LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22866/2019 proposto da:
A.R., rappresentato e difeso da se stesso e, giusta procura in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. Danila Paparusso, presso il cui studio in Roma, alla via Novella, n. 22, è elettivamente domiciliato, nonché dall’Avv. Maria Masi, giusta procura speciale in calce alla memoria di costituzione in aggiunta al difensore costituito;
– ricorrente –
contro
V.D., rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Grassi, giusta procura in calce al controricorso, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via Giuseppe Pisanelli, n. 2, presso lo studio dell’Avv. Maria Cristina Fratto;
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte di appello di NAPOLI n. 662/2019 pubblicato il 4 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 maggio 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con decreto del 4 febbraio 2019, la Corte di appello di Napoli ha rigettato il reclamo principale presentato da A.R. e il reclamo incidentale proposto da V.D., avverso il decreto del Tribunale di Nola del 18 febbraio 2014 che, su ricorso di A., aveva disposto l’affidamento condiviso della figlia A., nata, dalla relazione con la V., a *****, con residenza privilegiata presso la madre e regolamentato il diritto di visita del padre e posto a carico del padre l’obbligo di corrispondere, a titolo di mantenimento della figlia, la somma di Euro 500,00 mensili (rigettando la richiesta della V. di aumento a 1.000,00 Euro), oltre il 50% delle spese straordinarie.
2. La Corte di appello, in via preliminare, ha affermato che, in ragione dei giustificati motivi che consentivano di rivedere le statuizioni vigenti sui rapporti tra i genitori e la minore, sarebbero stati presi in considerazione soltanto i fatti nuovi che si erano verificati dopo la decisione dei giudici di secondo grado del 6 luglio 2016; che il reclamo aveva richiamato giudizi, sentenze e comportamenti anteriori al decreto del 6 luglio 2016 e perciò coperti da giudicato, sia pure rebus sic stantibus e, in ogni caso, il reclamante si doleva non della inadeguatezza del calendario di incontro, ma della sua mancata attuazione; che tutti i fatti, a dire del reclamante, costituenti la ragione principale del reclamo e documentalmente provati, erano eventi remoti, oltre che anteriori al 6 luglio 2016,e che anche i fatti non espressamente presi in considerazione non potevano assurgere a fatti nuovi sopravvenuti; che altri erano irrilevanti e altri ancora ribadivano la costante e inalterata condotta della V. svalutativa del reclamante e del suo ambito familiare; che il reclamo nulla affermava per confutare le valutazioni della relazione depositata il 7 marzo 2016, a firma della Dott.ssa M.C.P., consulente tecnico d’ufficio nominato nel precedente giudizio iniziato con ricorso depositato dall’ A. del 10 giugno 2013, avente ad oggetto l’affidamento della figlia, all’esito di colloqui ed incontri con le parti e con la minore, limitandosi a chiedere accertamenti tecnici meramente esplorativi; che il reclamante non aveva spiegato quali precise circostanze successive al 6 luglio 2016 sarebbero state dimostrate dai file audio non ammessi dal Tribunale; che non rientrava nell’oggetto del giudizio la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, volta alla valutazione delle condizioni psichiche della minore, che erano più che buone alla luce del giudizio della consulente dell’ A., Dott.ssa Ag., e della natura e qualità del legame tra la bambina e la madre attraverso l’utilizzo di protocolli psicodiagnostici specifici e mirati alla rilevazione della presenza di PAS, che, tuttavia, non era nemmeno adombrata nella relazione del consulente di parte.
3. I giudici di secondo grado hanno rigettato anche il reclamo incidentale di aumento dell’assegno di mantenimento posto a carico del padre, in ragione delle accresciute esigenze della minore, che, tuttavia, andavano riferite agli ultimi due anni e mezzo e, dunque, a un’età della piccola, che andava da quattro anni e mezzo a sette anni, che non rappresentava uno step significativo ai fini dell’aumento richiesto, in quanto il periodo temporale era collocabile interamente nell’infanzia caratterizzato da costi equivalenti; inoltre, nemmeno la V., nell’evocare il cospicuo patrimonio di A., non aveva indicato alcuna specifica circostanza sopravvenuta al 6 luglio 2016.
4. A.R. ha impugnato il decreto della Corte d’appello di Napoli con ricorso straordinario ex art. 111 Cost. affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria.
5. V.D. ha depositato controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 709 ter c.p.c., comma 2; dell’art. 337 ter c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non essere stato rispettato il criterio della bigenitorialità con il giusto provvedimento sanzionatorio, come richiesto dal ricorrente, non avendo la Corte di appello considerato la mancata fattiva collaborazione della madre al fine di rendere possibile un rapporto significativo della bambina con il padre, anche attraverso il pernottamento della figlia con il padre, trincerandosi dietro la scusa che era proprio la minore a non volere rimanere con il padre e a reclamare in ogni incontro con il genitore anche la presenza della madre e non avendo, quindi, valutato la situazione del perdurante inadempimento della madre al momento della pronuncia, senza considerare che il rifiuto della minore di pernottare con il padre si era consolidato, già nelle more della pronuncia del luglio 2016 e fino alla proposizione del ricorso dell’ottobre 2017.
2. Con il secondo si lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della pronuncia essendo stata la motivazione non già il risultato di un ragionamento autonomo, ma, piuttosto, mutuato da quello del Giudice di primo grado, oltre ad avere completamente omesse la motivazione circa il rigetto della richiesta di consulenza tecnica d’ufficio.
3. Con il terzo motivo si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte di merito considerato il rifiuto della minore di pernottare presso la casa paterna e per non avere valutato detto rifiuto ai fini dell’accertamento, attraverso un’apposita consulenza tecnica d’ufficio, di un disagio della minore e delle cause che lo avevano determinato.
4. Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 710 c.p.c., degli artt. 337 ter e 337 quinquies c.c., nonché dell’art. 2909 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove il giudice del reclamo aveva erroneamente ritenuto l’insussistenza di circostanze nuove, affermando erroneamente che quelle dedotte dal ricorrente erano coperte da giudicato, sebbene nel rispetto del principio del rebus sic stantibus, di precedenti giudizi inter partes, e, quindi, aveva reputato non suscettibile di esame il comportamento della V. ai fini dell’accertamento della cosiddetta PAS (o comunque della responsabilità genitoriale) in quanto precedente o concomitante all’emissione del provvedimento del 30 giugno – 6 luglio 2016, comunque successivo al provvedimento del 17 giugno 2015, senza considerare comunque il sopraggiunto rifiuto della minore di pernottare presso il padre.
5. Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 2712 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere considerato come prova concludente il sopraggiunto rifiuto della minore di pernottare con il padre; per non avere considerato, quindi, le prove offerte dal ricorrente quali causa di una circostanza che aveva formato oggetto di discussione tra le parti (rifiuto del pernottamento), prove che ricadevano sul demonstratum, e rientravano nella categoria dell’errore di percezione censurabile in Cassazione.
6. I motivi, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.
6.1 Deve, in primo luogo, affermarsi che questa Corte, in tema di provvedimenti di decadenza di cui agli artt. 330 e 333 c.c., ha affermato alcuni principi in tema di giudicato rebus sic stantibus, che trovano applicazione anche nel caso in esame e ciò in ragione della assimilazione della posizione dei figli di genitori non coniugati e quella dei figli nati nel matrimonio, verificatasi già nel vigore della L. n. 54 del 2006, e a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 154 del 2003, che ha abolito al riguardo ogni distinzione.
6.2 In particolare, questa Corte, rimeditando il proprio precedente contrario orientamento, ha più recentemente statuito, con affermazione cui il Collegio intende assicurare continuità, che i provvedimenti cosiddetti de potestate, che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale, ovvero i provvedimenti di decadenza limitativi di cui agli artt. 330 e 333 c.c., hanno l’attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicché il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica il predetto provvedimento, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7 (Cass., 24 gennaio 2020, n. 1668; Cass., 6 marzo 2018, n. 5256; Cass., 21 novembre 2016, n. 23633; Cass. 29 gennaio 2016, n. 1743).
Specificamente questa Corte ha affermato “essendo indubitabile che il decreto adottato dal tribunale per i minorenni, con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, incide su diritti di natura personalissima, di primario rango costituzionale, deve – per converso – ritenersi che tale provvedimento, emanato peraltro all’esito di un procedimento che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro, abbia attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus. Tale provvedimento non e’, invero, né revocabile, né modificabile, se non per la sopravvenienza di fatti nuovi e non per la mera rivalutazione delle circostanze preesistenti già esaminate. Pertanto, dopo che la Corte d’appello lo abbia confermato, revocato o modificato in sede di reclamo ex art. 739 c.p.c., il decreto camerale – secondo l’orientamento innovativo in esame – acquista una sua definitività, ed è senz’altro impugnabile con il ricorso per cassazione che va, di conseguenza, ritenuto pienamente ammissibile” (Cass., 25 luglio 2018, n. 19780).
Nello specifico, i “giustificati motivi”, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti alla separazione, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (Cass., 28 novembre 2017, n. 28436).
6.3 Si tratta di un indirizzo che trova applicazione, come già detto, anche nella presente controversia, sicché soltanto le sopravvenienze possono, nella materia della famiglia, giustificare la possibilità, nonostante la proponibilità del reclamo, della revoca o modifica: perché, in tale materia, vige il principio, secondo cui ogni decisione, ha carattere decisorio e definitivo, in quanto incidente su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, ed è modificabile e revocabile soltanto per la sopravvenienza di “nuove circostanze di fatto” e quindi idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, trattandosi di provvedimento che riveste comunque carattere decisorio, quando non sia stato adottato a titolo provvisorio ed urgente, ed idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sull’esercizio della responsabilità genitoriale.
6.4 Ciò posto, la Corte di appello ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati, avendo, primo di tutto, considerato che i fatti posti a fondamento del reclamo erano eventi remoti, oltre che anteriori al 6 luglio 2016, data del decreto della Corte di appello che aveva definito il procedimento promosso dall’ A., con ricorso del 10 giugno 2013, volto alla regolamentazione dell’affidamento e del diritto di visita della figlia minore; che alcuni erano irrilevanti e altri, per l’appunto, ribadivano la costante e inalterata condotta della V. svalutativa del reclamante e del suo ambito familiare.
Sulla specifica doglianza dell’ A., poi, riguardante il mancato rispetto degli incontri padre – figlia previsti nel calendario fissato nel decreto del 6 luglio 2016, i giudici di secondo grado hanno affermato che anche questo non costituiva un fatto sopravvenuto, in quanto fondato su “risalenti condotte di manipolazione e alienazione parentale da parte della V.”.
I giudici di secondo grado, sul punto, in particolare hanno affermato che:
con riguardo al prolungato pernottamento della figlia nell'***** era emersa con chiarezza l’incapacità del padre di persuadere e tranquillizzare la bambina rispetto alla prospettiva di pernottare a casa sua (pag. 13 del decreto impugnato);
il mancato rispetto del calendario quanto ai pernottamenti della figlia a casa del padre comportava l’invito alle parti (come già fatto dal Tribunale) a proseguire o ripetere percorsi di sostegno alla genitorialità ad oltranza, o meglio fin quando il calendario stabilito dal giudice nel superiore interesse della minore non fosse stato pienamente rispettato e che su tali percorsi e sui loro risultati avrebbe vigilato il Giudice tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c. (pag. 15 del provvedimento impugnato).
Tali considerazioni, peraltro, sono state espresse, come emerge dalla lettura del decreto impugnato, oltre che sulla base delle risultanze della relazione della Dott.ssa M.C.P., depositata in data 7 marzo 2016, nel giudizio promosso con ricorso depositato dall’ A. il 10 giugno 2013 (che aveva affermato che nell’ A. si producevano dei meccanismi proiettivi che tendevano adt alterare la lettura delle reali dinamiche interpersonali con la V. e ad attribuire a quest’ultima un’ostilità e una ostatività al suo rapporto con la figlia superiore a quanto realmente vissuto e voluto dalla V.), anche tenuto conto delle osservazioni della consulente di parte del ricorrente, Dott.ssa Ag., che aveva evidenziato una grave criticità a carico dei genitori e, specificamente della madre, nel rapportarsi con la figlia, proprio avuto riguardo al rispetto delle modalità di visita statuite in precedenza e che, all’evidenza, avevano una forte incidenza sul rispetto del principio della bigenitorialità, non riuscendo il padre a rispettare le statuizioni sulle modalità di affidamento che prevedevano una più assidua frequentazione dei rapporti.
6.5 Tali risultanze hanno condotto la Corte territoriale, nell’esercizio del potere discrezionale che compete al giudice di merito sulla valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o “in toto”, le indagini (Cass., 24 gennaio 2019, n. 2103), ad affermare, in condivisione con il giudice di primo grado, che la richiesta di consulenza tecnica di ufficio aveva finalità meramente esplorative e terapeutiche, piuttosto che di accertamento e diagnosi.
6.6 E ciò nella dovuta considerazione che le censure del padre erano dirette, per l’appunto, all’ottemperanza delle prescrizioni contenute nel calendario già fissato, piuttosto che a riformulare il diritto di visita come già era stato determinato ed avendo, inoltre, la Corte territoriale evidenziato che era sufficiente invitare le parti, come aveva già fatto il Tribunale, a proseguire o ripetere il percorso di sostegno alla genitorialità ad oltranza o, fino a quando il calendario stabilito dal giudice non fosse stato pienamente rispettato, con la vigilanza del Giudice tutelare ai sensi dell’art. 337 c.c..
7. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si dà atto che il procedimento è esente.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021