LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17314/2019 proposto da:
L.M.E., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Mellini n. 7, presso lo studio dell’avvocato Zaccagnini Lucia, rappresentato e difeso dall’avvocato Della Luna Marco, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
B.A., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Bottecchia Barbara, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
L.M.E., elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere Mellini n. 7, presso lo studio dell’avvocato Zaccagnini Lucia, rappresentato e difeso dall’avvocato Della Luna Marco, giusta procura in calce al ricorso principale;
– controricorrente al ricorso incidentale –
contro
B.L.A.;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, del 06/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/2021 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.
FATTI DI CAUSA
Con decreto depositato il 6 maggio 2019 la Corte d’Appello di Venezia – sezione Minorenni – in parziale riforma del decreto del Tribunale per i Minorenni di Venezia n. 237/2016, ha revocato la decadenza dalla responsabilità genitoriale pronunciata in primo grado nei confronti di L.M.E., disponendo l’affievolimento della responsabilità genitoriale di quest’ultimo sul figlio B.L.A. nei limiti corrispondenti alle prescrizioni adottate dal Tribunale ordinario di Venezia con decreto del 2.10.2018 (il quale aveva disposto l’affidamento esclusivo del minore alla madre B.A., con collocamento presso quest’ultima ed attribuendo alla stessa l’esclusivo esercizio della responsabilità genitoriale, anche con riferimento alle decisioni di maggiore interesse relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del figlio e con diritto di visita del padre a fine settimana alternati, ponendo, altresì, a carico del L. l’obbligo di corrispondere un assegno a titolo di contributo al mantenimento del figlio di Euro 2.000,00 mensili).
Il giudice di secondo grado ha, in larga parte, condiviso il percorso argomentativo del Tribunale per i Minorenni in ordine alla pluralità di condotte pregiudizievoli per lo sviluppo psico-fisico del minore A. poste in essere dal sig. L., fondate sulla volontà di escludere la madre dalla vita del figlio e sostituirla con figure vicarianti, e sulla incapacità dello stesso padre di interpretare l’ansia che la separazione della madre causavano in A., di rielaborare criticamente la sua condotta, di comprendere il disagio creato nel minore e sostenerlo nel suo percorso evolutivo (consentendogli, ad esempio, di interrompere il ciclo scolastico, non curando la socializzazione con i coetanei, pensando di colmare il vuoto affettivo del minore attraverso la somministrazione di cicli e terapie psicologiche e psicoanalitiche). La Corte d’Appello ha, in particolare, aderito alla soluzione del giudice di primo grado di non consentire al L. di condividere la genitorialità con la madre del minore, sul rilievo che ogni decisione da prendere nell’interesse dello stesso avrebbe integrato un pretesto per riattivare comportamenti ostativi del padre.
Tuttavia, la Corte d’Appello, sul rilievo che la situazione di stress in cui il minore si era trovato a causa dei conflitti genitoriali non era dipesa esclusivamente dagli errori di prospettiva educativa (tra tutti l’interruzione del percorso scolastico e l’isolamento sociale in cui il minore era stato condotto) e dagli interventi correttivi sbagliati del padre, ma anche da condotte di tipo abbandonico della madre – di talché le sofferenze del minore non erano esclusivamente riconducibili alla condotta del padre – ha ritenuto adeguato e sufficiente un affievolimento della potestà genitoriale nei termini previstà, dall’ordinanza del 2.10.2018, e di revocare quindi la decadenza del sig. L. dalla potestà genitoriale.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.M.E. affidandolo a sei motivi.
B.A. si è costituita in giudizio con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale, con il quale ha contestato il solo affievolimento della potestà genitoriale previsto dalla Corte d’Appello, in luogo della decadenza.
L.M.E. ha depositato controricorso al predetto ricorso incidentale.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. al pari della controparte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denominato 1 a), è stata dedotta la violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 36 e 36 bis.
Lamenta il ricorrente che al caso di specie deve applicarsi la legge sostanziale nazionale del proprio figlio, cittadino *****, e non la legge italiana.
2. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
Va, in primo luogo, evidenziata la novità di tale censura, non avendo il ricorrente neppure dedotto di averla fatta valere innanzi ai giudici di merito.
In ogni caso, tale doglianza è infondata.
Va preliminarmente osservato, che la L. n. 218 del 1995, art. 36 bis introdotto a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 154 del 2013, dispone che: “1. Nonostante il richiamo ad altra legge, si applicano in ogni caso le norme del diritto italiano che: a) attribuiscono ad entrambi i genitori la responsabilità genitoriale; b) stabiliscono il dovere di entrambi i genitori di provvedere al mantenimento del figlio;
c) attribuiscono al giudice il potere di adottare provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio”.
Scopo della norma è quello di individuare i principi ritenuti fondamentali e inderogabili del nuovo diritto dei minori e garantirne comunque l’applicazione, quale che sia il richiamo ad altra legge effettuato dalle norme di conflitto nazionali. E’ stata quindi introdotta una norma di chiusura che riprende alcune delle disposizioni introdotte nel codice civile dallo stesso D.Lgs. n. 154 del 2013, segnatamente gli artt. 316 e 317 c.c. per quanto riguarda il principio di responsabilità condivisa, e l’art. 316 bis c.c. per quanto riguarda il contenuto dell’obbligo di mantenimento.
Di tali principi viene ribadita l’imperatività e ne viene prescritta l’applicazione in qualsiasi caso, anche quando la fattispecie sia soggetta al diritto straniero in base alle norme di conflitto appena modificate.
Infine, il nuovo L. n. 218 del 1995, art. 36 bis, lett. c) rende necessaria l’applicazione degli artt. 330 e 333 c.c., che dispongono che in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio il giudice adotti provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale.
In particolare, l’art. 333 c.c. dispone che quando uno dei genitori tenga una condotta pregiudizievole per il figlio, il giudice possa adottare qualsiasi provvedimento ritenuto conveniente a salvaguardare l’interesse, la serenità o l’integrità del minore.
Tali norme sono state correttamente applicate nei procedimenti che riguardano il sig. L. (quelle sulla responsabilità genitoriale e sul mantenimento dal Tribunale Ordinario di Venezia; quelle sulla limitazione della responsabilità genitoriale dal Tribunale per i Minorenni di Venezia).
D’altra parte, emerge dalla ricostruzione del decreto impugnato che il presente procedimento trae origine dalla richiesta effettuata in via d’urgenza dall’odierno ricorrente affinché venisse sospesa la responsabilità genitoriale della madre del minore A. e lo stesso decreto impugnato ha revocato la decadenza della responsabilità pronunciata dal Tribunale per i Minorenni di Venezia nei confronti di L.M.E..
3. Con il motivo denominato 1 b) è stata nuovamente dedotta la violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 36 e 36 bis nonché la motivazione mancante ed apparente.
Deduce il ricorrente che il presente decreto si fonda sulla ordinanza del Tribunale di Venezia, illegittima e nulla per error in procedendo sulla legge sostanziale nazionale, il cui fondamento viene meno per effetto di quanto illustrato nel primo motivo (1 a). Ne consegue che illegittima è la decisione della Corte d’Appello di respingere l’istanza di fissazione di un termine per formulazione delle istanze istruttorie, essendo le disposizioni del Tribunale Ordinario inutilizzabili.
4. Il motivo è assorbito per effetto del rigetto del primo quanto alla dedotta violazione della L. n. 218 del 1995, artt. 36 e 36 bis.
Per il resto, il motivo è inammissibile anche quanto alla dedotta apparenza e mancanza di motivazione, fermo restando che il decreto impugnato non si basa affatto – come ritenuto dal ricorrente – sulla decisione del Tribunale ordinario, essendo semmai l’ordinanza del Tribunale Ordinario che si fonda sul decreto del Tribunale per i minorenni, di cui il decreto impugnato ne ha condiviso in larga parte il contenuto ed il percorso motivazionale, pur divergendone quanto alle conseguenze per il sig. L. (essendo stata revocata la decadenza dalla responsabilità genitoriale).
5. Con il secondo motivo (nel punto 2 a) è stata dedotta la violazione dell’art. 333 c.c., per avere erroneamente la Corte d’Appello ritenuto che il padre avesse arrecato nocumento al figlio, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 per difetto di motivazione (punto 2 b), per non avere la Corte d’Appello esposto i presupposti su cui aveva fondato la pronuncia di limitazione della responsabilità genitoriale, la violazione degli artt. 115,116 e 2967 c.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. (punto 3 c), per non essersi la Corte d’Appello pronunciata sulle articolate censure svolte dal ricorrente nei motivi del reclamo, sub punto 5), dando per accertate le circostanze indicate dal Tribunale per i Minorenni, senza motivare tale scelta.
6. Il secondo motivo, in tutte le sue tre articolazioni, presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.
In primo luogo, infondata è la censura con cui è stato dedotto il difetto di motivazione (punto 2 b), sul rilievo che la Corte d’Appello non avrebbe indicato i presupposti su cui ha fondato la pronuncia di limitazione della responsabilità genitoriale. Posto chela seguito della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 8053/2014, il vizio di motivazione costituzionalmente rilevante è integrato solo in caso di mancanza assoluta della motivazione o motivazione apparente o perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione, nel caso di specie, la motivazione del decreto impugnato – come sopra riportata diffusamente nella parte narrativa – soddisfa ampiamente il requisito del “minimo costituzionale”.
E’ stata, infatti, indicata in modo analitico la pluralità di condotte pregiudizievoli per lo sviluppo psico-fisico del minore A. poste in essere dal sig. L., fondate sulla volontà di escludere la madre dalla vita del figlio e sostituirla con figure vicarianti, sulla incapacità dello stesso padre di interpretare l’ansia che la separazione della madre causavano in A., di rielaborare criticamente la sua condotta, comprendendo il disagio creato nel minore, sostenendolo nel suo percorso evolutivo. Sul punto, la censura (punto 2 a) con cui il ricorrente ha lamentato l’erroneità della valutazione della Corte d’Appello) nel ritenere che il padre avesse arrecato nocumento al figlioisi appalesa come di merito, e, come tale, inammissibile, essendo finalizzata a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello.
Infondate sono anche le dedotte violazioni degli artt. 115,115 c.p.c. e art. 2697 c.c.
Va preliminarmente osservato che per giurisprudenza consolidata di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (vedi recentemente Cass. Sez. n. 1229 del 17/01/2019). Tali fattispecie non ricorrono nel caso di specie, in cui il ricorrente deduce che i giudici di merito hanno fondato il proprio giudizio su allegazioni false o indimostrate.
Analogamente, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove, come nella specie, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 13395/2018).
Infine, è inammissibile per genericità la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. Sul punto, il ricorrente ha allegato che la Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata sul proprio motivo di reclamo n. 5 (articolato, a sua volta, in 27 punti). In proposito, ha provveduto a trascrivere pedissequamente ben dieci pagine del motivo che era stato svolto con il reclamo, ma senza minimamente illustrare su quali punti, in particolare, per quali ragioni e in che termini la Corte di Appello avrebbe omesso di rispondere alle sue censure, limitandosi a dedurre genericamente che la Corte d’Appello aveva fondato il proprio giudizio su “circostanze indimostrate, e come tali contestate e confutate” senza indicare, tuttavia, quali circostanze e in che termini e con che modalità vi sarebbe stata tale contestazione).
Ne consegue che il ricorrente non ha fatto altro che inammissibilmente reiterare, nella sostanza, le doglianze svolte nel reclamo.
7. Con il terzo motivo, denominato 3 a), è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi su una serie di censure di nullità svolte nei confronti del decreto reclamato del Tribunale per i Minorenni, segnatamente, a) l’eccezione di difetto di procura del ricorso della madre, b) per aver giudicato senza pubblica udienza, c) per aver privato immotivatamente il padre dell’esercizio del diritto alla prova, d) per aver giudicato da una posizione non terza, e) per non aver accolto le eccezioni di violazione degli artt. 87 e 201 c.p.c. e per non aver consentito al CTP nominato dal padre di assistere alle sedute del CTU, f) per non aver accolto l’eccezione di violazione dell’onere della prova e di inidoneità della CTU a provare le circostanze di fatto incontroverse.
8. Il motivo è inammissibile per genericità e per difetto di autosufficienza.
Va osservato che, con riferimento alle censure di cui alla lett. e), il ricorrente non ha, in primo luogo, allegato in quale punto dell’atto di reclamo avrebbe svolto le doglianze sopra descritte. Inoltre, non è stato neppure precisato in che termini non sarebbe stato consentito al CTP nominato dal ricorrente di assistere alle sedute del CTU (non è stato avvisato? Vi è stato forse un divieto?), non essendo stati trascritti i verbali delle sedute attestanti la mancata partecipazione alle sedute di tale CTP.
Con riferimento alle censure di cui alle lettere a), c), d), f), il motivo difetta di autosufficienza.
Va preliminarmente osservato che questa Corte ha, anche recentemente, statuito che l’onere di specifica indicazione dei motivi non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello, atteso che una tale modalità di formulazione del motivo rende impossibile individuare la critica mossa ad una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione. (Cass. n. 1479 del 22/01/2018).
Nel caso di specie, il ricorrente ha richiamato pedissequamente i rilievi mossi in alcuni motivi dell’atto di reclamo, accennando solo in termini estremamente generici (se non apodittici) al contenuto delle critica formulata al decreto del Tribunale per i Minorenni, e comunque con modalità assolutamente inidonee a far cogliere la portata delle censure.
In ordine alla doglianza di cui alla lett. b), la stessa e’, oltre che inammissibile, anche infondata.
In primo luogo, i procedimenti aventi ad oggetto i provvedimenti de potestate sono trattati in camera di consiglio e non in pubblica udienza. Non risulta, inoltre, chiaramente, avuto riguardo alle modalità di articolazione della censura, in che termini non sarebbe stata data la possibilità alle parti di discutere davanti al Collegio giudicante.
9. Con il motivo 3b) è stata dedotta la violazione dell’art. 6 CEDU, art. 111 Cost., artt. 87 e 201 cod. artt. 61,62,194 c.p.c., art. 2697 c.c., per avere la Corte recepito acriticamente e senza motivazione le statuizioni, omissioni e violazioni di legge e gli errores in procedendo del decreto del Tribunale per i Minorenni.
10. Anche tale motivo è inammissibile per genericità.
Il ricorrente si è limitato a richiamare le censure generiche e illustrate in modo inammissibile del motivo 3 a).
11. Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame di una serie di fatti decisivi riportati nel secondo motivo del reclamo (articolato nei punti 2 a, 2b e 2c).
12. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente, analogamente alle doglianze articolate nel secondo motivo, ha allegato che la Corte d’Appello avrebbe omesso l’esame di fatti decisivi corrispondenti a quelli indicati nel secondo motivo di reclamo, e, all’uopo, ha provveduto a trascrivere le sette pagine in cui aveva articolato le proprie censure nel predetto motivo di reclamo, senza, tuttavia, minimamente illustrare il motivo ed indicare le ragioni per cui i fatti di cui il giudice di secondo grado avrebbe omesso l’esame avrebbero natura decisiva.
In proposito, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il ricorso per cassazione esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).
13. Con il quinto motivo è stato dedotto l’omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 di una serie di fatti decisivi oggetto di discussione nonché la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, in quanto la Corte d’Appello non aveva motivato sulle censure formulate nel secondo motivo, punti a e b del reclamo, e nel motivo 5 del reclamo punti a, c, d, g, l, m, o.
14. Anche questo motivo è inammissibile per le ragioni illustrate sopra, non essendo stati indicati i motivi per cui si tratterebbe di fatti decisivi ai fini della decisione e per non essere il motivo stato minimamente illustrato (Cass. n. 18421/2009).
15. Con il sesto motivo è stata dedotta la violazione degli art. 6 CEDU, artt. 24 e 111 Cost., per violazione del diritto di difesa e alla prova, per non avere la Corte d’Appello concesso il termine per dedurre se le sue istanze istruttorie, non consentendogli di introdurre mezzi di prova idonei a dimostrare circostanze decisive per la sua difesa e per la tutela degli interessi del minore.
16. Il motivo è inammissibile, oltre che per le ragioni già esposte al punto 14, anche per l’estrema genericità.
17. Con il ricorso incidentale, la sig.ra B. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.c. sul rilievo che la “modifica minima” della Corte di Appello non trova alcuna ragione logica, in quanto la stessa Corte di merito aveva affermato di condividere il percorso argomentativo del Tribunale.
Conclude la sig.ra B. che il pregiudizio è stato provato e non è quindi giustificato la riconduzione della vicenda di cui è causa alla fattispecie di cui all’art. 333 c.p.c.
18. Il ricorso incidentale è inammissibile.
La Corte d’Appello ha fornito una giustificazione (parimenti riportata nella parte narrativa) dell’attenuazione del provvedimento ablativo disposto dal Tribunale per i Minorenni che soddisfa il requisito del “minino costituzionale” e non è stata specificamente censurata dalla sig.ra B., le cui censure si appalesano quindi di merito.
In ragione della reciproca soccombenza delle parti sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti.
PQM
Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Compensa tra le parti le spese di lite.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021