Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27160 del 06/10/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25367-2019 proposto da:

G.K., elettivamente domiciliato *****, presso lo studio dell’avv.to ROBERTA CARRARO che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 25/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Il Tribunale di Venezia, con decreto pubblicato il 25 luglio 2019, respingeva il ricorso proposto da G.K., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).

2. Il richiedente, con riferimento ai motivi che lo avevano indotto ad espatriare, aveva dichiarato che suo fratello, per celebrare la festività il 20 maggio 2016 aveva preso un fucile da caccia del padre e recatosi in piazza aveva fatto accidentalmente partire un colpo, colpendo una bambina di nove anni. Quest’ultima, ferita alla testa, era stata portata in ospedale mentre il fratello era scappato e il ricorrente, che intanto era andato sul posto per capire cosa fosse successo, era stato assaltato dalle persone riunite in quel luogo e, durante l’aggressione, si era rotto il braccio destro e la gamba sinistra.

La folla, dopo aver assalito il ricorrente, era andata a casa del padre che intanto era riuscito a scappare con le sorelle e la madre. Il gruppo aveva bruciato l’abitazione e danneggiato la sua auto e il richiedente, a seguito delle minacce della famiglia della bambina, aveva deciso di andare a Lagos per poi abbandonare definitiva mente il paese. In caso di rientro in patria aveva timore di essere esposto alla vendetta della famiglia della bambina.

All’udienza del 20 marzo 2019 il ricorrente sentito dal Tribunale forniva ulteriori dettagli, confermando sostanzialmente quanto narrato dinanzi la commissione territoriale, aggiungendo che la famiglia della bambina aveva sporto denuncia.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato atteso che il racconto del richiedente non era credibile. La narrazione circa i motivi che lo avevano costretto all’espatrio era, infatti, troppo generica, confusa e piena di contraddizioni, in particolare nel descrivere la sua relazione con la ragazza. In ogni caso, i fatti non integravano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale né con riferimento alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato dato che la vicenda narrata, al di là della sua inattendibilità, non riportava alcuna forma di persecuzione, né a quella di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b).

Del pari, doveva essere rigettata la domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c). Dalle fonti internazionali, infatti, emergeva che la Nigeria era un paese nel quale non sussisteva alcun conflitto armato nel senso richiesto ai fini della suddetta protezione.

Infine, quanto alla richiesta concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il Tribunale evidenziava che non vi erano i presupposti per il suo accoglimento non avendo questi raggiunto un adeguato livello di integrazione sociale. Inoltre, il suo racconto non era stato ritenuto credibile.

2. G.K. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di cinque motivi di ricorso.

3. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3, e 7.

La censura attiene alla non corretta applicazione dei presupposti della prova per non aver ritenuto attendibile il documento prodotto dal ricorrente e attestante, con traduzione asseverata, un atto di polizia giudiziaria dell’autorità nigeriana a conferma della veridicità del racconto.

Il collegio, negando rilievo decisivo alla produzione documentale, sarebbe incorso in un’errata applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, omettendo di considerare lo sforzo di cooperazione del ricorrente a sostegno della propria attendibilità fornendo anche riscontri esterni.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

La censura attiene alla situazione sociopolitica della Nigeria che rientrerebbe nella nozione di cui all’art. 14, lett. c), essendoci un conflitto armato in atto. Inoltre, sarebbero sussistenti anche i presupposti per le altre forme di protezione sussidiaria, essendoci il rischio individuale di essere linciato dalla comunità.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 122 c.p.c..

La censura attiene alle fonti utilizzate dal Tribunale, alcune tratte solo da internet, citate in lingua inglese e senza traduzione asseverata.

3.1 I primi tre motivi di ricorso che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente sono inammissibili.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del richiedente costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ord. n. 3340 del 2019).

Allo stesso modo costituisce un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, quanto affermato dal Tribunale in ordine alla conferma della contraddittorietà del racconto sulla scorta della stessa documentazione prodotta dal ricorrente.

Il Tribunale di Venezia, dunque, ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento sugli elementi ritenuti più attendibili e non era tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).

Inoltre, Il Tribunale di Venezia ha fatto esplicito riferimento a fonti qualificate dalle quali ha tratto la convinzione che la Nigeria non sia una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato, benché la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito e anche non idonea, quanto ai restanti fatti rappresentati (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri officiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

La mera citazione delle fonti in lingua inglese non viola alcuna delle norme indicate dal ricorrente il quale peraltro non indica alcun elemento che valga a confutarle.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74,76 e 136.

La censura attiene alla revoca del beneficio del patrocinio a spese dello Stato per la manifesta infondatezza della domanda proposta con colpa grave.

Peraltro, tale erronea valutazione si fonderebbe su una valutazione collettiva ed indifferenziata delle tre ipotesi che giustificano la revoca del beneficio senza alcuna giustificazione.

4.1 In quarto motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, come interpretato da questa Corte a Sezioni Unite con la pronuncia n. 7155 del 2017.

Sul punto è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto: In materia di protezione internazionale, la revoca dell’ammissione al patrocinio e spese dello Stato è regolata dal principio generale per cui costituisce motivo di revoca dell’ammissione, sia l’avere agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, sia la rivalutazione giudiziale dell’iniziale giudizio prognostico sulla manifesta infondatezza della pretesa; la specifica previsione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 17, va intesa, pertanto, nel senso che è da ritenere sufficiente, ai fini della revoca, il richiamo operato dal giudice del merito alle ragioni dell’infondatezza della domanda (Sez. 6-2, Ord. n. 27203 del 2020).

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7, da anteporre alla decisione della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con conseguente nullità del decreto impugnato.

L’omissione del presupposto amministrativo preparatorio alla decisione della commissione territoriale si rifletterebbe in una lesione del diritto di difesa del ricorrente invalidando la decisione di rigetto della protezione. Se il ricorrente avesse avuto l’avviso di avvio del procedimento ragionevolmente avrebbe potuto dedurre meglio e documentare i presupposti della propria richiesta.

5. In quinto motivo di ricorso è inammissibile.

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte: “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Nel provvedimento impugnato non vi è alcun cenno alla suddetta questione che, pertanto, è inammissibile non potendo essere proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione.

6. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472