LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15142-2020 r.g. proposto da:
H.T. (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo Tacchi Venturi, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Verona, Via Stella n. 19;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, depositata in data 9.4.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/6/2021 dal Consigliere Dott. Amatore Roberto.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto da H.T., cittadino del Pakistan, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.
La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in Pakistan; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché minacciato in quanto appartenente ad un gruppo integralista religioso che perseguita i sunniti.
La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che, anche a voler superare evidenti profili di inammissibilità del gravame per difetto di specificità: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e contraddittorio; b) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, perché il ricorrente non aveva dimostrato una condizione di soggettiva vulnerabilità e posto che non vi era una emergenza sanitaria in Pakistan. 2. La sentenza, pubblicata il 9.4.2020, è stata impugnata da H.T. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis, in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria.
2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per l’impiego di fonti informative non idonee ai fini della valutazione della fondatezza della domanda di protezione sussidiaria.
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1 n primo motivo è inammissibile.
La censura – articolata in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria – è versata in fatto e volta a far ripetere alla corte di legittimità il giudizio di merito sulla sussistenza delle condizioni di soggettiva vulnerabilità, attraverso generiche doglianze che neanche spiegano quali fossero le condizioni di vulnerabilità allegate nel corso del giudizio di merito. E ciò a fronte di una motivazione adeguata che esclude in radice la sussistenza del predetto requisito di vulnerabilità del richiedente.
4.2 Il secondo motivo è inammissibile posto che – anche a voler superare il pur assorbente profilo di inammissibilità nella formulazione della censura come omesso esame di fatto decisivo (anziché come vizio di omessa pronuncia) – emerge chiaramente dalla lettura del provvedimento impugnato che il motivo di gravame articolato dal ricorrente, in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria, riguardava in verità l’ipotesi disciplinata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b, e non già la diversa ipotesi regolata dall’art. 14, lett. c, medesimo decreto, sicché la mancata pronuncia della corte di merito sul punto risulta legittima e non censurabile, essendosi invero pronunciata la corte di appello secondo quanto devoluto come mezzo di gravame in appello.
4.3 il terzo motivo è inammissibile perché la mancata censura in ordine al giudizio di non credibilità del racconto esclude in radice la necessità di approfondimenti istruttori tramite l’acquisizione di c.o.i..
Sul punto giova ricordare che, come ancora chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benché sfornita di prova (perché non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015).
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021