LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25357/2017 proposto da:
D.M.V., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Augeri Erasmo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
A.G., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Chianese Assunta, giusta procura in calce alla memoria di costituzione di nuovo difensore;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1522/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 04/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE;
lette le conclusioni scritte ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art.
23, comma 8-bis, convertito con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, chiede il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 6559/2016 il Tribunale di Napoli, pronunciando in ordine alle questioni accessorie dopo aver già reso sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il ***** da D.M.V. e A.G., ha affidato la figlia G., nata l'*****, ad entrambi i genitori con residenza preferenziale presso la madre, ha posto a carico dell’ex marito un assegno divorzile mensile di Euro 1.000,00, rivalutabile annualmente secondo indici Istat, nonché l’obbligo di versare all’ex moglie un contributo mensile di Euro 2.000,00, rivalutabile annualmente secondo indici Istat, per il mantenimento della figlia minore, oltre all’obbligo di contribuire, nella misura della metà, alle spese mediche e straordinarie sostenute per la figlia, condannando l’ex marito alla rifusione delle spese di causa.
2. Con sentenza n. 1522/2017, depositata il 4-4-2017, la Corte d’appello di Napoli ha rigettato sia l’appello principale, proposto da D.M.V., sia l’appello incidentale, proposto da A.G., disponendo la trasmissione della sentenza al Giudice Tutelare, per la sorveglianza ai sensi dell’art. 337 c.c. e compensando per intero le spese di lite del grado. La Corte d’appello, nel condividere il decisum della sentenza impugnata in ordine a tutte le questioni oggetto di devoluzione, ha ritenuto che: (i) dovesse confermarsi l’affido condiviso, richiamate le risultanze della CTU espletata in primo grado, secondo cui un provvedimento drastico di trasferimento della minore, che aveva sempre vissuto con la madre, avrebbe potuto ancor più destabilizzare la figlia, data l’estrema problematicità del “tessuto” genitoriale, nonché dovessero confermarsi le modalità di frequentazione del padre, in dettaglio stabilite dal Tribunale; (ii) il contributo di mantenimento per la figlia fosse congruo, tenuto conto dell’età della bambina (11 anni), nonché commisurato alle esigenze della minore parametrate nell’arco dell’anno, come da principi affermati da questa Corte, essendo perciò infondata la richiesta del padre di decurtazione del contributo per il periodo estivo durante il quale la figlia restava in prevalenza con lui; (iii) sussistesse una notevole sperequazione reddituale tra le parti, all’esito del raffronto tra le condizioni economiche patrimoniali degli stessi, come accertate in dettaglio in primo grado e indicate nella sentenza (pag. 15), non ostando al riconoscimento dell’assegno divorzile la percezione da parte dell’ex moglie della somma di Euro 204.560,18, attribuitale in epoca antecedente al divorzio a seguito della divisione di un immobile sito in *****, trattandosi di fatto già valutato dal Tribunale e non potendosi ritenere la corresponsione di quella somma come una sorta di “una tantum” sostitutiva dell’assegno periodico; (iv) fosse congruo l’importo mensile di Euro 1.000,00 a titolo di assegno divorzile, considerato che l’ex moglie, pur se di professione giornalista, non svolgeva alcuna attività e durante la vita matrimoniale si era dedicata esclusivamente alla casa e alla figlia, come incontroverso tra le parti, nonché valutati il reddito dell’ex marito e gli oneri da cui era gravato, sia per la costituzione di un nuovo nucleo familiare sia per l’accresciuto diritto di visita, e la posizione economica complessiva dell’ex moglie, in particolare tenuto conto della percezione da parte sua di una notevole somma, a seguito della divisione immobiliare, della sua capacità lavorativa specifica di giornalista, della sua età (nata nel *****) e di quella della figlia.
3. Avverso questa sentenza, D.M.V. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di A.G., che resiste con controricorso. In data 20-10-2020 il ricorrente ha depositato, a mezzo pec, istanza di fissazione dell’udienza di discussione per motivi di carattere urgente.
La Procura Generale ha concluso, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., art. 8 Cedu, artt. 112, 116, 132 e 195 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per aver la Corte d’Appello omesso l’esame delle domande e/o istanze istruttorie in violazione delle norme sopra menzionate, e per avere omesso l’esame esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, elementi fattuali osservati nelle note critiche alla C.T.U. svoltasi in primo grado, così disattendendo il principio della bigenitorialità e della pari dignità genitoriale, fatti decisivi che avrebbero consentito alla Corte di merito una decisione diversa in ordine all’affidamento o, in subordine, al collocamento della minore”. Il ricorrente, nel riportare in ricorso ampio stralcio dell’atto di appello (da pag. 7 a pag. 12 del ricorso), deduce che la motivazione della sentenza impugnata è meramente apparente, per non avere la Corte di merito spiegato le ragioni del proprio convincimento, limitandosi a svolgere laconiche affermazioni di adesione alle C.t.u. espletate in primo grado, inidonee ad esplicitare il percorso decisionale. Richiama diffusamente le osservazioni svolte dal proprio consulente di parte, dei quali assume la Corte territoriale non abbia tenuto conto.
2. Premesso, in via pregiudiziale, che deve dichiararsi inammissibile, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., la produzione documentale allegata alla memoria illustrativa dalla controricorrente (relativa a: spese dei figli minori, visure, dichiarazioni dei redditi, e altri documenti inerenti il merito), non rientrando in alcune delle ipotesi previste da detta ultima norma, il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
2.1. E’ infondata la censura nella parte in cui è denunciato il vizio di motivazione apparente, atteso che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014 e successive conformi, da ultimo Cass. n. 13248).
La Corte di merito ha spiegato in modo chiaro e compiuto le ragioni del proprio convincimento in ordine all’affidamento condiviso della figlia minore, con un percorso argomentativo certamente superiore alla soglia del “minimo costituzionale”, consentendo così il controllo sull’esattezza e sulla logicità della motivazione, sicché non ricorre il vizio motivazionale denunciato.
2.2. Gli altri profili di doglianza sono inammissibili, sia perché, come rilevato anche dalla Procura Generale, assommano in modo indistinto e non lineare vizi tra loro eterogenei, senza che sia specificamente chiarita l’attinenza di ciascuno di essi al decisum (tra le tante Cass. n. 11603/2018; Cass. n. 26790/2018) e senza che siano chiaramente comprensibili quali i fatti storici il cui esame si assume omesso, sia perché si risolvono in una sostanziale ed impropria richiesta di riesame delle risultanze probatorie e del merito.
Il ricorrente si limita a richiamare le deduzioni svolte dal consulente tecnico di parte, contrapponendo la propria ricostruzione dei fatti e delle complesse dinamiche familiari a quella, diversa, accertata dai giudici di merito. In particolare la Corte d’appello ha richiamato il giudizio, espresso dal C.T.U., secondo cui è pregiudizievole per la minore, molto provata dal conflitto genitoriale, uno sradicamento dalla prevalente collocazione presso la madre, con cui è sempre vissuta, argomentando anche in ordine alla mancata allegazione da parte del padre di elementi di novità, tali da giustificare la rinnovazione della C.T.U..
Va peraltro ribadito, come da orientamento di questa Corte condiviso dal Collegio, per un verso, che i rilievi critici delle parti alla C.T.U. costituiscono argomentazioni difensive (Cass. n. 20829/2018) e, per altro correlato verso, che non sussiste la necessità, ai fini della completezza della motivazione, che il giudice dia conto delle contrarie motivazioni dei consulenti di fiducia che, anche se non espressamente confutate, si hanno per disattese perché incompatibili con le argomentazioni poste a base della motivazione (Cass. n. 21625/2019).
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 337 ter c.c., come modificato dal D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, artt. 112 e 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la Corte d’Appello omesso l’esame delle domande relative ai principi di misurazione dell’assegno a favore della figlia minore, disattendendo i relativi criteri di determinazione della contribuzione al mantenimento a favore della minore, in violazione della norma sostanziale e dei profili ivi previsti, quanto al tempo di permanenza della minore presso ciascun genitore ed alla statuizione di un collocamento alternato della stessa presso il padre durante la sospensione delle lezioni didattiche, fatti decisivi che avrebbero dovuto condurre la Corte di merito ad un’equa decurtazione dell’assegno statuito e confermato a favore della minore”. Il ricorrente, nel riportare in ricorso stralcio dell’atto di appello, con riferimento alla determinazione del contributo per il mantenimento della figlia minore, afferma, in buona sostanza, che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto degli estesi periodi temporali, soprattutto estivi, destinati ad essere trascorsi dalla figlia con il padre, senza considerare le modifiche apportate al D.Lgs. n. 154 del 2013, art. 337 ter, in ordine al principio di proporzionalità tra le sostanze dei rispettivi genitori e senza considerare anche il contributo al mantenimento della madre, che ha qualità, titoli e potenzialità lavorative, oltre alla disponibilità di una cospicua somma derivante dalla divisione dell’immobile sito in *****.
4. Il motivo è infondato.
4.1. Secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, in tema di divorzio, il contributo al mantenimento dei figli minori, quantificato in una somma fissa mensile in favore del genitore affidatario, non costituisce, in mancanza di diverse disposizioni, il mero rimborso delle spese sostenute da quest’ultimo nel mese corrispondente, bensì la rata mensile di un assegno annuale determinato, tenendo conto di ogni altra circostanza emergente dal contesto, in funzione delle esigenze della prole rapportate all’anno. Ne consegue che il genitore non affidatario non può ritenersi sollevato dall’obbligo di corresponsione dell’assegno per il tempo in cui i figli, in relazione alle modalità di visita disposte dal giudice, si trovino presso di lui ed egli provveda in modo esclusivo al loro mantenimento (Cass. n. 18869/2014).
4.2. La Corte di merito si è attenuta ai richiamati principi e ha correttamente considerato che l’assegno mensile di contributo per il mantenimento non è una corresponsione legata strettamente agli oneri necessari mese dopo mese, ma il frazionamento in dodici parti di una più ampia obbligazione; di talché l’assegno, in linea di massima, non varia da un mese all’altro, a seconda del tempo di collocazione del minore stabilito per questo o per quell’altro mese.
Come osservato dalla Procura Generale, non è conducente il richiamo al principio di proporzionalità, perché “il riferimento ai tempi di permanenza presso ciascun genitore (art. 337-ter, comma 4, n. 3), c.c. per la determinazione dell’assegno, comporta non la variabilità dello stesso da mese a mese, ma semplicemente la valutazione complessiva di tali tempi e la determinazione dell’obbligazione annuale in considerazione degli stessi”.
5. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, nonché degli artt. 112,116 e 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la Corte di merito disatteso il principio espresso dalla norma sostanziale della sufficienza dei mezzi economici del coniuge o le ragioni oggettive per non poterseli procurare e/o per omesso esame di fatti decisivi del giudizio dedotti e documentati nel procedimento d’appello, che avrebbero dovuto e potuto orientare la Corte d’Appello ad una decisione diversa in ordine alla revoca e/o congrua decurtazione dell’assegno divorzile a favore dell’ex coniuge”. Ad avviso del ricorrente la Corte di merito non ha considerato che l’ex moglie ha mezzi adeguati per potersi sostenere, attesa la sua disponibilità di una cospicua somma derivante dalla divisione dell’immobile sito in *****, nonché ha fatto riferimento al tenore di vita in costanza del rapporto matrimoniale, senza applicare i principi di cui alla sentenza n. 11504/2017 di questa Corte e senza tenere conto della potenzialità lavorativa dell’ex coniuge, che non aveva dimostrato ragioni oggettive tali che le abbiano impedito di trovare un’occupazione.
6. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
6.1. Premesso che, nella specie, non trova applicazione il disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, ove è escluso il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), contro la decisione di appello che confermi quella di primo grado, poiché si tratta di controversia rientrante nell’ambito disciplinato dall’art. 70 c.p.c., comma 1, occorre sinteticamente dare conto dell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, successiva alla data di pubblicazione della sentenza impugnata, in tema di assegno divorzile.
La giurisprudenza più recente ha, infatti, stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi (Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287; Cass., 23/01/2019, n. 1882).
6.2. Ciò posto, rileva il Collegio che, come condivisibilmente rimarcato dalla Procura Generale, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6 e dei principi di diritto suesposti, atteso che il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, al tenore di vita durante la vita matrimoniale, ora non più requisito di riferimento in base al nuovo orientamento di questa Corte, è stato, nella sostanza, irrilevante nella delibazione del caso concreto effettuata dalla Corte di merito. Infatti, posto che non è specificamente censurato il presupposto della notevole sproporzione reddituale tra gli ex coniugi, accertato con motivazione adeguata dai Giudici di merito, questi ultimi hanno valorizzato la funzione compensativa dell’assegno divorzile, per essersi l’ex moglie dedicata alla famiglia e alla figlia, sacrificando il suo lavoro di giornalista, abbandonato per tutto il periodo matrimoniale, in modo da consentire all’ex marito, appartenente alla carriera diplomatica (e, in atto, console), di fare carriera spostandosi all’estero, senza problemi. In detto contesto, la quantificazione dell’assegno divorzile nell’importo relativamente modesto, di Euro 1.000,00 mensili, non è stato certamente parametrato al tenore di vita matrimoniale, considerato l’elevato reddito dell’ex marito (cfr. pag. n. 15 sentenza), ma all’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, avendo la Corte di merito tenuto conto di tutte le circostanze di rilevanza del caso concreto (età dell’ex moglie, disoccupata, il suo sacrificio professionale e, al contempo, la sua capacità lavorativa specifica di giornalista, la possibilità di organizzare, quanto meno delle ore mattutine, un suo futuro impegno lavorativo compatibile con le esigenze della figlia, la percezione di una considerevole somma – oltre Euro 200.000,00 – a seguito della divisione immobiliare di un bene sito in ***** in comproprietà con l’ex marito – cfr. pag. 16 sentenza impugnata).
6.3. Il profilo di censura ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, è infondato nera parte in cui denuncia l’omesso esame di fatti decisivi, e in particolare della vendita della casa di *****, atteso che tutti i fatti allegati sono stati esaminati, compreso quest’ultimo, che, anzi, come evidenzia la Procura Generale e sostanzialmente, in parte, rileva la Corte di merito, neppure rappresenta un miglioramento delle condizioni patrimoniali dell’ex moglie, ma la trasformazione in somma di danaro del valore di un cespite che già, pro quota, le apparteneva.
6.4. Le doglianze svolte sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., sono inammissibili perché si risolvono in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito, non potendo porsi la censura di violazione della norma citata per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, come nella specie, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (tra le tante Cass. n. 1229/2019).
7. In conclusione, il ricorso va respinto e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Non ricorrono i presupposti per la condanna del soccombente ex art. 96 c.p.c., comma 3, sollecitata dalla controricorrente nella memoria autorizzata, non essendo ravvisabile una condotta dello stesso oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).
Va disposto che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro5.200,00, di cui Euro200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali (15%) ed accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021