LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 26647-2020 r.g. proposto da:
F.D., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo Quadruccio, con cui elettivamente domicilia in Roma, Via Bombelli n. 29/b, presso lo studio dell’Avvocato Francesco Verrastro.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro.
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, depositata in data 2.1.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/6/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
CHE:
1.Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da F.D., cittadino della Nigeria, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso l’ordinanza emessa in data 20.10.2017 dal Tribunale di Bologna, con la quale erano state respinte le domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate dal richiedente.
La Corte di merito ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato nel villaggio Ekebe nei pressi di Benin City; ii) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese perché temeva di essere arrestato in seguito alla denuncia presentata contro di lui dal proprietario di un immobile incendiato per sua colpa.
La Corte territoriale ha, poi, ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, perché la minaccia rappresentata come ragione dell’espatrio non rivestiva i requisiti di attualità e di concretezza; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State, stato di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che il richiedente non aveva allegato alcun profilo di soggettiva vulnerabilità.
2. La sentenza, pubblicata il 2.1.2020, è stata impugnata da F.D. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
CONSIDERATO
CHE:
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Si evidenzia che la Corte di merito non aveva preso in considerazione le minacce subite dal richiedente da parte del proprietario dell’immobile incendiato nonostante le allegazioni dedotte sul punto dal ricorrente stesso sia in primo che in secondo grado.
1.1 La doglianza è inammissibile.
Sul punto giova ricordare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Ciò posto, osserva il Collegio che la corte felsinea ha esaminato la questione – del cui omesso esame ora si duole il ricorrente – ritenendo, sulla base della valutazione delle dichiarazioni rese dal richiedente in sede di audizione, che la ragione dell’espatrio non fosse collegata in realtà al timore della vis vendicativa del predetto proprietario dell’immobile danneggiato, quanto piuttosto al pericolo dell’arresto. Di talché non è neanche astrattamente prospettabile il denunciato vizio di omesso esame di “fatto decisivo” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, posto che il fatto è stato compiutamente esaminato e ritenuto non rilevante proprio perché non confermato dal richiedente in sede di audizione.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, 1 comma, e art. 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27. Si evidenzia da parte del ricorrente che la corte di appello non avrebbe considerato il racconto non credibile, ritenendolo solo privo di attualità e di concretezza il rischio denunciato. Osserva ancora il ricorrente che la corte di merito avrebbe errato nel ritenere di natura privata la vicenda raccontata posto che, a fronte di tale valutazione di credibilità, il giudice del gravame avrebbe dovuto verificare officiosamente la capacità delle forze di polizia di proteggere e garantire anche la sua incolumità come soggetto minacciato da un privato. Si denuncia infine come erronea la valutazione di sicurezza interna della Nigeria espressa dalla corte territoriale.
2.1 Il motivo è inammissibile.
In realtà, le censure prospettate dal ricorrente trascurano la ratio decidendi della motivazione impugnata che, al di là della valutazione di credibilità del racconto, si fonda sull’accertamento della mancanza di una minaccia grave ed attuale in danno del richiedente, accertamento quest’ultimo che – se non adeguatamente censurato – rende superflua anche la questione della verifica officiosa da parte dei giudici del merito della situazione di protezione dei cittadini da parte delle autorità statali nigeriane.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27.
3.1 Va evidenziato, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).
Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della Nigeria, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato, anche tramite la consultazione di qualificate fonti informative, che negli Stati del sud della Nigeria non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.
4. Il ricorrente propone inoltre un quarto motivo con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, art. 8 CEDU, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al diniego dell’invocata protezione umanitaria.
4.1 Il motivo è inammissibile in quanto volto a richiedere una nuova valutazione di merito della ricorrenza dei presupposti applicativi della predetta tutela, e ciò con particolare riferimento al profilo dell’integrazione sociale e della soggettiva vulnerabilità del richiedente, scrutinio che invece è inibito alla corte di cassazione.
6. Il quinto mezzo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 4, dell’art. 132 c.p.c., per essere la motivazione resa dalla Corte di appello meramente apparente.
6.1 Il motivo non supera il vaglio di ammissibilità.
Sul punto non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; N. 8053 del 2014; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019). Orbene, osserva la Corte che se è vero, per un verso, che la motivazione resa dalla corte felsinea è stata articolata in modo dettagliato ed esaustivo essendo comprensibile il percorso logico seguito per lo scrutinio della vicenda personale del ricorrente -, per altro verso, il ricorrente intende solo sollecitare questa Corte ad un’irricevibile rivisitazione della decisione di merito.
Ne consegue la complessiva declaratoria di inammissibilità del ricorso. Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021