi speciali che hanno introdotto forme di tutela sempre più incisiva dei diritti del minore (v. Corte Cost., n. 272 del 2017).

Ora, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata decisione, il quadro normativo attuale, come interpretato dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti, impone un bilanciamento fra l’esigenza di affermare la verità biologica, anche in considerazione delle “avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall’elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini” (così Corte Cost. 12 gennaio 2012, n. 7).

Per quanto esposto, può dunque affermarsi che sulla base del quadro normativo attuale, come interpretato dalla giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti, emerge l’interesse del minore alla stabilità dei rapporti familiari, nell’ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all’identità non per forza correlato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi all’interno di una famiglia.

Nella fattispecie, la Corte di appello ha omesso tale doveroso accertamento, adottando, sul punto, una motivazione sostanzialmente tautologica, ritenendo che il favor veritatis prevalga sullo status quo del minore per il solo fatto dell’ammissibilità e della fondatezza dell’azione mentre, per quanto esposto, l’interpretazione dell’art. 244 c.c. avrebbe richiesto un accertamento concreto dell’interesse del minore.

Il secondo motivo è parimenti fondato alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne capace di discernimento costituisce adempimento previsto a pena di nullità, a tutela dei principi del contraddittorio e del giusto processo, in relazione al quale incombe sul giudice che ritenga di ometterlo un obbligo di specifica motivazione, non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora opti, in luogo dell’ascolto diretto, per quello effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che solo l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda (Cass., n. 1474/2021; n. 12018/19; n. 7478/14).

Ora, dalla sentenza impugnata non si desume, al riguardo, alcuna ragione del mancato ascolto del minore. Pertanto, tale omissione concretizza un’ulteriore causa di nullità del provvedimento impugnato, sebbene dagli atti non si evinca che l’ascolto del minore sia stato espressamente richiesto. Invero, deve ritenersi che tale adempimento costituisca un obbligo del giudice, attivabile anche d’ufficio in quanto sancito da norme imperative dettate a tutela dell’esclusivo interesse del minore e della relativa assoluta indisponibilità.

Per quanto esposto, in accoglimento di entrambi i motivi del ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del grado di legittimità.

PQM

La Corte accoglie i due motivi del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del grado di legittimità.

Dispone che i dati identificativi delle parti siano oscurati nel caso di pubblicazione del provvedimento, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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