LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VANNUCCI Marco – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15150/2015 proposto da:
B.M., T.F., elettivamente domiciliati in Roma, Via Crescenzio n. 95, presso lo studio dell’avvocato Piccarozzi Sergio, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giusti Gilberto, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
Banca Popolare di Vicenza S.c.p.a., già Cariprato s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Po n. 25/b, presso lo studio dell’avvocato Todaro Antonino, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sigillò Massara Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2011/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 10/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/01/2021 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.
RILEVATO
che:
B.M. e T.F. convenivano in giudizio, davanti al Tribunale di Prato, la Banca Popolare di Vicenza s.c.p.a. (quale incorporante per fusione della Cariprato spa), presso la quale, con una pluralità di ordini eseguiti tra il settembre 1999 e il dicembre 2001, avevano acquistato obbligazioni emesse dallo Stato argentino per complessivi Euro 480.030,76; gli attori lamentavano la carenza delle informazioni ricevute sulla natura e sulla rischiosità degli strumenti finanziari in oggetto, non allineati al loro abituale profilo, sicché concludevano per la dichiarazione di nullità o la risoluzione per inadempimento del contratto quadro d’intermediazione e dei singoli ordini d’acquisto ovvero per l’annullamento dei contratti per vizio del consenso ex art. 1427 c.c., ovvero per l’accertamento dell’illecito civile e/o penale ravvisabile nei comportamenti della banca, con conseguente condanna della medesima alla restituzione del controvalore investito, oltre interessi, rivalutazione e spese.
Il tribunale rigettava la domanda, perché – pur considerando insoddisfatto l’onere della prova gravante sulla banca circa l’esatto adempimento degli obblighi d’informativa previsti dalla legge – non era stato dimostrato il nesso causale tra inadempimento e danno non avendo gli attori provato che all’esito di un’informativa esauriente avrebbero evitato quel tipo d’investimento.
Avverso la predetta sentenza, B.M. e T.F. proponevano appello deducendo che la prova positiva del nesso causale tra inadempimento e danno andava colta nel carattere abnorme della scelta consapevole d’investire in un prodotto finanziario ad alto rischio; inoltre, la circostanza che fossero dipendenti della banca non li rendeva esperti investitori, in quanto all’epoca essi svolgevano mansioni generiche che non richiedevano particolare competenza finanziaria né l’eventuale propensione al rischio ne rivelava una particolare conoscenza del mercato finanziario; inoltre, dagli atti risultava che la vendita da parte della banca era avvenuta in contropartita diretta, quindi, la banca aveva venduto titoli che già deteneva, in situazione di conflitto d’interessi, anche se la vendita era avvenuta alla quotazione corrente.
La Corte distrettuale fiorentina rigettava il gravame. A sostegno di tale decisione, la predetta Corte statuiva, in primo luogo, che la rilevanza di una situazione di conflitto d’interessi in capo alla banca, quand’anche esistente, andava esclusa nella specie, sia ai fini dell’annullamento del contratto quadro d’intermediazione finanziaria che ai fini della sussistenza dell’inadempimento delle obbligazioni facenti capo all’intermediario, in quanto la compravendita era avvenuta al prezzo corrente di mercato, per cui la vendita in contropartita diretta era una mera variante esecutiva rispetto alla vendita in conto terzi. Mentre, in riferimento al rispetto degli obblighi d’informativa e di protezione del cliente, anche se poteva ammettersi una certa lacunosità probatoria in ordine al rilascio di un’informativa adeguata da parte della banca, tuttavia l’eventuale inadempimento non veniva reputato né grave né capace d’incidere a sufficienza sul piano causale, per determinare la risoluzione dei contratti d’investimento.
B.M. e T.F. ricorrono per cassazione contro la predetta sentenza della Corte fiorentina affidando l’impugnazione a tre motivi. Resiste con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, la Banca Popolare di Vicenza s.c.p.a..
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo, i ricorrenti deducono il vizio di nullità della sentenza o del procedimento e violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto erroneamente, la Corte d’appello aveva esaminato solo la domanda di risarcimento danni previa risoluzione del contratto d’intermediazione e non le domande meramente risarcitorie senza portata risolutoria, ritenendole, infondatamente, non sufficientemente specifiche, ai sensi dell’art. 342 c.p.c..
Con il secondo motivo, i ricorrenti prospettano la violazione di norme di diritto, in particolare del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, degli artt. 29 e 31 reg. 11522/98, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché erroneamente, la Corte d’appello aveva ritenuto che i ricorrenti avessero espresso un consenso informato, in realtà insussistente e non risultante da un ordine impartito per iscritto, secondo le norme di cui alla rubrica.
Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 21 TUF, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte d’appello aveva condiviso la decisione di primo grado di rigetto della domanda, ritenendo che, pur in presenza dell’inadempimento della banca agli obblighi normativi, non vi era necessità per l’intermediario di fornire specifiche informative agli investitori per ogni singolo investimento, dal momento che la propensione all’acquisto trovava giovamento nelle conoscenze accumulate nel tempo dagli investitori, attraverso il monitoraggio degli investimenti pregressi.
Il primo motivo è fondato, in quanto al di là della rubrica (che richiama l’omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c.), il ricorrente svolge la censura argomentando avverso la statuizione della Corte distrettuale sul difetto di specificità dei motivi di gravame, ex art. 342 c.p.c., in riferimento alle domande meramente risarcitorie; in particolare, per quanto riportato in ricorso anche in riferimento alle difese svolte dall’appellata Cariprato spa sul punto, il motivo di gravame sul mancato accoglimento delle domande meramente risarcitorie risulta essere stato sufficientemente articolato e specificato, avendone l’appellante argomentato il fondamento, così che erronea deve reputarsi la pronuncia d’inammissibilità della medesima Corte del merito, perché aveva ritenuto che non fosse stata svolta alcuna concreta ragione di censura avverso la motivazione reiettiva, in parte qua, di primo grado, relativamente alle predette domande risarcitorie.
Il secondo e terzo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, perché connessi, appaiono fondati.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, “In materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di “default” dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno” (Cass. n. 12544/17, vedi anche Cass. n. 15936/18, sulla necessità di fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, con riferimento alla natura di essi e ai caratteri propri dell’emittente, pena l’inadempimento sanzionabile al di là dell’adeguatezza dell’investimento, vedi ancora Cass. n. 5250/16, sul rifiuto di fornire le informazioni sugli obiettivi d’investimento e sulla propria propensione al rischio da parte dell’investitore che non esime l’intermediario, dall’adempiere i medesimi obblighi informativi; né rileva – secondo Cass. n. 4727/18 – l’elevata propensione al rischio dell’investitore dalla quale desumere che quest’ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso).
Nel caso di specie, nonostante la Corte d’appello abbia riscontrato una carenza probatoria da parte della banca nel fornire un’informazione adeguata agli investitori (v. p. 10 della sentenza impugnata), la stessa ha tuttavia ritenuto che le informazioni su un ente sovrano come la Repubblica di Argentina potessero essere facilmente rinvenibile dagli investitori, attingendo a fonti largamente diffuse ed inoltre, ha ritenuto che i ricorrenti, quali dipendenti della banca erano, comunque, in contatto con colleghi professionalmente attrezzati per fornire suggerimenti e consigli; ed ancora, i giudici d’appello hanno affermato che la banca non avrebbe potuto fornire maggiori informazioni di quelle che erano di pubblico dominio e già in possesso dei ricorrenti, perché essi già conoscevano il prodotto per averlo acquistato in precedenza e dovevano essere edotti di non dover insistere nella stessa strategia d’investimento al fine di evitare ulteriori perdite.
Poiché la banca non ha, nella specie, fornito le informazioni necessarie per rendere gli odierni investitori consapevoli delle scelte effettuate, le superiori statuizioni della Corte d’appello fiorentina si pongono in contrasto con quanto affermato da questa Suprema Corte secondo cui, in riferimento agli obblighi informativi, essi sono “particolarmente estesi e penetranti, giacché diretti in generale a consentire all’investitore di operare investimenti pienamente consapevoli, avendo acquisito l’intero ventaglio delle informazioni, specifiche e personalizzate, che, di volta in volta, alla luce del parametro di diligenza applicabile, l’intermediario debba fornire in ragione dell’investimento prescelto, tenuto conto tanto delle caratteristiche dell’investitore, quanto di quelle del titolo verso cui si indirizza l’investimento, quantunque attuato nel contesto di un rapporto di sola negoziazione, ricezione e trasmissione di ordini (Cass. n. 14884/2017; esclusa, ma nel quadro del successivo regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, l’ipotesi della cd. execution only: Cass. n. 14884/2017), sicché, una volta doverosamente acquisite le informazioni necessarie (Cass. n. 8619/2017), l’intermediario deve esemplificativamente rendere edotto l’investitore del rating, della eventuale offering circolar e delle caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato (Cass. n. 8619/2017), di eventuali situazioni di grey market (Cass. n. 8314/2017), e se del caso finanche del rischio di default dell’emittente, sempre che resti apprezzabile da esso intermediario (Cass. n. 12544/2017, e, riassuntivamente, Cass. n. 1376/2016), senza che un deficit informativo si possa giustificare sulla base della dimensione locale dell’intermediario medesimo e della non partecipazione diretta alla vendita dei titoli (Cass. n. 8619/2017). Dunque i menzionati obblighi informativi non sono certo soddisfatti dalla sola consegna del prospetto generale dei rischi degli investimenti in strumenti finanziari, né da altre comunicazioni di tipo generico e standardizzato (Cass. n. 9066/2017: ma la standardizzazione è invece espressamente considerata dal regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, art. 27), ovvero dalla semplice sottoscrizione, da parte del cliente, della formula “operazione non adeguata per tipologia”, così come dalla previsione, da parte della banca, di una clausola “rischio paese” (Cass. n. 8314/2017), od altresì dall’indicazione contrattuale del massimo rischio contrattualmente previsto (Cass. n. 8089/2016)”, cfr. Cass. n. 10111/18, ma vedi anche Cass. n. 16126/20.
Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia.
PQM
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
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