Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27179 del 06/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18609/2019 proposto da:

H.A., elettivamente domiciliato in Roma, viale Angelico, n. 38, presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno (C.F. *****), in persona del Ministro pro tempore elettivamente domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1572/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 08/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2021 dal Consigliere VELLA Paola.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza n. 1572 dell’8 aprile 2019, la Corte d’appello di Milano ha confermato l’ordinanza con cui il Tribunale di Milano aveva rigettato le domande di protezione internazionale o umanitaria proposte dal cittadino bengalese H.A., il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal Bangladesh nel 2015 per le condizioni di estrema povertà in cui versava la sua famiglia e di non potervi fare ritorno sia l’impossibilità di ripagare l’ingente debito contratto per affrontare il viaggio verso la Libia e poi l’Italia, sia per il timore di essere stato denunciato in occasione di una manifestazione, mentre lavorava in un hotel di Dacca, cui erano seguiti scontri con la polizia.

1.1. I giudici di secondo grado hanno ritenuto non del tutto attendibile il racconto del ricorrente e comunque insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (stante l’assenza di riscontri sul presunto coinvolgimento in una ipotesi di reato), della protezione sussidiaria (non essendo i fatti “attribuibili a violenza istituzionalizzata a sistema da parte di una fazione politica”) o di quella umanitaria (per assenza di prove su specifici profili di vulnerabilità e insufficienza dell’integrazione sociale in Italia, non compiutamente provata).

2. Il ricorrente ha impugnato la decisione con cinque motivi di ricorso per cassazione, cui il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

2.1. Con il primo motivo si denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’omesso esame della “condizione di pericolosità e della situazione di violenza generalizzata esistenti in Bangladesh”, nonché “l’omessa consultazione di fonti”, vendo i giudici di merito ritenuto sussistere una condizione di tranquillità nel paese di origine del ricorrente e l’assenza di persecuzioni in danno dei cittadini senza però basare tale convincimento sulla dovuta analisi delle finti informative”.

2.2. Il secondo mezzo censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “l’omesso/erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”, poiché, ove anche ritenuta non credibile la storia di “persecuzione personale” narrata, il giudice avrebbe dovuto approfondire la situazione generale del paese”.

2.3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la “mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio politiche del paese di origine”, nonché “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Omesso esame delle fonti informative. Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.. Mancata attualizzazione delle fonti informative”, per avere fatto la corte d’appello esclusivo riferimento a una Risoluzione del Parlamento Europeo risalente al 2014, che peraltro nemmeno rappresenta una fonte sulla situazione del Paese di origine del ricorrente, senza considerare l’esistenza delle apposite C.O.I., come il rapporto Amnesty International del 2017, attestanti come “la condizione del paese di origine del ricorrente sia assolutamente pericolosa e tale condizione avrebbe dovuto essere valutata”.

2.4. Con il quarto motivo si denunzia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in uno al “difetto di motivazione e travisamento dei fatti”, per “l’assoluta assenza di istruttoria in merito alle condizioni a del paese di origine del ricorrente” che ha ingenerato “una ipotesi di motivazione solo apparente”.

2.5. Il quinto mezzo lamenta infine, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, che la corte d’appello avrebbe “errato nel valutare l’applicabilità al ricorrente della protezione, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi”, con “Omessa applicazione dell’art. 10 Cost.”.

3. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del secondo e del quinto motivo.

3.1. Invero il secondo motivo, che per quanto concerne la mancata acquisizione delle cd. Country of Origin Information (COI) è assorbito dal primo, presenta per il resto censure del tutto generiche, contestando la mancata o erronea valutazione delle dichiarazioni rese dinanzi alla commissione territoriale che non vengono nemmeno puntualmente trascritte.

3.2. Anche il quinto motivo difetta di specificità, limitandosi – in concreto – a rilevare che “la prova che le condizioni di vita del ricorrente nel paese di origine sono del tutto inadeguate è in re ipsa”, in quanto sarebbe “contraddittoria ed inverosimile la scelta del ricorrente di percorrere un viaggio così tanto lungo, incerto e rischioso per la propria vita, se nel Paese di origine godesse di condizioni di vita sopra la soglia di accettabilità ed adeguatezza”. In realtà, la protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – richiede il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale (Cass. 23778/2019, 1040/2020), escludendo che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari possa essere riconosciuto solo in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza, ovvero considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).

4. I restanti motivi primo, terzo e quarto – che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente – sono invece fondati.

4.1. La motivazione circa il diniego di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, risulta infatti apparente, essendosi la corte territoriale limitata ad affermare (testualmente) che, “anche considerando la situazione del paese di origine dell’appellante, non si ritengono sussistere i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria: invero pur dandosi atto della compromessa situazione relativa ai rapporti tra contrapposti partiti politici esistenti in Bangladesh – confermata in particolare dalla Risoluzione del parlamento Europeo sulle recenti elezioni in Bangladesh (2014/2516 RSP) – ritiene la Corte che il contesto prospettato dall’appellante non giustifichino il riconoscimento della protezione internazionale, nella forma della protezione sussidiaria”.

4.2. Una simile motivazione, oltre ad apparire tautologica, prescinde completamente dall’acquisizione e disamina di qualsivoglia C.O.I., in contrasto con l’orientamento di questa Corte per cui il giudice di merito ha il dovere di acquisire informazioni attendibili e aggiornate rispetto a quelle vicende e condizioni del paese di origine (cd. COI), come lo stato di violenza indiscriminata derivante dal conflitto, che determinano un rischio anche a prescindere dalla storia individuale narrata, e per la sola presenza del soggetto sul territorio (Cass. 8819/ 2020, 11103/2019, 13858/2018).

4.3. Al riguardo è stato affermato che “Le informazioni relative alla situazione esistente nel paese di origine del richiedente la protezione internazionale o umanitaria che il giudice di merito trae dalle C.O.I. o dalle altre fonti informative liberamente consultabili attraverso i canali informatici vanno considerate, in ragione della capillarità della loro diffusione e della facile accessibilità per la pluralità di consociati, alla stregua del fatto notorio; il dovere di cooperazione istruttoria che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, pongono a carico del giudice, nella materia della protezione internazionale ed umanitaria, impone allo stesso di utilizzare, ai fini della decisione, C.O.I. ed altre informazioni relative alla condizione interna del paese di provenienza o rimpatrio del richiedente, ovvero della specifica area di esso, che siano adeguatamente aggiornate e tengano conto dei fatti salienti interessanti quel Paese o area, soprattutto in relazione ad eventi di pubblico dominio, la cui mancata considerazione costituisce, in funzione della loro oggettiva notorietà, violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2” (Cass. 15215/2020).

4.4. tale accertamento può peraltro rilevare anche sotto l’aspetto della protezione umanitaria prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, – applicabile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29460/2019) – la quale è una misura atipica e residuale, nel senso che copre situazioni, da individuare caso per caso, nelle quali, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), non possa disporsi l’espulsione o debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 32044/2018, 23604/2017).

5. Si impone, dunque, la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi di ricorso primo, terzo e quarto, dichiara inammissibili il secondo e il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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