Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.27216 del 07/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11575/2018 proposto da:

BNL – Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Gramsci n. 54, presso lo studio dell’avvocato Graziadei Gianfranco, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Trotta Francesco, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

New Bo.Par. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Bertoloni n. 30, presso lo studio dell’avvocato Liparota Fabio, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 11364/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, del 06/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/05/2021 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO;

lette le conclusioni scritte (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020) del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che chiede rigettarsi il ricorso.

FATTO E DIRITTO

la Corte osserva:

1. – Con citazione notificata il 5 agosto 2014 New Bo.Par. s.r.l. ha evocato in giudizio Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. innanzi al Tribunale di Roma deducendo che in data 28 febbraio 2007, su suggerimento di alcuni funzionari della banca, aveva sottoscritto un modulo contrattuale preventivamente predisposto dalla controparte, contenente le condizioni relative a un contratto quadro per operazioni su strumenti finanziari derivati. Nella detta citazione New Bo.Par. ha affermato che il contratto di IRS (interest rate swap) dedotto in lite presentava “molteplici elementi di criticità”, contemplando l’applicazione di commissioni occulte e una configurazione del sinallagma che escludeva ab origine la bilateralità dell’alea, giacché questa risultava posta a carico esclusivo di essa attrice; in tal senso, la società istante ha prospettato la nullità del contratto in quanto privo di causa e, comunque, rivolto al perseguimento di interessi non meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c.. L’attrice ha poi lamentato che nella fattispecie la Banca Nazionale del Lavoro aveva gravemente disatteso gli obblighi di correttezza, trasparenza e informazione gravanti sugli intermediari finanziari, omettendo di renderla edotta circa le caratteristiche del contratto che si accingeva a sottoscrivere, circa la reale portata delle obbligazioni assunte e circa i rischi che vi erano connessi; ha negato che gli obblighi informativi potessero essere esclusi dalla propria natura di operatore qualificato, dal momento che tale definizione non rispondeva alla realtà dei fatti ed era stata inserita dalla controparte nel modulo contrattuale senza alcuna verifica preventiva in proposito. Ha domandato, dunque: in via principale, la declaratoria di nullità del contratto quadro e del diritto di essa istante di ripetere le somme indebitamente versate; sempre in via principale, la declaratoria di responsabilità precontrattuale della Banca Nazionale del Lavoro per violazione degli obblighi di informazione, con condanna della convenuta stessa al risarcimento dei danni; in via subordinata, l’annullamento del contratto quadro per la totale assenza di informazione circa i rischi dei contratti proposti, oltre che l’accertamento del diritto alla restituzione delle somme corrisposte senza titolo alla controparte.

Nella resistenza della banca, il Tribunale, dopo aver disposto consulenza tecnica d’ufficio, ha pronunciato, in data 5 giugno 2017, sentenza con cui ha dichiarato la nullità del contratto di swap concluso il 28 febbraio 2007 e per l’effetto, previa compensazione, fino a concorrenza reciproca, tra il credito restitutorio dell’attrice e quello azionato dalla convenuta, ha condannato la Banca Nazionale del Lavoro al pagamento in favore di New Bo.Par. della somma di Euro 99.740,19, oltre interessi.

In estrema sintesi, il Tribunale ha osservato che né il documento contrattuale avente ad oggetto la specifica operazione in contestazione, né il contratto quadro facevano menzione dei costi impliciti del negozio. Richiamandosi alla consulenza tecnica d’ufficio, ha ricordato che il fair value del rapporto, al momento della sottoscrizione del contratto, era negativo per il cliente in ragione di Euro 15.092,00, che la banca convenuta non aveva riconosciuto alcunché a titolo di upfront e che in ragione di ciò l’operazione prospettava remunerazioni occulte per l’importo sopra indicato. Ha concluso che si era addivenuti alla sottoscrizione dell’IRS senza che la società attrice fosse stata posta in condizione di prefigurarsi i rischi assunti e la misura degli stessi: misura incisa dai predetti costi occulti, visto che il tasso fisso cui andavano commisurati i versamenti del cliente risultava essere superiore rispetto a quelli di mercato; il che generava una remunerazione, per la banca, dei costi dell’operazione, con differenziali più onerosi per la società investitrice e un valore del derivato per essa negativo. Il Tribunale ha così ritenuto che il contratto di interest rate swap difettasse di un'”alea razionale”, ovvero fondata su di una consapevole assunzione del rischio.

2. – La sentenza è stata gravata di impugnazione dalla Banca Nazionale del Lavoro. Nel giudizio di appello si è costituita New Bo.Par..

La Corte di appello di Roma, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., ha dichiarato inammissibile il gravame, ritenendo che lo stesso non avesse una ragionevole probabilità di essere accolto.

3. – La Banca Nazionale del Lavoro ha impugnato per cassazione, con cinque motivi, sia l’ordinanza della Corte di appello che la sentenza del giudice di prima istanza. Uno solo è il motivo di impugnazione proposto avverso il provvedimento del giudice del gravame, mentre quelli fatti valere contro la decisione di primo grado sono quattro. New Bo.Par. resiste con controricorso.

4. – Il primo motivo, svolto avverso l’ordinanza di inammissibilità della Corte di Roma, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Lamenta l’istante che, a fronte di una espressa impugnazione, da parte della Banca Nazionale del Lavoro, della sentenza di primo grado per violazione della norma processuale sopra indicata, la Corte distrettuale si sia limitata a richiamare la giurisprudenza che, a suo avviso, “escluderebbe il potere del giudice di appello di mutare ex officio la qualificazione del primo giudice” con una motivazione inidonea a rivelare la ratio decidendi “anche sotto l’aspetto del fatto”. La censura muove dalla doglianza, formulata dalla ricorrente nel proprio atto di appello, con riguardo all’accertata nullità del contratto di swap: nullità che, ad avviso della banca, il Tribunale non avrebbe potuto dichiarare, essendo il medesimo stato richiesto della declaratoria della sola nullità del contratto quadro. La ricorrente deduce, inoltre, che la Corte di merito avrebbe mancato di decidere anche il motivo di censura della sentenza di primo grado con riguardo al tema della nullità parziale del contratto di swap: ricorda, infatti, di aver dedotto, col proprio atto di appello, che il Tribunale aveva mancato di considerare che nella fattispecie si sarebbe potuta configurare, a tutto voler concedere, una invalidità parziale del contratto con riguardo al tema delle commissioni implicite. La ricorrente oppone infine che il giudice di appello, nell’affermare che il Tribunale avrebbe fatto corretta applicazione dei principi di diritto validi nella fattispecie con riferimento alla valutazione dei risultati della disposta consulenza tecnica, avrebbe trascurato di considerare che le emergenze dell’indagine peritale disegnavano un contesto assolutamente diverso, il quale escludeva la circostanza per cui il derivato oggetto di causa potesse assimilarsi a una scommessa; rileva che il Tribunale avrebbe trasformato l’obbligo informativo, che non influisce sulla validità del contratto, ma che può rilevare ai soli fini dell’inadempimento contrattuale, “in un elemento causale, necessario a pena di nullità”.

Il secondo mezzo, come i successivi, riguarda la sentenza del Tribunale. La ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325,14181343 c.c., in tema di nullità del contratto per difetto di causa, nonché la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 5. La banca, dopo aver ricordato che il giudice di prime cure aveva stabilito che nel derivato l’oggetto del contratto è costituito uno scambio di differenziali a determinate scadenze, mentre la causa del contratto “risiede in una scommessa delle parti”, osserva che una tale ricostruzione non sarebbe desumibile dalla disciplina di legge, la quale si limita a chiarire che ai derivati non si applica la disciplina dell’art. 1933 c.c., in tema di debiti di gioco, in tal modo garantendo l’azionabilità dell’impegno contenuto nel derivato indipendentemente dal carattere aleatorio del contratto concluso. Viene osservato che nel contratto oggetto di causa l’alea “era ab origine bilaterale ed equilibrata” e che, in ogni caso, la mancanza di alea bilaterale non avrebbe potuto determinare la nullità negoziale per difetto di causa. La società istante rileva, infine, che, in assenza di indici normativi specifici, “non pare giustificato il ricorso allo strumento di tutela della nullità radicale del contratto per violazione di regole di condotta gravanti sull’intermediario” e menziona, in proposito, l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, citando la pronuncia n. 26724 del 2007.

Col terzo motivo la pronuncia del Tribunale di Roma è impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1418,1467 e 1469 c.c., nonché del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21 e art. 23, comma 5, “in relazione all’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le commissioni applicate dall’intermediario costituirebbero elemento essenziale a pena di nullità dell’IRS”. Viene osservato che il cliente, al momento della sottoscrizione del contratto avente ad oggetto il prodotto derivato, è a conoscenza di tutti gli elementi essenziali che caratterizzano l’operazione, mentre la remunerazione dell’intermediario risulta ricompresa nel prezzo complessivo convenuto: per modo che nessuna commissione separata dal prezzo finale è dovuta dal cliente all’intermediario, il quale calcola il proprio margine di intermediazione all’interno del corrispettivo complessivo proposto al cliente e accettato da questo. Deduce la ricorrente, in proposito, che solo con la comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009 è stata raccomandata agli intermediari la scomposizione dei diversi elementi che concorrono al complessivo esborso finanziario del cliente. Venendo in questione una negoziazione in conto proprio, al contratto oggetto di causa doveva applicarsi l’art. 32, comma 5, reg. Consob n. 11522/1998, secondo cui la remunerazione dell’intermediario è ricompresa nelle condizioni complessive del derivato. Aggiunge la ricorrente che la mancata indicazione del mark to market non è idonea a incidere sull’alea, e dunque a dar ragione della nullità del contratto; infatti – spiega – il mark to market rappresenta il valore che viene dato al derivato in un certo momento della sua vita: valore la cui stima involge aspetti previsionali e che non si traduce in un esborso monetario, a meno che il debitore non decida di avvalersi della facoltà di estinzione anticipata del contratto.

Col quarto mezzo la sentenza di primo grado è censurata per violazione e falsa applicazione della disciplina in tema di negoziazione in conto proprio di cui all’art. 32, reg. Consob n. 11522 del 1998. Deduce la ricorrente che il giudice di prima istanza avrebbe completamente omesso di considerare che l’operazione in derivati costituisce una valida efficace negoziazione in conto proprio nella quale, a differenza della negoziazione per conto altrui, i margini delle commissioni non si aggiungono all’esterno, ma formano parte integrante del costo finale addebitato al cliente. Viene osservato che la comunicazione Consob n. 9019104 dimostra, per un verso, che il “margine” costituisce elemento naturale del contratto derivato e, per altro verso, che l’esplicitazione, in contratto, della remunerazione dell’intermediario non costituisce un obbligo per il detto soggetto; la sentenza impugnata è inoltre criticata in quanto il Tribunale avrebbe finito per ritenere che alla stipula del contratto derivato dovesse configurarsi come par, e quindi riflettere un perfetto equilibrio delle posizioni contrattuali: in tal senso, la pretesa necessità di riequilibrare integralmente il contratto non par non avrebbe fondamento tecnico razionale né, tantomeno, una base giuridica.

Il quinto motivo di ricorso censura la sentenza del Tribunale di Roma per violazione e falsa applicazione dell’art. 1367 c.c., in tema di conservazione del contratto, e dell’art. 1419 c.c., in tema di nullità parziale dello stesso, per aver pronunciato la nullità totale per il solo tema delle commissioni implicite, senza configurare un’eventuale nullità parziale del contratto. Viene dedotto che il Tribunale non avrebbe preso in considerazione la possibilità di dichiarare la nullità parziale del contratto derivato relativamente alla sola parte ritenuta illegittima: quella, cioè, afferente ai costi impliciti. In tal senso, risulterebbe del tutto irragionevole il risultato dell’integrale caducazione del contratto di IRS: il giudice di prima istanza avrebbe dovuto piuttosto verificare l’esistenza delle condizioni atte a giustificare la declaratoria di nullità parziale, a norma dell’art. 1419 c.c..

5. – In prossimità dell’udienza è pervenuto atto di rinuncia al ricorso della ricorrente, corredato di accettazione della controricorrente.

6. – Il giudizio va quindi dichiarato estinto, senza che debba farsi luogo a pronuncia sulle spese, giusta l’art. 391 c.p.c., comma 4.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara estinto il giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021

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