LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24812/2019 R.G. proposto da:
B.T.T., rappresentato e difeso dall’avv. Michele Carotta, con domicilio in Vicenza, Contrà S. Stefano n. 15;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2511/2019, depositato in data 18.6.2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.2.2021 dal Consigliere Fortunato Giuseppe.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Venezia, confermando la pronuncia di primo grado, ha definitivamente respinto la richiesta di protezione internazionale proposta da B.T.T..
Il ricorrente, proveniente dalla Costa D’Avorio, sosteneva di aver abbondato il paese a seguito dell’omicidio del padre e per aver egli stesso subito un’aggressione per ragioni politiche e religiose.
Il Giudice del merito ha ritenuto che l’intera vicenda fosse implausibile e che non fosse stato adempiuto l’onere di allegazione e prova gravante sul richiedente asilo. Per tali motivi ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b)), mentre, riguardo all’ipotesi sub c) dell’art. 14, ha escluso che la Costa d’avorio fosse interessata da un clima di violenza indifferenziata.
Quanto alla protezione umanitaria, il giudice di merito ha ritenuto insussistente una personale e specifica condizione di vulnerabilità legata al mancato godimento dei diritti fondamentali nel paese di origine, reputando irrilevante l’integrazione sociale e lavorativa conseguita in Italia.
Per la cassazione della sentenza B.T.T. propone ricorso in tre motivi.
Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia, letteralmente, la nullità della sentenza per violazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il ricorrente aveva compiuto ogni sforzo per documentare la domanda, producendo atti e foto, neppure esaminati dai giudici di merito, che avrebbero disatteso l’obbligo di svolgere un ruolo attivo nell’accertamento dei fatti. La stessa ampiezza dell’obbligo di compiere ogni ragionevole sforzo per documentare la domanda andava scrutinata in relazione alle condizioni personali del richiedente asilo, al contesto culturale e sociale di partenza.
Il motivo è inammissibile.
Il Giudice di merito ha vagliato anzitutto la coerenza e la plausibilità delle vicende rappresentate in giudizio, rilevando le numerose lacune ed imprecisioni delle dichiarazioni, contrastanti anche con informazioni desunte da fonti internazionali.
Le censure del ricorrente, oltre che parziali, appaiono generiche nel punto non specificano alla luce di quali elementi di contesto o personali il Giudice di merito avrebbe dovuto analizzare le dichiarazioni del richiedente asilo e quali ostacoli oggettivi avessero impedito di documentare la domanda.
In definitiva, il giudizio di inattendibilità della vicenda rappresentata in giudizio sorregge validamente la statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria con riferimento alle ipotesi sub D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b).
In tema di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve – difatti – avere innanzi tutto ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona, e qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, (art. 3, comma 5), non occorre procedere ad alcun approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. 16925/2018; Cass. 4892/2019). Il dovere di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, gravante sul giudice, è – in ogni caso – circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poiché è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio, egli non può essere chiamato – né, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.
La valutazione di non credibilità della narrazione integra – in definitiva -un’autonoma ed autosufficiente ratio decidendi della sentenza impugnata che, se non (o, come in questo caso, inammissibilmente) censurata, è destinata a consolidarsi e a precludere, in sede di impugnazione, lo scrutinio dei motivi inerenti i profili sostanziali della domanda di protezione, rendendola di per sé insuscettibile di accoglimento (in termini, Cass. 3237/2019; Cass. 33096/2018; Cass. 33137/2018; Cass. 33139/2018; Cass. 21668/2015).
2. Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 14 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il Giudice di merito erroneamente ritenuto che la Costa D’avorio fosse un paese sostanzialmente sicuro, e per aver respinto la protezione umanitaria benché il ricorrente, in caso di rientro, sarebbe esposto al rischio di gravi violazioni dei diritti umani, non godendo di alcuna protezione. Il rigetto della domanda avrebbe poi cagionato un’illegittima recisione di ogni rapporto con il paese di approdo, nel cui contesto sociale e lavorativo il ricorrente si era ormai integrato. Il motivo è inammissibile.
La censura mira, in primis, a confutare l’accertamento in fatto svolto dal Giudice di merito riguardo all’insussistenza, nel paese di provenienza dell’interessato, un clima di violenza indiscriminata, contrapponendo alle informazioni aggiornate, desunte da fonti accreditate, utilizzate dal tribunale, solo taluni contrari precedenti di merito.
Ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può però procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte (Cass. 14307/2020).
In definitiva, il ricorso propone, in parte qua, una diversa rappresentazione delle condizioni di sicurezza interna del paese, che è questione di mero fatto.
Le critiche del ricorrente non colgono poi la ratio della pronuncia in punto di protezione umanitaria, avendo la Corte distrettuale posto in risalto, in base alle COI (Country of origin information) menzionate in sentenza, come non fosse affatto ravvisabile alcun rischio di effettiva compromissione del nucleo essenziale dei diritti fondamentali in caso di rientro in patria (cfr. sentenza pag. 11).
3. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La sentenza sarebbe fondata su argomentazioni tautologiche e aprioristiche quanto alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale.
Anche questa censura è inammissibile poiché, nel lamentare il carattere apodittico delle argomentazioni della sentenza, finisce per contestarne la sufficienza, profilo su cui non è attualmente ammesso alcun sindacato.
La disposizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la cui riformulazione, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. con L. n. 134 del 2012, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
E’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. s.u. 8053/2014).
Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 2100,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021